Un tempo famoso come Puff Daddy, è «in missione per conto di Dio» per salvare la sua gente
Influencer prima ancora che esistessero i social, oggi SEAN COMBS, un tempo famoso come PUFF DADDY, dice di essere in missione per conto di Dio. Obiettivo: salvare la sua gente (e no, non scherza)
OOltrepassare la soglia della casa di Sean Combs a Los Angeles si rivela un’esperienza immersiva. Il piano terra su due lati presenta pareti costituite quasi interamente da vetrate, che regalano una vista sull’oceano Pacifico da ogni angolazione. Ci sono persone che vanno su e giù dalle scale con la finta indolenza tipica dei neri di successo, più vicina allo stile losangelino che a quello frenetico di Harlem, il quartiere nero che ci ha regalato l’ambizioso giovane presentatosi al mondo come Sean «Puffy» Combs.
Combs scende le scale proprio mentre un membro del personale di servizio sostituisce il mio bicchiere di vino rosso con uno di champagne. Tirato a lucido in maniera impeccabile, si muove ancora come uno di Harlem. Indossa sempre la classica uniforme hip-hop che ha contribuito a consacrare nel nostro immaginario: maglietta bianca, pantaloni sportivi ampi e diamanti. Una catenina con una targhetta con la scritta «Love» luccica come un neon pop art. Dopo avere risposto ad altre chiamate, Combs trasferisce la nostra conversazione all’esterno. Qui il suo gusto per la messinscena si esprime al meglio. Ci sediamo su una panchina in legno al bordo della sua piscina a sfioro mentre lui impartisce istruzioni allo staff per rendere la scena «sexy». Sa di che cosa vuole parlare. «In realtà mi siedo qui ogni mattina, è il posto dove vengo a meditare... Sarò sincero, questo oceano mi ha salvato la vita, ha cambiato il mio modo di pensare», mi dice.
L’uomo che ha trasformato la cultura hip-hop in uno stile di vita globale che ha segnato gli anni Novanta, ha molto a cui pensare durante lo sconvolgimento culturale di quest’ultimo decennio. «Non sono mai stato così felice in vita mia, rido di più, sorrido di più, respiro di più», mi spiega. Insomma, nella testa di Combs c’è l’amore.
«Love» è l’ultimo pseudonimo di Combs. Nato Sean Combs a Harlem nel 1969, l’uomo d’affari ha assunto nomi diversi nel corso degli anni. Quelli del suo staff definiscono questi passaggi come ere. Chiedo a Combs se anche lui li pensa in quel modo e lui mi risponde senza tentennare in modo affermativo. I cambiamenti del nome sono legati al brand quasi miliardario che ha costruito. Ognuno di essi indica un’ideologia e una strategia. «C’è l’era Puff Daddy, quella del giovane artista di hip-hop, insolente e coraggioso, che si godeva spavaldo i suoi ricchi guadagni, pensando all’arte per l’arte e a mettere radici. Quello che conosceva solo l’hip-hop e non si preoccupava di cambiare il mondo o cose del genere». L’era Puff Daddy non rappresenta solo la fondazione culturale di Combs, ma anche un momento decisivo per la cultura pop. Mentre gli anni Novanta lasciavano spazio al XXI secolo, Sean «Puff Daddy» Combs dava dignità all’iconografia hip-hop. Video, spacconate e sceneggiate ci hanno intrattenuto negli anni Novanta e agli inizi del 2000. Ma dietro la spettacolarizzazione c’era Combs, l’innovatore. Lui interpretò l’hip-hop come stile di vita prima che il termine «influencer» entrasse nel nostro lessico. La sua immagine era sopra le righe, nel 1999, quando i consumatori guardavano i video musicali in tv e acquistavano vestiti nei centri commerciali. Quando noi inviavamo ancora sms con i nostri cellulari, Combs si dedicava all’arte hip-hop anticipando la cultura dei social media dominata dall’immagine. Era un fabbricante di gif, prima ancora che sapessimo che cosa fossero. Il pubblico ha trascinato l’iconografia analogica di Puff Daddy nell’era dei contenuti digitali perché l’immagine che Puff ha costruito è ancora fresca. Questo dice molto della capacità di Combs di anticipare i tempi e influenzare gli altri. Lui parla molto del suo essere uno che ha sempre trovato il modo di cavarsela. È il fondamento delle sue prime ere. Spiega come un giovane nero, tirato su da una madre single, sia stato capace di trasformare se stesso in un brand di lifestyle internazionale. «Sono sempre stato ambizioso e capace di arrangiarmi, sempre. La mia prima consegna di giornali l’ho fatta quando avevo appena dodici anni. Mia madre diceva che non poteva permettersi delle sneakers e io non ero abbastanza grande per lavorare», racconta. Suo padre venne assassinato quando Combs aveva due anni. Tuttavia, l’eredità che gli ha lasciato, l’idea di dover fare quadrare i conti con ogni mezzo possibile è decisiva nel racconto autobiografico. A un certo punto mi porta in un piccolo studio sul retro della casa. C’è una gigantografia che ritrae Puffy e Notorious B.I.G., rispettivamente a 22 e a 19 anni, in piedi nella Harlem pre-gentrificazione. Lui si indica e commenta: «Guardalo. Era affamato. Non puoi battere un uomo che ha ancora tutta quella fame, non può perdere. Ma adesso io ho ottenuto tutto questo».
Combs sa che cos’è la perdita. L’era Puff Daddy è finita con la violenza e il trauma. «Puff Daddy ha vissuto la guerra tra Est e Ovest. Nessuno voleva stare in una stanza se c’ero io. Temevano di finire ammazzati». È allora che ha iniziato a pensare a se stesso in termini di
ere: «Quando cambiavo nome, prendevo le distanze da quelle ere».
L’era Diddy fu un omaggio a suo fratello Biggie, che lo prendeva in giro per la sua andatura ritmica, battezzata «diddy bop». Combs chiude con l’era Puff Daddy quando inaugura la sua era imprenditoriale nel 2002. Diddy era un nomignolo basato su un’idea di nero cool che vuole dimostrare al mondo che ciò che possiede è meritato. Mentre a inizio secolo l’hip-hop diventava di fatto la culturale giovanile multiculturale, Combs espandeva la sua definizione di cultura fino a includere accordi lucrosi con società produttrici di alcolici. Tra i più giovani, Diddy è conosciuto per almeno una mezza dozzina di cose che non riguardano la musica. Uomo d’affari, personaggio famoso, giudice dei reality show. Diddy ha vinto in tanti modi. Ha dimostrato di essere più di un cantante baciato dalla fortuna. Ha trasformato il suo dominio culturale in potere economico. Si è reinventato per pubblici nuovi mentre costruiva imprese di successo in settori industriali competitivi come moda e tecnologia. Nonostante la notorietà, il potere e il denaro, qualcosa di quegli spazi rarefatti non si adattava del tutto alla sua persona. Alcune perdite personali lo turbano. La mamma dei suoi tre figli, Kim Porter, muore nel 2018. Il suo mentore e amico, Andre Harrell, muore nel 2020. Lui parla apertamente di come le perdite personali lo abbiano spinto a riconsiderare il lavoro della sua vita. Combs descrive Porter come l’amore della sua vita. «Quando ho perso Kim, sapevo che avrei dovuto trovare un modo per superare quel trauma. Il problema non era tanto fare qualcosa di diverso, ma sapere usare il tempo in più che, Dio volendo, avrei avuto». Poi ha aggiunto: «Guardo alla mia vita come a una seconda possibilità. Sono alla mia seconda montagna». La perdita di Porter ha fatto capire a Combs che non è solo la vita a essere effimera, ma anche il successo. Mentre i traumi personali avvicinavano Combs a Dio, quelli pubblici che hanno contrassegnato il decennio trascorso – brutalità della polizia, disobbedienza civile e restringimento delle libertà politiche – l’hanno costretto a ripensare bene alla sua eredità. Mi sorprende quando mi parla del #MeToo, prima di menzionare Black Lives Matter. «Se vivi in questo mondo e cerchi di andare d’accordo con questo schifo... Be’, lo sai, non è così che dovremmo vivere. Tanta gente non ne può più di come vanno le cose. E non è solo una questione di neri e bianchi. Non so se mi spiego. È stanca di vedere le cose andare nel modo sbagliato La gente ripete che è finita, l’ha ripetuto anche per il #MeToo... Basta! È finita! Diamoci un taglio!», dice empaticamente.
Combs vede il movimento #MeToo come un vero segnale di progresso e la prova che le celebrità possono cambiare il mondo. «In verità il movimento #MeToo mi ha ispirato. Mi ha mostrato che è possibile cambiare davvero le cose», dice. Ora quello che Combs desidera è il più grande cambiamento per la sua tribù. Si entra nell’era dell’Amore. La sua capacità innata di elevare a esperienza l’ordinario è parte del suo fascino e del suo successo. Che cosa ha pianificato per l’era dell’Amore? Oh, solo un po’ di giustizia e parecchio capitalismo nero. «L’amore è una missione», mi dice tutto serio. Combs è in missione per realizzare un’acquisizione quinquennale di... qualcosa. «Ho come la sensazione che si tratti della mia missione più importante e che sposterà le cose. Ma a parte questo, noi – il mondo – siamo diversi. Abbiamo Internet, il potere, la cultura. Io ho un piano quinquennale». Questo piano riguarda i neri, anche se Combs tiene a ribadire che ama tutti.
«Voglio che la mia gente si prenda del tempo per sentire che è giusto amare. Devi prendere tempo per radunare la tua tribù, comunicare e conoscere il tuo potere. Prendere tempo per guarire. Capisci che cosa sto dicendo, prendersi cura di se stessi senza nemmeno accorgersene, in modo naturale, senza per questo essere etichettato come razzista, solo perché vuoi prenderti cura di te stesso». Combs vuole mostrare quello che l’amore per se stessi può fare ai fini dell’azione collettiva dei neri. Cerca di trovare una guida sull’onda del #MeToo e del Black Lives Matter.
Crescere, per Combs, ha significato tornare a Dio. Se ne era allontanato, mi spiega. Adesso crede di avere fatto i passi nella direzione giusta per raggiungere il suo obiettivo. «È scattato qualcosa, e dall’io sono passato al noi. Sento di essere stato inviato qui non solo per fare quelle cose che sono radicate nel successo individuale, ma per trasmetterle al noi e fare cose utili a cambiare e a rendere il successo un patrimonio comune e condiviso. Sento che Dio mi ha inviato, ha parlato al mio cuore. Qual è il tuo scopo? Io stavo cercando quelle cose. Ho trovato veramente il mio scopo? So che sto facendo soldi e ho
successo e sto cambiando le regole del gioco. Ma è questo il mio scopo? Poi ho pregato davvero per scoprirlo e Dio mi ha detto: il tuo scopo è avere un ruolo nella salvezza della razza nera. E allora ho pensato subito che dovevo parlare con Harry Belafonte».
Harry Belafonte è stato l’uomo di fiducia di Martin Luther King Jr. ed è una vera celebrità. Belafonte ha utilizzato il suo status di persona famosa per raccogliere denaro per le organizzazioni per i diritti civili. Ha espresso chiaramente la sua disillusione rispetto alla mancanza di responsabilità civile di tante altre celebrità, soprattutto quelle nere. Combs dice che Belafonte è un modello per il genere di attivismo che lui auspica per questa nuova fase. «Essendo entrambi delle celebrità, ci troviamo in una posizione di potere e così mi sono chiesto come aveva fatto Belafonte ad andare così in profondità nella critica sociale. E a dedicare a essa la sua vita». Anche Combs si è sempre dedicato a qualche cosa. Ma mentre da giovane i suoi pensieri erano occupati dalla famiglia, dagli amici e dal fare abbastanza soldi per comprarsi la libertà che secondo lui il mondo gli stava negando, il Combs più vecchio si dedica a rendere quella libertà possibile per gli altri. Dice di avere guardato «attraverso» la storia e alla sua stessa biografia durante il viaggio verso l’era dellA’ more. In quell’opera di scavo ha visto la costruzione di qualcuno il cui destino era salvare la propria gente. «La persona capace di fare il Bad Boy, il cattivo ragazzo. Se poi adesso si prende la responsabilità di metterci insieme, allora possiamo dire che è il figlio di puttana che aspettavamo».
Sean «Love» Combs è un uomo fermo all’incrocio di tanti cambiamenti rivoluzionari. È un uomo non più così giovane, la cui legittimità come icona culturale dipende dal potere di guardiano della cultura giovanile. Le celebrità di oggi devono prendere posizione sul cambiamento climatico, la supremazia bianca, l’uguaglianza Lgbtq+ e la politica. Combs è anche papà. Ha sei figli, tre dei quali sono ragazzine quattordicenni. Lui vuole che le figlie ereditino le chiavi del suo regno in parti uguali con i tre figli maschi. Crescere un trio di ragazzine assertive sintonizza un padre con il movimento #MeToo. Combs ripensa al playboy internazionale della sua gioventù e al futuro in cui le sue figlie diventeranno donne. E, soprattutto, Combs sta cercando di riproporre il brand che lo ha reso un personaggio di successo in un clima che è apertamente ostile a ciò che il suo brand rappresenta. La «Black excellence», l’eccellenza nera, di Combs in pratica è una celebrazione del capitalismo nero. E, nel caso non lo abbiate notato, molte persone hanno etichettato il capitalismo come il nemico numero uno. Questo non impedirà a Combs di provarci. In estate ha lanciato un programma di addestramento alla diversità insieme alla potente Endeavor. Il corso di sei settimane è progettato per sostenere aspiranti dirigenti del mondo dello spettacolo, provenienti da comunità sottorappresentate. Nella primavera del 2021 Combs ha pubblicato una lettera aperta alle grandi aziende statunitensi, nella quale chiedeva che incrementassero la loro spesa nelle imprese del mondo dell’informazione con proprietari neri. Tuttavia i critici sono stati rapidi nel definire ipocrita la sua richiesta, in parte perché lo stesso Combs è proprietario di Revolt, una rete televisiva via cavo in cerca di investimenti pubblicitari. Gli ex «cattivi ragazzi» come The LOX e Mase hanno criticato pubblicamente Combs per averli intrappolati in passato con accordi ingiusti. Il capitalismo nero, afferma Noname, celebrerebbe il successo individuale di Combs come un progresso sociale. La sfida più grande all’era dellA’ more è la morte della joie de vivre del capitalismo nero che ha prodotto i primi due atti della vita di Diddy. La cosa non preoccupa Combs. Lui pensa che la rivoluzione sia preannunciata e il suo ruolo in essa sia già stato scritto da Dio. Lo preoccupa di più il fatto che abbiamo parlato così tanto di cose serie che ci siamo dimenticati di divertirci. Dio non gli ha dato soltanto uno scopo. Ha portato Combs anche ad allinearsi con la sua frequenza più alta. «La parte divertente è la frequenza», esclama. «La parte divertente dell’era dellA’ more è la musica, il ritmo, lo stile, il tempo, il camminare, il parlare, la moda, la gioia, i viaggi, i posti dove non siamo mai stati prima».
Lui vuole creare una vibrazione a cui il mondo possa associarsi. «Sto tornando alla musica, lo sai?». Nella stanza cala un silenzio teatrale. Ovviamente Combs vuole che questo venga registrato e si tratta chiaramente di una novità per il suo team. Sempre in controllo della propria narrazione, si tiene l’ultima parola dicendomi che sta avviando una nuova etichetta musicale. Sarà un’etichetta di R&B, perché è la musica che rende felice Love Combs.
Mentre il suo addetto stampa appare contrariato dalla rivelazione non pianificata, Combs mi dice che l’R&B è il punto da cui lui è partito. «Sì, un’etichetta tutta R&B, perché sento che è stato abbandonato e fa parte della nostra cultura afroamericana. Abbiamo la possibilità di riappropriarci dell’R&B». E questo è il nodo cruciale di Sean Combs, l’uomo e il creatore di cultura. Crede che vincere sia un suo diritto di nascita, e vuole condividere la vittoria con il mondo. Per sentirglielo dire, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è l’amore.
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