Il Rinascimento della tecnologia secondo il pluripremiato artista new media turco-americano
Algoritmi e intelligenza artificiale sono tra i nuovi «strumenti» usati dall’artista REFIK ANADOL, per il quale la tecnologia segna un nuovo Rinascimento. E ne è certo: da Vinci, dice, approverebbe
LÕintervista con il pluripremiato artista turcoamericano Refik Anadol, in collegamento da Los Angeles, è appena iniziata e subito viene interrotta dal suono di un messaggino sul suo telefono che il media artist vuole assolutamente leggere ad alta voce: «Grazie, hai cambiato la mia vita. Ho comprato una tua opera e l’ho appena venduta a un valore 22 volte superiore». Il mittente è un collezionista che si è buttato nel mercato degli NFT, i non-fungible token, e che, acquistando all’asta uno dei lavori di Anadol, ne ha ricavato una piccola fortuna. Nome e cifre sono top secret, ma con un artista come questo vale la pena approfondire il discorso. Gli NFT – ci spiega – sono creazioni «immortalate» grazie alla loro digitalizzazione all’interno della blockchain: il processo si chiama mining, che è il complesso computo di calcoli con cui si scovano anche criptovalute come i Bitcoin. Solo che qui non si va alla ricerca di pepite in pixel, ma di opere di ingegno quali dipinti, sculture, video o contenuti audio, rese uniche e irripetibili – ma comunque vendibili – in un formato digitale. Sembra complicato, ma è il nuovo passatempo (qualcuno lo chiama azzardo) del mercato dell’arte: ha sedotto persino gloriose case d’asta, grazie a vendite e risultati incoraggianti (i 69 milioni di dollari per l’opera NFT Everyday: The First 5000 Days dell’artista Beeple battuta all’asta da Christie’s lo scorso marzo ne sono il caso più clamoroso).
Refik Anadol, 36 anni, occhialetti neri, sorriso perenne, una sfilza di riconoscimenti per progetti nell’ambito dell’arte digitale e un’installazione immersiva e multisensoriale – Serpenti Metamorfosi – realizzata per Bvlgari in mostra a ottobre a Milano, è un entusiasta: «Leonardo da Vinci userebbe oggi gli NFT. Questa tecnologia sta rivoluzionando il modo di fare arte e lo stesso mercato: è un nuovo Rinascimento».
C’è chi sostiene che sia una bolla destinata a esplodere.
«I nuovi mercati richiedono tempo per stabilizzarsi, ma quello degli NFT è destinato a crescere ancora. Io stesso vendo mie opere NFT e colleziono quelle di altri: è una forma d’arte che dovrebbe essere più conosciuta».
Perché?
«Decentralizza e condivide l’ingegno. Chiunque, grazie agli NFT, può creare e vendere arte. Non servono gallerie o intermediari. Basta andare su specifici portali: l’artista stesso può stabilire i criteri di prezzo e le possibilità di vendita. È un mercato aperto. Ha cambiato anche il concetto di copyright: il collezionista non compra e possiede un’opera fisica, ma un codice che indica una specifica e induplicabile opera digitale. Non è possibile copiarla, è un pezzo digitale unico. Non è una rivoluzione?».
Lei è uno dei pionieri del genere.
«È stato facile essere riconosciuto in rete grazie ai lavori che facevo offline: il mio mezzo artistico è da sempre il digitale. Non tocco un pennello, non modello il bronzo, non uso nemmeno la penna. Utilizzo algoritmi. La NFT community si è interessata subito alle mie creazioni».
Lei è noto per usare l’AI, l’intelligenza artificiale.
«Ho iniziato dieci anni fa a usare i dati di calcolo come fossero dei pigmenti sulla tela. La mia prima data sculpture, una scultura digitale generata dallA’ I, risale al 2012; ora preferisco parlare di data dramatization, che è un termine coniato da Liam Young (visionario architetto e designer australiano, ndr). Significa che se sei bravo a elaborare i dati, ma davvero tanti dati, puoi farne teatro, puoi generare veri e propri mondi».
E lei come fa a essere così bravo?
«Sono stato fortunato a essere stato invitato, nel 2016, a un progetto di Google riservato agli artisti per capire come lavorasse l’intelligenza artificiale. Una cosa pionieristica che mi ha fatto capire come macchine e umani possano collaborare. Tutto nasce dall’immaginazione».
Non sembra esserci molto spazio per la fantasia in un’arte generata da freddi algoritmi.
«Da piccolo guardavo il mondo e mi annoiavo: perché le finestre di un palazzo erano sempre lì ferme? Perché i muri non si muovevano? La mia fantasia desiderava una realtà capace di mutare davanti ai miei occhi. Come media artist ho realizzato il mio sogno: grazie alla tecnologia e ad algoritmi che elaborano moltissimi dati e possono, per esempio, incamerare milioni di foto che il mio cervello non è in grado di memorizzare né la mia mano di riprodurre, sono capaci di modellare digitalmente la realtà. Posso spingere al massimo la mia immaginazione: non è forse questo il compito cui è chiamato ogni artista?».
Il suo ultimo lavoro è Serpenti Metamorfosi, una scultura immersiva allestita dal 4 al 31 ottobre in piazza Duomo, a Milano, per celebrare la bellezza della natura.
«L’idea è nata con il team di Bvlgari durante la pandemia: sentivo l’ambizione di fare qualcosa di visionario. Mi sono domandato che cosa sarebbe accaduto se avessimo insegnato all’intelligenza artificiale il riconoscimento di tutte le immagini a nostra disposizione di un determinato soggetto. Che cosa avremmo visto dalla loro elaborazione? Quale metamorfosi sarebbe nata? Partendo da 70 milioni di foto di fiori veri, l’algoritmo ha appreso la varietà della natura: ci sono voluti 6 mesi di lavoro, 6 mesi di calcoli. Poi, con il mio staff di analisti e tecnici, abbiamo “pulito” i dati e li abbiamo sintetizzati: questa è la data dramatization».
E che storia raccontate?
«I visitatori entrano in una stanza, una sorta di “architettura aumentata”, dove su due pareti appare l’ipnotica visualizzazione delle immagini dei fiori che mutano l’uno nell’altro. Le altre due pareti, a specchio, moltiplicano la percezione di questa trasformazione mentre suoni e odori che rimandano al paesaggio naturale completano l’immersione nello spazio. Prende vita anche una scultura digitale ispirata al potere mutante del serpente. Questo luogo poetico solletica tutti i nostri sensi: per cinque minuti questo è il tempo della dramatization, siamo dentro un mondo incantato, realizzato grazie all’intelligenza artificiale e alla creatività umana».