Portano le opere fisiche nell’etere grazie alla tecnologia degli NFT: lo hanno fatto anche con la cover di Vanity Fair
Stanno rivoluzionando le liturgie del mondo dell’arte portando le opere fisiche nell’etere grazie alla tecnologia degli NFT. Una su tutte: Spike di Banksy. I FONDATORI DI VALUART hanno fatto altrettanto con la cover di Vanity Fair. Perché virtuale e tangibile non sono poi così opposti
Nell’anno di Christie’s che batte all’asta l’opera digitale più costosa di sempre, dei graphic designer elevati a celebrity e degli infiniti blablabla sulla crypto arte (bolla o non bolla speculativa?), tre amici sparigliano le carte. Portano nell’etere i capolavori «classici», fisici, custoditi nei musei e dagli estimatori, utilizzando la tecnologia NFT - Non-Fungible Token, alla base appunto della crypto arte. Cominciano con Spike di Banksy ed è un successo giusto. I tre amici sono Vittorio Grigòlo, 44, Michele Fiscalini, 49, ed Etan Genini, 41 anni. I fondatori di Valuart. A loro va un secondo merito: la prima tokenizzazione in assoluto di una copertina di Vanity Fair, quella di questo numero. E un terzo ancora: la scelta di cuore di collaborare con noi al progetto a lungo termine Non lasciateci sole, con il quale supportiamo le donne dell’Afghanistan. Vittorio, Michele ed Etan
«acquistano» l’NFT della cover del valore di 21.222,13 euro (25 mila dollari), da donare a Pangea.
Ma procediamo con ordine. I tre si conoscono dal 2015, forse prima. Medesimo giro nella Svizzera italiana. Medesimo «crypto entusiasmo, pur venendo da mondi diversi», racconta Etan al telefono. «Io mi sono sempre occupato di proprietà intellettuale e produzione di contenuti per la musica, la moda, la tecnologia… Vittorio, per i pochi che non lo sanno, è un tenore, dai più definito «il nuovo Luciano Pavarotti». Michele, infine, viene dalla finanza, è un manager e un collezionista da subito consapevole dell’impatto delle criptovalute e degli NFT nell’arte». Alle cene cominciano a non parlare d’altro. «È il 2018 e ci prendiamo bene: guardiamo i primi Ted Talk, leggiamo i primi paper, seguiamo i primi nomi presenti sulle piattaforme specifiche come SuperRare».
A furia di cenare insieme e di studiare, con l’entusiasmo di chi ha la bontà di un’idea in tasca e la startup giusta in canna, battezzano Valuart. «Siamo un laboratorio che accoglie i pezzi dei collezionisti e degli artisti. Dapprima ricaviamo da ciascuno il gemello digitale detto anche «originale digitale» ; poi lo espandiamo, lo animiamo, gli costruiamo attorno una storia; infine, decidiamo come presentarlo e metterlo sul mercato: direttamente sulla nostra piattaforma oppure sui distributori di NFT, che potrebbero essere erroneamente considerati dei nostri competitor, invece rappresentano un’opportunità». Insomma, qualcosa di molto lontano dal lavoro di un nerd capace di usare Photoshop e i programmi 3D.
Il primo progetto di Valuart fa il giro del mondo. Alla fine di luglio le testate che contano titolano: Banksy, all’asta l’NFT ricavato dalla celebre opera Spike. «Nel 2005 la pietra staccata dalla barriera israeliana in Cisgiordania dall’ormai mitico street artist senza volto viene trasformata nell’oggetto di una caccia al tesoro nel territorio palestinese, promettendo un certificato di autenticità a chiunque l’avesse trovata e fornito come prova spike, spuntone, ovvero la parola segreta scritta sulla parte inferiore della roccia», continua Etan Genini. «Diventata proprietà del nostro Vittorio, decidiamo di giocare in casa e riprodurla in digitale, rendendola al contempo completamente nuova: potevamo fare un semplice video, piatto; invece, la pietra dalle profondità dell’universo impatta con l’atmosfera terrestre, diviene una meteora di fuoco e cade nel Mar Morto tornando simbolicamente al suo posto nel mondo, da dove però
«Ricaviamo dalle opere il gemello digitale, lo espandiamo, lo animiano, gli costruiamo attorno una storia»
riemerge per continuare a ruotare su se stessa sospesa nel vuoto e a supportare da lì le vittime dei conflitti, come l’originale di Banksy. Il tutto è accompagnato da E lucevan le stelle dalla Tosca di Giacomo Puccini interpretata da Grigòlo, primo tenore al mondo a misurarsi in un’impresa digitale simile. Il prezzo finale di aggiudicazione dell’NFT? Oltre 152 mila dollari, pari a 65 Ethereum (seconda valuta digitale per capitalizzazione, ndr), una parte dei quali, 21.222,13 euro (25 mila dollari), è già stata devoluta a Medici Senza Frontiere e altrettanti supporteranno Pangea grazie all’incontro professionale e umano con Vanity Fair: cercavamo infatti una seconda organizzazione che sostenesse le vittime dei conflitti da poter aiutare».
Il senso di questo primo lavoro: «Dimostrare la necessità di ricontestualizzare l’opera di base affinché sia compresa dai consumatori contemporanei. Se si pensa che basti prendere un Caravaggio, fotografarlo e autenticarlo, si è fuori strada!». A chi commenta che non ha senso spendere X euro per un file in formato jpg, specie se l’idea non parte dallo stesso Banksy, Etan risponde: «Polemiche accese e spente in tempo zero, perché mancavano i presupposti giuridici. Il motivo: non abbiamo cannibalizzato la sua Spike oppure male interpretata, o, ancora, svilita: anzi, ne abbiamo rispettato i valori costitutivi. Per il resto, anche l’artworld più tradizionale – e scettico – è pronto a questa rivoluzione: complici Beeple, DotPigeon, Skygolpe e gli altri che si sono presi il loro spazio e hanno dimostrato di meritarsi il titolo di artisti. Di sicuro li hanno aiutati gli incredibili risultati economici: tanti collezionisti sono fondi e devono guadagnare. La pandemia, poi, è stata un acceleratore: anche i beni fisici e romantici quali i quadri e le sculture hanno bisogno di appoggiarsi al digitale. Che», si ferma e scandisce bene, «è già reale».
Che il futuro sia ibrido per Etan, Michele e Vittorio lo conferma la scelta di allestire una galleria, aperta al pubblico su richiesta, nel piccolo polo turistico di Paradiso, nel Canton Ticino, dove toccare con mano – nonostante sembri un ossimoro – i loro progetti. Quello su cui si stanno concentrando adesso è ambizioso: la creazione e la messa all’asta a ottobre dell’NFT che valorizza un capolavoro del tessile made in Italy: il manto giubilare indossato da papa Giovanni Paolo II la notte del 24 dicembre 1999, in occasione dell’apertura della Porta della Basilica di San Pietro. «È un pezzo di Storia tuttora avvolto nel mistero, rispetto al quale la Santa Sede non ha mai dato spiegazioni», si inserisce Stefano Zanella, l’artigiano che l’ha realizzato per il pontefice. «Per tokenizzare il vello lavoriamo su tre immagini: il cielo e il mare, che per gli antichi erano la stessa cosa; le porte – del Giubileo, appunto –; la pioggia di sangue dell’Apocalisse, perché la salvezza è sempre figlia di un sacrificio. Dunque, prevalgono i colori del blu, dell’oro e del rosso. Ma ho già detto troppo». Aggiunge Etan un messaggio importante: «Questo manto, così disruptive nella cultura ecclesiastica dal momento che ha introdotto la policromia, non era nemmeno considerato un’opera d’arte. Noi vogliamo renderlo tale». E dopo? «Stiamo già valutando sia il fenomeno dei collectibles, beni digitali da collezione che, come le figurine dei calciatori, ha ciascuno una diversa rarità e un valore differente, sia quello della tokenizzazione frazionata: prendiamo per esempio un piccolo Picasso, del valore cioè di «appena» cinque milioni garantito dai flussi della blockchain, e pensiamo di poter acquistare un minimo di frazioni per partecipare alla proprietà. Per la community, sempre più numerosa, sono due ottimi investimenti».
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«La pandemia è stata un acceleratore: anche i quadri e le sculture hanno bisogno di appoggiarsi al virtuale»