Al carcere di Gorgona i detenuti partecipano a un progetto sociale
Alla scoperta di paradiso naturale e sede di un carcere speciale: qui i detenuti partecipano a un progetto sociale che li impegna nel campo della viticoltura. Per credere nel domani
Il profilo è scuro e incombente come una gigantesca roccia che emerge lentamente dal mare. Avvicinandosi, però, Gorgona muta completamente. È l’isola più piccola dellA’ rcipelago toscano (Parco Nazionale) nonché la più nota per la ricchezza della sua biodiversità e per essere l’unica isola-carcere rimasta in Europa. Se la grande bellezza nasce dall’armonia e dai contrasti, allora questo luogo così aspro e dolce, a metà tra paradiso e purgatorio (i detenuti hanno un residuo di pena da scontare non superiore ai 15 anni), è decisamente magnifico, da rapire il cuore. A poco a poco l’ombra scura intravista in lontananza si trasforma in un selvaggio ed esuberante trionfo di verde, dove la macchia mediterranea, con oltre 400 specie di fiori e piante, alcune autoctone, è popolata da conigli, uccelli migratori, falchi pellegrini e gabbiani reali che sfiorano le acque limpidissime. Le poche case dove un tempo vivevano i pescatori, ora usate per brevi soggiorni dai loro eredi − solo la signora Luisa, l’ultra novantenne nonnina dell’isola, ci abita tutto l’anno −, di recente sono state dipinte con colori vivaci, regalando uno scorcio illusorio delle Cinque Terre. Gorgona può essere visitata dai turisti, ma solo su prenotazione e accompagnati da guide abilitate che li conducono in lunghe passeggiate, ideali per appassionati di trekking, per ammirare le splendide insenature, le fronde verdi e argentee degli ulivi Bianco di Gorgona, da cui quest’anno verrà ricavato il primo olio, la Torre Vecchia costruita dai pisani, la Torre Nova medicea, la chiesetta di San Gorgonio.
Percorrendo la strada che porta ai vigneti terrazzati, si resta inebriati dall’intenso profumo delle erbe spontanee, di santolina, rosmarino (circa 40 varietà), timo, ginepro e finocchio selvatico, note olfattive che si ritrovano nel vino Gorgona, blend di uve Vermentino e Ansonica, giunto alla sua nona vendemmia. Viene prodotto sull’isola da Marchesi Frescobaldi grazie al lavoro di alcuni detenuti che, ogni anno a rotazione, partecipano a un progetto sociale iniziato nel 2012, nato dalla collaborazione del gruppo vinicolo con la direzione della colonia penale.
L’obiettivo: permettere ai carcerati di fare esperienza nel campo della viticoltura, imparare un mestiere, sentirsi utili e credere nel domani. Con la supervisione degli agronomi e degli enologi di Frescobaldi hanno coltivato circa due ettari e mezzo di vigneti da cui è stato ricavato «un vino inimitabile, simbolo di speranza e libertà, che racconta l’amore per l’isola, la passione dell’uomo, la speranza di una vita migliore», ha detto durante la vendemmia il presidente Lamberto Frescobaldi. «È l’essenza di questa terra e di un progetto che non finisce mai di regalare emozioni».
Un vino che ha anche il gusto del riscatto: «Posso dire a mio figlio che lavoro da Frescobaldi e mandare i soldi a casa. Questa bottiglia l’ho fatta anche io e ne sono fiero»: Federico Falossi, agronomo di una delle tenute del gruppo, ricorda le parole di un detenuto. «Imparano un lavoro e hanno una busta paga. La collaborazione può continuare anche all’esterno, a fine pena: cinque di loro sono stati assunti da noi». La prima bottiglia della nuova
annata è stata assaggiata sull’isola per coinvolgere tutte le persone che hanno contribuito a crearla. «Gorgona è cambiata, stiamo riacquistando un senso di comunità», spiega il direttore del carcere Carlo Mazzerbo. «Gli 80 detenuti hanno un ruolo, si occupano dei vigneti, degli ulivi, degli animali (mucche e pecore), della manutenzione dei fabbricati. Quando escono hanno maggiori possibilità di reintegrarsi. La recidiva è più bassa: con un mestiere si riscopre se stessi e si acquistano responsabilità e autostima. Bisogna lavorare sulle persone, affinché diventino consapevoli delle scelte fatte. È questa la scommessa».
Durante la pigiatura dell’uva, il «veterano» dei quattro detenuti «viticoltori» (arrivato sull’isola da un altro carcere otto anni fa e con altri cinque da scontare) ha sorriso, un po’ emozionato: «Anche se il pensiero è sempre a casa, alla mia famiglia, arrivare qui è stato un premio. È un’altra vita».