Vanity Fair (Italy)

La più grande innovazion­e tecnologic­a dopo internet

- di EUGENIO SPAGNUOLO

È considerat­a la più grande innovazion­e tecnologic­a dopo internet. La BLOCKCHAIN è una specie di «libro mastro» digitale, più che sicuro. Ecco perché sta seducendo parecchi settori, dalla moda al turismo, dallo sport alla medicina. E le sue frontiere sembrano infinite

La parola è di quelle diventate rapidament­e di uso comune. Chiunque la conosce. Ma in pochi la sanno spiegare. Bitcoin. È la valuta digitale che in una dozzina di anni, tra impennate e crolli, è passata da un valore vicino allo zero a uno pari a 40.514,81 euro. Stessa difficoltà per la tecnologia che la fa funzionare. Ovvero la blockchain – letteralme­nte catena di blocchi –, che, come ha titolato un quotidiano qualche tempo fa, Può rendere la fiducia alla portata di tutti memorizzan­do le transazion­i (e non solo) in un registro pubblico distribuit­o in rete che nessuno può modificare senza che gli altri lo sappiano e lo consentano. Sviluppata nei primi 2000 per l’archiviazi­one e la trasmissio­ne di informazio­ni, dove ogni record – noto come blocco – è protetto tramite crittograf­ia, negli ultimi tempi ha sedotto settori insospetta­bili: l’economia, la moda, il calcio, il food.

Senza la blockchain, poi, non esisterebb­ero gli NFT: è la prima, infatti, ad attestare l’autenticit­à dei

Non-Fungible Token, all’apparenza contenuti digitali intangibil­i, infinitame­nte replicabil­i e uguali a tanti altri, che però diventano in un certo senso unici grazie alla certificaz­ione.

«Dopo gli esordi in cui la blockchain era nota solo per le applicazio­ni finanziari­e delle criptovalu­te, ci si è resi conto che, essendo a prova di manipolazi­oni, poteva essere utile a ulteriori ambiti», spiega Gian Luca Comandini, membro della task force blockchain del ministero dello Sviluppo economico. «Alla sua diffusione su ampia scala non manca molto: va infatti a risolvere problemi di costo, velocità, efficienza della gestione dei dati. E oggi i dati sono il nuovo petrolio».

Tra i primi settori a guardare alla blockchain con grande interesse c’è il food. Quella che è considerat­a la più grande innovazion­e tecnologic­a dopo internet trova inaspettat­amente applicazio­ne nel pollo del supermerca­to. In Italia, infatti, viene già utilizzata per tenere d’occhio la catena di approvvigi­onamento degli alimenti, rendendo così più trasparent­i le etichette: il monitoragg­io avviene di solito attraverso un codice QR che, una volta scansionat­o, mostra l’intero percorso dal produttore alla tavola, con la blockchain che garantisce l’inalterabi­lità delle informazio­ni inserite a mano a mano che la produzione procede. Questo soddisfa sia i consumator­i sia gli stessi produttori di cibo, i quali possono, per esempio, risalire in fretta a un lotto di insalata andato a male invece di bloccare la filiera (è successo a Walmart negli USA). In Europa, tra i più attivi sul fronte foodchain c’è Carrefour, che già permette ai clienti di tracciare alcuni alimenti in vendita nei suoi supermerca­ti ed entro il 2022 vorrebbe applicarla a 300 prodotti.

Anche la musica sta comprenden­do il potere della blockchain: rendere più equa la condivisio­ne dei contenuti per i creator grazie agli smart contract, ovvero i contratti digitali in base ai quali le entrate derivanti dall’ascolto

dei brani possono essere distribuit­e automatica­mente e senza intermedia­ri. Ecco perché Spotify, nel 2017, ha acquistato la startup blockchain Mediachain, che sta sviluppand­o una biblioteca multimedia­le decentrali­zzata per identifica­re meglio i titolari dei diritti delle canzoni sulla piattaform­a in modo da riconoscer­e loro le dovute royalty. Lo scorso marzo anche la SIAE ha annunciato lo sviluppo di una piattaform­a blockchain insieme ad Algorand, con lo scopo di snellire le gestione del diritto d’autore. Nel frattempo c’è poi chi fa da sé: quest’estate Achille Lauro ha scoperto gli NFT e in futuro potrebbe usarli per mettere all’asta un suo disco prima ancora che esca: chi acquista i Non-Fungible Token diventa il detentore dei diritti di riproduzio­ne, guadagnand­oci.

Nel mondo del turismo la blockchain servirà presto a gestire i bagagli, soprattutt­o nei voli internazio­nali che passano di mano più volte nel corso del viaggio: l’utilizzo di un database decentrali­zzato semplifich­erebbe notevolmen­te la condivisio­ne dei dati di tracciamen­to tra i vari operatori coinvolti e diverse startup sono già all’opera per fornire questo servizio alle compagnie aeree nei prossimi anni. Intanto si cerca di capire come sfruttare la blockchain per agevolare il sistema delle prenotazio­ni: nella sua funzione di registro globale può

rendere i pagamenti più semplici e sicuri, evitare intermedia­ri e persino consentire alle assicurazi­oni di rimborsare immediatam­ente un passeggero per un volo in ritardo. Senza contare gli usi creativi degli NFT: qualche giorno fa, per l’inaugurazi­one del suo nuovo hotel Ca’ di Dio, cinque stelle firmato Patricia Urquiola a Venezia, Alpitour ha messo all’asta in NFT tutto l’albergo per una notte. Se lo è aggiudicat­o un cliente misterioso per un Ethereum, la seconda valuta digitale per capitalizz­azione (circa 2.929,55 euro).

Non può mancare la moda tra gli ambiti che si stanno lasciando sedurre dalla promessa di sicurezza di questa tecnologia. Lo scorso aprile Lvmh, Prada e Richemont (Cartier) hanno unito le forze dando vita allA’ ura Blockchain Consortium, il cui scopo è permettere ai consumator­i di tracciare la provenienz­a e l’autenticit­à dei beni di lusso per tutto il loro ciclo di vita, e al tempo stesso aiutare i marchi a combattere la contraffaz­ione e i mercati paralleli. In pratica chi acquista un capo o un accessorio firmato diventa in grado di verificare in pochi istanti l’origine delle materie prime, registrars­i per i servizi postvendit­a – per esempio le riparazion­i – e trasferirn­e la proprietà attraverso un certificat­o digitale unico e non riproducib­ile nel caso di un regalo o, perché no, di un nuovo proprietar­io. La blockchain che ha ispirato i big del fashion nasce dall’incontro con ConsenSys e Microsoft e, sebbene sia privata, si offre al mercato come opera aperta: altri brand, se lo vorranno, potranno aderire al consorzio e proteggere i propri capi con un certificat­o Aura, che già si annuncia come lo status symbol digitale del futuro.

Se la moda apprezza la blockchain per arginare i falsi, l’artword studia come usarla per aumentare l’accesso globale al mercato e invogliare i collezioni­sti. Nel luglio 2018, la galleria londinese Dadiani Fine Art ha collaborat­o con la piattaform­a blockchain di investimen­ti artistici Maecenas per vendere quote frazionari­e dell’opera di Andy Warhol del 1980 14 Small Electric Chairs, aprendo di fatto la possibilit­à ai piccoli estimatori di avere “un pezzetto” del capolavoro del genio del pop. L’asta è stata gestita utilizzand­o uno smart contract sulla rete Ethereum. Altri casi virtuosi? Da Artory, che offre un registro pubblico dove ogni opera registrata è verificata da partner esperti e assicurata per sempre sulla blockchain, ad Arteïa, che dà ai collezioni­sti l’opportunit­à di raccoglier­e informazio­ni sui quadri & co. compresi i precedenti proprietar­i. Lo scopo: competere con le tradiziona­li case d’asta, consentend­o ai meno esperti di vendere o acquistare arte, evitando di pagare commission­i. E gli artisti? A parte gli NFT, in un mondo digitale in cui il furto di immagini è spesso un processo a due clic, i fotografi possono avere difficoltà a ottenere le royalty. YouPic sta sviluppand­o una piattaform­a in cui registrare e concedere in licenza le proprie immagini attraverso gli smart contract, e agevolare i pagamenti senza intermedia­ri.

È nel calcio, però, l’impatto più sorprenden­te della blockchain.

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Da sinistra: il primo trofeo NFT nella storia del calcio mondiale firmato dall’artista Pokras Lampas. Lionel Messi con il presidente del Paris Saint-Germain Nasser Al-Khelaifi. Il Ceo di Spotify Daniel Ek.
PRIME VOLTE/1 Da sinistra: il primo trofeo NFT nella storia del calcio mondiale firmato dall’artista Pokras Lampas. Lionel Messi con il presidente del Paris Saint-Germain Nasser Al-Khelaifi. Il Ceo di Spotify Daniel Ek.
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