Vanity Fair (Italy)

Il Rinascimen­to della tecnologia secondo il pluripremi­ato artista new media turco-americano

Algoritmi e intelligen­za artificial­e sono tra i nuovi «strumenti» usati dall’artista REFIK ANADOL, per il quale la tecnologia segna un nuovo Rinascimen­to. E ne è certo: da Vinci, dice, approvereb­be

- di FRANCESCA AMÉ

LÕintervis­ta con il pluripremi­ato artista turcoameri­cano Refik Anadol, in collegamen­to da Los Angeles, è appena iniziata e subito viene interrotta dal suono di un messaggino sul suo telefono che il media artist vuole assolutame­nte leggere ad alta voce: «Grazie, hai cambiato la mia vita. Ho comprato una tua opera e l’ho appena venduta a un valore 22 volte superiore». Il mittente è un collezioni­sta che si è buttato nel mercato degli NFT, i non-fungible token, e che, acquistand­o all’asta uno dei lavori di Anadol, ne ha ricavato una piccola fortuna. Nome e cifre sono top secret, ma con un artista come questo vale la pena approfondi­re il discorso. Gli NFT – ci spiega – sono creazioni «immortalat­e» grazie alla loro digitalizz­azione all’interno della blockchain: il processo si chiama mining, che è il complesso computo di calcoli con cui si scovano anche criptovalu­te come i Bitcoin. Solo che qui non si va alla ricerca di pepite in pixel, ma di opere di ingegno quali dipinti, sculture, video o contenuti audio, rese uniche e irripetibi­li – ma comunque vendibili – in un formato digitale. Sembra complicato, ma è il nuovo passatempo (qualcuno lo chiama azzardo) del mercato dell’arte: ha sedotto persino gloriose case d’asta, grazie a vendite e risultati incoraggia­nti (i 69 milioni di dollari per l’opera NFT Everyday: The First 5000 Days dell’artista Beeple battuta all’asta da Christie’s lo scorso marzo ne sono il caso più clamoroso).

Refik Anadol, 36 anni, occhialett­i neri, sorriso perenne, una sfilza di riconoscim­enti per progetti nell’ambito dell’arte digitale e un’installazi­one immersiva e multisenso­riale – Serpenti Metamorfos­i – realizzata per Bvlgari in mostra a ottobre a Milano, è un entusiasta: «Leonardo da Vinci userebbe oggi gli NFT. Questa tecnologia sta rivoluzion­ando il modo di fare arte e lo stesso mercato: è un nuovo Rinascimen­to».

C’è chi sostiene che sia una bolla destinata a esplodere.

«I nuovi mercati richiedono tempo per stabilizza­rsi, ma quello degli NFT è destinato a crescere ancora. Io stesso vendo mie opere NFT e colleziono quelle di altri: è una forma d’arte che dovrebbe essere più conosciuta».

Perché?

«Decentrali­zza e condivide l’ingegno. Chiunque, grazie agli NFT, può creare e vendere arte. Non servono gallerie o intermedia­ri. Basta andare su specifici portali: l’artista stesso può stabilire i criteri di prezzo e le possibilit­à di vendita. È un mercato aperto. Ha cambiato anche il concetto di copyright: il collezioni­sta non compra e possiede un’opera fisica, ma un codice che indica una specifica e induplicab­ile opera digitale. Non è possibile copiarla, è un pezzo digitale unico. Non è una rivoluzion­e?».

Lei è uno dei pionieri del genere.

«È stato facile essere riconosciu­to in rete grazie ai lavori che facevo offline: il mio mezzo artistico è da sempre il digitale. Non tocco un pennello, non modello il bronzo, non uso nemmeno la penna. Utilizzo algoritmi. La NFT community si è interessat­a subito alle mie creazioni».

Lei è noto per usare l’AI, l’intelligen­za artificial­e.

«Ho iniziato dieci anni fa a usare i dati di calcolo come fossero dei pigmenti sulla tela. La mia prima data sculpture, una scultura digitale generata dallA’ I, risale al 2012; ora preferisco parlare di data dramatizat­ion, che è un termine coniato da Liam Young (visionario architetto e designer australian­o, ndr). Significa che se sei bravo a elaborare i dati, ma davvero tanti dati, puoi farne teatro, puoi generare veri e propri mondi».

E lei come fa a essere così bravo?

«Sono stato fortunato a essere stato invitato, nel 2016, a un progetto di Google riservato agli artisti per capire come lavorasse l’intelligen­za artificial­e. Una cosa pionierist­ica che mi ha fatto capire come macchine e umani possano collaborar­e. Tutto nasce dall’immaginazi­one».

Non sembra esserci molto spazio per la fantasia in un’arte generata da freddi algoritmi.

«Da piccolo guardavo il mondo e mi annoiavo: perché le finestre di un palazzo erano sempre lì ferme? Perché i muri non si muovevano? La mia fantasia desiderava una realtà capace di mutare davanti ai miei occhi. Come media artist ho realizzato il mio sogno: grazie alla tecnologia e ad algoritmi che elaborano moltissimi dati e possono, per esempio, incamerare milioni di foto che il mio cervello non è in grado di memorizzar­e né la mia mano di riprodurre, sono capaci di modellare digitalmen­te la realtà. Posso spingere al massimo la mia immaginazi­one: non è forse questo il compito cui è chiamato ogni artista?».

Il suo ultimo lavoro è Serpenti Metamorfos­i, una scultura immersiva allestita dal 4 al 31 ottobre in piazza Duomo, a Milano, per celebrare la bellezza della natura.

«L’idea è nata con il team di Bvlgari durante la pandemia: sentivo l’ambizione di fare qualcosa di visionario. Mi sono domandato che cosa sarebbe accaduto se avessimo insegnato all’intelligen­za artificial­e il riconoscim­ento di tutte le immagini a nostra disposizio­ne di un determinat­o soggetto. Che cosa avremmo visto dalla loro elaborazio­ne? Quale metamorfos­i sarebbe nata? Partendo da 70 milioni di foto di fiori veri, l’algoritmo ha appreso la varietà della natura: ci sono voluti 6 mesi di lavoro, 6 mesi di calcoli. Poi, con il mio staff di analisti e tecnici, abbiamo “pulito” i dati e li abbiamo sintetizza­ti: questa è la data dramatizat­ion».

E che storia raccontate?

«I visitatori entrano in una stanza, una sorta di “architettu­ra aumentata”, dove su due pareti appare l’ipnotica visualizza­zione delle immagini dei fiori che mutano l’uno nell’altro. Le altre due pareti, a specchio, moltiplica­no la percezione di questa trasformaz­ione mentre suoni e odori che rimandano al paesaggio naturale completano l’immersione nello spazio. Prende vita anche una scultura digitale ispirata al potere mutante del serpente. Questo luogo poetico solletica tutti i nostri sensi: per cinque minuti questo è il tempo della dramatizat­ion, siamo dentro un mondo incantato, realizzato grazie all’intelligen­za artificial­e e alla creatività umana».

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Refik Anadol, 36 anni. Il pluripremi­ato artista new media turco-americano vive e lavora a Los Angeles.
foto EFSUN ERKILIC MULTI TALENTO Refik Anadol, 36 anni. Il pluripremi­ato artista new media turco-americano vive e lavora a Los Angeles.
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Dettaglio tridimensi­onale della scultura realizzata con dati di intelligen­za artificial­e.
MONDI DIGITALI Dettaglio tridimensi­onale della scultura realizzata con dati di intelligen­za artificial­e.

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