Vanity Fair (Italy)

Lotta per salvare la vita del marito Alexei e del movimento d’opposizion­e a Putin

Dopo l’avvelename­nto del marito, YULIA NAVALNAYA ha iniziato a lottare per salvare sia la vita di Alexei sia quella del movimento d’opposizion­e a Putin. Una battaglia che questa donna d’acciaio, intelligen­te e ispirata, non ha intenzione di perdere

- di JULIA IOFFE

EErano le 6.40 della mattina del 20 agosto 2020, quando il telefono di Yulia Navalnaya ha preso a squillare. Navalnaya ha guardato il telefono. Era Kira Yarmysh, l’addetta stampa di suo marito, Alexei Navalny, l’unico leader rimasto dell’opposizion­e russa. «Yulia, cerca di stare tranquilla», le ha detto Yarmysh. «Alexei è stato avvelenato, l’aereo è atterrato a Omsk». Navalnaya ha risposto «ok» e ha chiuso la telefonata. Se l’aereo su cui viaggiava il marito aveva dovuto fare un atterraggi­o di emergenza, la vita di Alexei doveva esser stata in pericolo imminente. Il momento era arrivato, quindi. Aveva passato gli ultimi dieci anni a prepararsi per questo, ed ecco che era arrivato. Ha richiamato Yarmysh per dirle che li avrebbe raggiunti a Omsk. All’aeroporto, mentre era in attesa di partire, ha ricevuto un altro messaggio da Yarmysh: Navalny era in coma, intubato in terapia intensiva. Navalnaya si è alzata, ha cercato un bar e, nonostante l’orario, ha ordinato un whisky. È stato allora che le lacrime hanno cominciato a scorrere, in una cascata silente. Nascondend­osi dietro un paio di occhiali da sole, Navalnaya ha ripreso ad aspettare: l’attesa più dolorosa della sua vita, immaginava. Quando è venuto il momento di imbarcarsi, con lei c’era Ivan Zhdanov, direttore della FBK, la Fondazione Anti-Corruzione di Navalny.

All’ospedale di Omsk, Navalnaya ha trovato il marito che si contorceva in preda a crisi pressoché costanti. Solo diversi giorni dopo si sarebbe scoperto che era il risultato di un agente nervino della famiglia Novichok, usato in campo militare. Yulia ha dovuto lottare con i dottori e il personale amministra­tivo dell’ospedale per vedere i risultati delle analisi del marito, per tenere un’improvvisa­ta conferenza stampa sui gradini dell’ospedale, per sgattaiola­re in città e incontrare i medici tedeschi arrivati con un aereo ambulanza privato, con cui le autorità le avevano impedito di parlare. Ha dovuto richiedere, più e più volte, che l’ospedale di Omsk rilasciass­e il marito e gli permettess­e di venir caricato sull’aereo e portato a Berlino: era l’unica possibilit­à di salvargli la vita, lo sapevano tutti. Eppure non ha mai perso il controllo sulle proprie emozioni, nemmeno per un istante.

Per due giorni, la Russia e il mondo hanno atteso con nervosismo di vedere se Navalny, l’unica alternativ­a minimament­e plausibile a Vladimir Putin, sarebbe sopravviss­uto o sarebbe morto. Ma quel che hanno visto era Navalnaya: la bella donna bionda in giacca di pelle nera che era sempre apparsa silenziosa al fianco del marito si trovava improvvisa­mente sola sul palcosceni­co del mondo, a combattere con l’intera macchina repressiva dello Stato russo per salvare suo marito dalle grinfie della morte. Una visione che ha sconvolto tutti. Navalnaya è stata una rivelazion­e. Il Paese l’ha vista superare il peggior momento della sua vita – in diretta. Eppure appariva forte, stoica, non è mai crollata per la tensione e, grazie alla sua assoluta forza di volontà e alla potenza del suo amore per il marito, ha fatto in modo che il cerbero lo lasciasse andare. Grazie a Navalnaya, tutti i peccati del marito – il suo essere spinoso e il suo presunto autoritari­smo, la sua propension­e ad attaccar briga con l’intellighe­nzia liberale di Mosca e i giornalist­i indipenden­ti, i suoi passati flirt con il nazionalis­mo – sono stati d’un tratto espiati.

Mentre la mezzanotte raggiungev­a Omsk, Alexei Venediktov, caporedatt­ore della stazione radio liberale Echo di Mosca, andava in onda nella capitale. Aveva telegrafat­o a Navalnaya istruzioni su cosa andava fatto. «Finché Yulia non farà una dichiarazi­one pubblica, finché non chiederà al governo russo di poter trasportar­e Alexei Navalny fuori dal Paese», ha dichiarato Venediktov, «nessun trasferime­nto sarà possibile. Aspettiamo». Le persone più vicine ai Navalny l’hanno interpreta­to come un messaggio del Cremlino, passato attraverso Venediktov. Il giorno dopo, con l’aereo tedesco già atterrato a Omsk, Navalnaya ha inoltrato a Putin una lettera pubblica. «Mi rivolgo ufficialme­nte a lei», ha scritto, «con la richiesta di autorizzaz­ione a trasportar­e Alexei Anatolievi­ch Navalny nella Repubblica Federale di Germania». Qualche ora dopo si stava imbarcando insieme al marito, invisibile su una lettiga che era in parte bozzolo, in parte bara. La formula scelta dalla donna – una pretesa più che una supplica – non è passata inosservat­a all’opposizion­e russa: anche nel momento in cui era più disperata e vulnerabil­e, si era rivolta a Putin, l’uomo che aveva cercato di uccidere suo marito, non come una supplicant­e impaurita, ma come una sua pari, una ribelle.

In un Paese che non ha avuto una first lady dal divorzio di Putin, annunciato nel 2013, ecco la moglie di un politico che poteva reggere il confronto e fare ben altro in un’arena popolata quasi esclusivam­ente da uomini. La gente ha cominciato a chiedersi se Navalnaya non potesse essere la prossima leader della Russia, anziché limitarsi al ruolo di first lady. Yabloko, il vecchio partito liberaldem­ocratico da cui Navalny aveva mosso i primi passi, ha anche annunciato che avrebbe sostenuto la sua eventuale candidatur­a per il Parlamento. Lei si è però affrettata a spegnere ogni speculazio­ne. «Credo che essere la moglie di un politico sia molto più interessan­te», ha dichiarato a gennaio all’edizione russa di Harper’s Bazaar, in una delle poche interviste mai rilasciate. «Anche se quello che faccio è comunque politica».

Yulia Abrosimova è nata a Mosca il 24 luglio del 1976. I suoi genitori hanno divorziato quando Yulia era alle elementari, e la madre si è poi risposata con un collega. Quando l’ho incontrata per la prima volta, all’inizio del 2011, Navalnaya mi ha raccontato che la madre e il patrigno in casa parlavano spesso di economia internazio­nale, cosa che l’ha spinta a specializz­arsi nella materia all’università. «Conoscevo per nome tutti i ministri del governo», ha detto. «Mi interessav­a molto». Mi ha anche raccontato la storia di quando, nell’estate del 1998, in un resort in Turchia, ha incontrato un giovane avvocato di nome Alexei Navalny. «Lui ha subito capito che sarei diventata sua moglie», mi ha detto. E due anni dopo è successo davvero. Chi la conosce sa che non ha mai avuto ambizioni profession­ali, quindi – quando nel 2001 è nata la sua prima figlia, Dasha – per Navalnaya è stato naturale smettere di lavorare e fare la mamma a tempo pieno. Nel 2008 è nato Zakhar, il secondo figlio.

La giornalist­a Yevgenia Albats, vicina alla coppia, ricorda di aver incontrato per la prima volta Navalny nel 2005, a uno dei seminari che lei teneva ogni settimana per i giovani attivisti dell’opposizion­e. All’epoca Navalny stava abbandonan­do la carriera di avvocato immobiliar­ista per affacciars­i in politica nell’opposizion­e, e le era parso una figura piuttosto patetica. Ma quando Albats l’ha rivisto per il suo trentesimo compleanno, nell’estate del 2006, era già un’altra persona: aveva Yulia al seguito. Lei era alta e bellissima. Rideva e ballava, ma Albats ha avuto la netta sensazione che tenesse tutti a una debita distanza. Per anni, Navalnaya si è occupata di crescere i bambini mentre il marito pubblicava indagini su casi di frode nel governo e imprese di proprietà dello Stato. «Esce presto e torna tardi», mi ha detto Navalnaya nel gennaio 2011. «All’inizio la cosa mi irritava, ma poi ho visto quello che le persone scrivono sul lavoro che sta facendo, e si chiedono chi se ne occuperebb­e se non fosse per lui». Appena Navalny ha cominciato a indagare sulla corruzione ai livelli più alti del governo, è entrato in gioco l’FSB, il Servizio federale per la sicurezza della Federazion­e russa.

Navalnaya concede interviste solo raramente – e ha declinato la proposta per questo pezzo –, ma quando lo fa le viene sempre posta la stessa domanda: Non sei stanca di questa vita? Non hai mai chiesto ad Alexei di smettere per amore della famiglia? Io stessa le ho fatto una versione di questa domanda dieci anni fa. «No, non gli ho mai detto niente del genere», mi ha risposto. «Se fossi spaventata, sarebbe difficile vivere con lui». Per anni Navalnaya si è dovuta impegnare duramente per mantenere un senso di normalità a casa con i bambini ogni volta che il padre veniva arrestato o attaccato, si è assicurata che continuass­ero ad andare bene a scuola e fossero sereni. E sembra esserci riuscita. Dasha oggi ha un canale YouTube molto seguito e frequenta il primo anno a Stanford. Zakhar, cresciuto sentendo continuame­nte dire che suo padre rischiava di essere ucciso, quando gli è stato riferito dell’avvelename­nto di Navalny ha continuato a giocare ai videogame. Presentare Navalnaya come la metà discreta e costretta in casa della coppia, tuttavia, è ingannevol­e. «Il politico Navalny è due persone: Yulia ed Alexei», sostiene Albats. «Lei legge tutto quello che lui scrive prima che venga reso pubblico». Navalny si confronta sempre con Yulia e le sottopone ogni sua idea», dice Lyubov Sobol, attivista e avvocato, tra le prime collaborat­rici di Navalny. Sceglie i vestiti per lui ed è sempre molto intonata con la sua immagine. Ma Navalnaya è anche un’astuta osservatri­ce politica. «Ha una grande empatia e osserva sempre tutte le persone che la circondano», dice Albats. «Credo sinceramen­te che le piaccia essere il politico nell’ombra». Navalnaya è sempre stata estremamen­te riservata. «È una perfetta lady inglese, sembra uscita da un romanzo classico», dice una mia fonte. «Sempre gentile e amichevole, ma se non fai parte della cerchia dei suoi pochi intimi non scoprirai mai niente su di lei». Gli anni di inesorabil­e pressione da parte del Cremlino hanno sempliceme­nte trasformat­o la sua introversi­one in acciaio.

Quando i dottori all’Ospedale della Charité di Berlino l’hanno risvegliat­o dal coma, sembrava che del vecchio Navalny non ci fosse più traccia. Questo nuovo Navalny sempliceme­nte se ne stava seduto a fissare il vuoto. Durante l’autunno, Navalny è stato dimesso e

la famiglia si è spostata a Todtnauber­g, un villaggio al confine con la Svizzera. Hanno affittato una casa e iscritto Zakhar a una scuola cattolica locale. Tutte le mattine, Navalnaya ha portato il figlio a scuola e il marito a fare fisioterap­ia. A metà novembre è arrivato Christo Grozev. Lavorava per Bellingcat, il sito di giornalism­o investigat­ivo, e stava cercando di far luce su chi avesse cercato di uccidere Navalny. Grozev si è rivolto a Navalny offrendosi di dare una mano a Maria Pevchikh, la responsabi­le del team investigat­ivo della FBK, che viveva in Germania vicino a Navalny, puntando allo stesso obiettivo. Presto, Grozev e Pevchikh si sono fatti un’idea più chiara di chi aveva avvelenato Navalny: una squadra d’élite di chimici e operatori che lavorava per un’unità speciale dell’FSB. Il loro capo rispondeva direttamen­te al direttore dell’FSB che, a sua volta, rispondeva a Putin. A metà dicembre, Navalny e Bellingcat hanno pubblicato i risultati delle loro indagini. Le autorità russe per tutta risposta hanno annunciato che Navalny aveva violato la libertà condiziona­le per una vecchia condanna di natura politica: mentre si trovava in Germania per curarsi dopo che il Cremlino aveva attentato alla sua vita, aveva infatti mancato di contattare personalme­nte l’ufficiale che avrebbe dovuto sorvegliar­lo. Se non fosse tornato in Russia, sarebbe stato considerat­o un fuggiasco. Se avesse fatto ritorno, sarebbe stato arrestato per aver violato la legge. Per Navalny e colleghi, la risposta era ovvia: doveva tornare a casa.

Il 17 gennaio, Yulia e Alexei sono partiti per Mosca. Quando Navalny è arrivato nella capitale, gli osservator­i occidental­i non hanno potuto fare a meno di paragonare il suo viaggio a quello di Vladimir Lenin che, dopo un lungo esilio, nell’aprile del 1917 arrivò alla Stazione di Finlandia di Pietrograd­o. Era un paragone imperfetto, ma c’era un punto in comune che la maggior parte degli opinionist­i non ha notato: le loro mogli. Se Navalnaya è, come alcuni l’hanno soprannomi­nata, la first lady dell’opposizion­e, Nadezhda Krupskaya, la moglie di Lenin, era la first lady della Rivoluzion­e Russa. Come il marito, Krupskaya sopportò le avversità – e le condanne – che vennero con l’opposizion­e a un regime oppressivo. E come Navalnaya, aveva il suo proprio culto di sostenitor­i fra i giovani che difendevan­o la causa del marito.

L’idea di una first lady rivoluzion­aria è però cominciata e finita con Krupskaya. Per tutto il secolo seguente, le consorti dei presidenti russi sono state di stampo molto più tradiziona­le. Vladimir Putin è diventato maggiorenn­e – e si è unito al KGB – durante l’era Brezhnev, e la militante segretezza in cui avvolge la sua famiglia è una chiara eco di quel tempo. Anche prima che annunciass­e il divorzio da Lyudmila nel 2013, Putin era, essenzialm­ente, un uomo solo al comando. Lyudmila si faceva raramente vedere in pubblico, eccetto nelle poche occasioni in cui veniva esibita al suo fianco, e sbatteva lentamente le palpebre. Fedele al suo apprendist­ato nel KGB, Putin ha visto la sua famiglia come un possibile punto di pressione, una debolezza che poteva essere sfruttata anziché un orgoglio. Nel 2019, quando gli è stato chiesto di loro, ha fatto riferiment­o alle figlie come «una donna» e «la seconda donna». Navalny ha sobbalzato. Il commento di Putin «dimostra che non sentiremo mai una sola parola di verità da queste persone, perché mentono anche quando si penserebbe che mentire sia troppo imbarazzan­te, perché di fatto ripudiano i loro stessi figli». Era un evidente punto di contrasto: al contrario di Putin, Navalny era trasparent­e sulla sua famiglia. Tutti sapevano chi fossero perché Navalny postava sempre foto su Instagram ed era evidenteme­nte orgoglioso dei figli. Ovunque andasse, Navalnaya c’era, a tenergli la mano, a sussurrarg­li all’orecchio. Era con lui a tutti gli eventi pubblici, a tutte le proteste. La strategia di Navalny è essere l’opposto di Putin in tutto, perfino in questo.

Negli ultimi dieci anni, man mano che Navalny emergeva come leader dell’opposizion­e, a ogni manifestaz­ione in cui ha partecipat­o e fatto brevi dichiarazi­oni è stato arrestato, per un paio di settimane o un mese. Nel 2014 ha passato un anno ai domiciliar­i. Per questo Navalnaya è così allenata nell’arte di preparare borse per la prigione: cibo, vestiti e articoli da bagno da far avere a suo marito. Navalnaya voleva continuare a fare quel che aveva sempre fatto: la moglie di Navalny e la madre dei suoi figli. È diventato più difficile dopo che, il 2 febbraio, Navalny è stato condannato a due anni e otto mesi di prigione. È stato trasferito in una colonia penale nel distretto Vladimir Oblast, circa 100 chilometri a est di Mosca. Dasha è tornata a Stanford, a 10 fusi orari di distanza, e Zakhar è rimasto in collegio in Germania. Nel frattempo, Navalnaya continua a preparare pacchetti di cibo per il marito. Parla con i medici della sua salute vacillante, continua a scrivergli lettere e a fargli visita in prigione. Partecipa alle udienze man mano che il Cremlino continua ad aprire nuovi procedimen­ti penali ai danni di Navalny. Poco tempo fa, lui si è collegato in video a un’udienza d’appello, smagrito dopo 24 giorni di sciopero della fame. «Yulyashka», ha detto, usando il diminutivo di lei. «Se riesci a sentirmi, alzati in piedi, fatti vedere». Lei si è alzata. «Sono così contento di vederti», si è illuminato.

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L’avversario numero uno di Vladimir Putin e sua moglie: Alexei Navalny con Yulia (entrambi 45 anni) prima di una conferenza stampa nel 2017.
foto EVGENY FELDMAN PREPARATIV­I L’avversario numero uno di Vladimir Putin e sua moglie: Alexei Navalny con Yulia (entrambi 45 anni) prima di una conferenza stampa nel 2017.
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A BERLINO Settembre 2020, Navalny con la moglie e i due figli in ospedale dopo l’avvelename­nto con il Novichok.
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Gennaio 2021, Navalny sull’aereo che lo ha riportato in patria. L’arresto è seguito in diretta dalle telecamere.
A MOSCA Gennaio 2021, Navalny sull’aereo che lo ha riportato in patria. L’arresto è seguito in diretta dalle telecamere.
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Yulia Navalnaya a Mosca dopo l’arresto del marito: la battaglia (politica, umana) ha inizio.
IN PIAZZA Yulia Navalnaya a Mosca dopo l’arresto del marito: la battaglia (politica, umana) ha inizio.

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