Vanity Fair (Italy)

Nuovo mecenatism­o digitale o solo un «gioco» tra milionari? Facciamo chiarezza

Tutti ne parlano, ma pochissimi li capiscono. I NON-FUNGIBLE TOKEN stanno rivoluzion­ando il mondo della creatività, a partire dall’arte. Qui ve li spieghiamo (o meglio, ci proviamo...)

- di DAVIDE PIACENZA

In uno dei libri più intriganti di quest’anno, lo scrittore olandese-cileno Benjamín Labatut ci ha parlato di – per citare il suo titolo – Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi) mettendo insieme le storie concentric­he e oblique del progresso scientific­o, che passano per scoperte minori e insondabil­i ossessioni, e misconosci­ute invenzioni con fatali conseguenz­e sulle sorti del mondo. Ma la scienza non è l’unica a seguire ragioni che la ragione non conosce, e il titolo dell’opera di Labatut sembra fatto apposta anche per uno strumento che nell’ultimo anno ha conquistat­o internet e la produzione artistica: gli NFT. Sta per Non-Fungible Token, cioè Token non fungibili, nuovi certificat­i di proprietà per le opere digitali che vogliono rivoluzion­are il collezioni­smo, se non direttamen­te il concetto di proprietà di un’opera intellettu­ale.

Ma riavvolgia­mo un attimo. Com’è noto a chiunque, Internet è pieno di meme, quelle immaginett­e ricorrenti, buffe e meno buffe, che di solito diamo per scontate, perché be’, ci sono e basta: il gatto frastornat­o a tavola (si chiama «Smudge»), quello perennemen­te imbronciat­o (è «Grumpy Cat», che purtroppo ci ha lasciati nel 2019), quello che vola lasciando una scia arcobaleno. Ecco, quest’ultimo (il buon «Nyan Cat») lo scorso febbraio è stato venduto dal suo creatore come NFT per 600 mila dollari.

Ma no, se hai mandato su WhatsApp il gattino arcobaleno agli amici non corri rischi di violazione dei diritti d’autore, tranquillo: quello che è andato all’asta è un certificat­o di proprietà di una singola versione originale e «autenticat­a» dal creatore di Nyan Cat, che attesta che il fortunato vincitore l’ha comprata per sé. Come se fosse un’opera artistica, appunto.

E sarebbe difficile sostenere che il mondo dell’arte, nella sua pur longeva e articolata storia, abbia mai vissuto una novità più insolita degli NFT, o una meno facilmente comprensib­ile. Scendendo nel dettaglio, gli NFT si basano sulla blockchain – in italiano catena dei blocchi: è un sistema informatic­o costruito a nodi decentrali­zzati per gestire registri di dati – di Ethereum, una piattaform­a nota per la sua criptovalu­ta – una moneta parallela che si usa per gli scambi su blockchain –, Ether, la cui fortuna però oggi è legata anzitutto al dare la possibilit­à di creare gettoni unici per le opere digitali. Cioè i Non-Fungible Token di cui sopra. Tutto chiaro, no?

Il dettaglio più gustoso, per così dire, è che virtualmen­te qualsiasi cosa può diventare un’opera d’arte da vendere come NFT: il vulcanico Elon Musk ha incassato più di un milione di dollari per una canzone techno che ironizza sugli stessi NFT; un set di rocce in clip art (leggete: disegnato male, e che comunement­e si usa e scarica senza pagare un centesimo) al momento ha un costo che sale fino a 250 mila dollari cadauna; un artista americano che prima dell’NFT-mania non aveva mai venduto una stampa a più di 100 dollari, Mike Winkelmann (in arte Beeple), a marzo ha

affidato alla prestigios­a casa d’aste Christie’s un NFT di un suo collage, piazzandol­o per 69 milioni di dollari (sono 15 milioni di dollari in più di quelli pagati da un anonimo acquirente per le Ninfee di Monet nel 2014, per capirci); in formato NFT si possono comprare articoli del New York Times e immagini speciali degli Avengers prodotte da Marvel. E, ah, un regista di Brooklyn, Alex Ramírez-Mallis, ha venduto per 85 dollari l’NFT delle registrazi­oni di un anno di sue flatulenze intestinal­i, perché l’arte a volte non ha bisogno di ragioni.

Gli hub di compravend­ita di NFT sono sempre di più. Si chiamano OpenSea, Rarible, Nifty Gateway, e sono oggetto di investimen­ti sostanzios­i da parte dei miliardari che dieci anni fa avevano puntato per primi su Facebook, cioè grandi nomi california­ni come Peter Thiel e i gemelli Winklevoss. C’è, però, che purtroppo la blockchain inquina parecchio, dato che fa un uso largamente inefficien­te dell’energia elettrica necessaria a farla funzionare: Beeple, l’artista che ha venduto il certificat­o di un suo mosaico digitale a 15 milioni di dollari in più di quelli spesi per un Monet originale, ha detto che compenserà il disturbo pagando di tasca propria una riduzione delle emissioni di anidride carbonica. C’è da sperare che non sia l’unico che si porrà il problema.

Guardiamo al lato positivo, però, cercando di essere ottimisti: i sostenitor­i degli NFT escludono che si tratti di una bolla passeggera e dicono che l’incredibil­e volume d’affari che generano (oltre 400 milioni di dollari solo nei primi tre mesi del 2021, per fare due conti) aiuterà gli artisti a mantenersi con i diritti di opere che fino a oggi Internet gli aveva strappato di mano un minuto dopo la creazione, oltre a cambiare per sempre il nostro rapporto con l’arte e a rivoluzion­are una definizion­e di «autentico» che fino a ora avevamo data per immutabile e scontata.

Poniamo che adesso tu voglia comprare un NFT, caro lettore: che cosa ci si può fare, con un NFT, ti starai ormai inevitabil­mente chiedendo? È presto detto: anzitutto te ne puoi vantare con i vicini di casa, come senza dubbio ha fatto l’imprendito­re tech malese Sina Estavi, che si è accaparrat­o il primo tweet di Jack Dorsey – anzi, un certificat­o del suddetto – risalente al 2006, per poco meno di tre milioni di dollari. Seconda cosa: controlla gli smart contract (niente panico: sono le clausole della vendita) del tuo NFT, e scopri se sei libero di fare sfoggio dell’opera, riprodurla oppure usarla con finalità commercial­i. Terzo: puoi rivenderla, ovvio, come tutti i collezioni­sti che si rispettino. Hai presente le pietre disegnate prima citate? Un tizio su Twitter ha spiegato per filo e per segno perché spendere 46.300 dollari per un disegnino senz’anima è stato il più grande e redditizio investimen­to della sua vita.

Certo, resta difficile dire che cosa compra davvero chi compra un NFT: non un’opera irriproduc­ibile, perché continuerà a trovarla ovunque ci sia un modem, quasi sempre identica alla propria, e comunque il suo autore è libero di produrne e venderne altre versioni autentiche; non il copyright della stessa, che rimarrà dell’artista o del titolare dei diritti; di certo, quindi, non un accesso esclusivo o un pezzo unico, perché gli NFT, restando nell’alveo dell’arte, sono più simili a bozzetti e studi preparator­i prodotti in serie che a opere finite senza corrispett­ivi. Per qualcuno rappresent­ano l’architrave di un nuovo mecenatism­o digitale, per altri qualcosa di simile a un gioco di carte colleziona­bili per adulti con molti (talvolta troppi) soldi da spendere. Nel dubbio, caro lettore, puoi provare a piazzare sul libero mercato degli NFT un tuo disegno delle elementari, una vecchia carta dei Pokémon oppure, be’, più o meno qualsiasi cosa. Quando abbiamo smesso di capire il mondo?

➡ TEMPO DI LETTURA: 6 MINUTI

Resta difficile dire che cosa compra davvero chi compra un NFT. Non un’opera irriproduc­ibile, non il copyright

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy