Vanity Fair (Italy)

IL CUORE TRA LE BOMBE

Due madri e i loro tre bambini, a bordo di un’auto. Sei giorni attraverso mezza Europa per raggiunger­e l’Italia. Finalmente salvi. Anche se il pensiero rimane fisso lì, ai mariti e a tutti quelli che cercano di resistere, in Ucraina

- di VERONICA BIANCHINI foto GIULIA PERONA

Prendi lo zainetto Makarii. Sì, porta anche il lego. Vieni, sali in macchina, andiamo dalla nonna. Mangeremo il gelato e la pizza, magari potrai bere anche un po’ di Coca-Cola». Deve sembrare tutto bello. Deve sembrare un vero viaggio. Non una fuga dalle sirene, dalle bombe, dalla follia degli uomini. Makarii ha tre anni e non può capire la tragedia

che sta devastando il suo Paese, l’Ucraina. Dice che c’era del fuoco in cielo e poi loro sono partiti. Forse un giorno, se sarà fortunato, non si ricorderà nulla. Non si ricorderà i tank, le esplosioni, le barricate, i soldati. Non si ricorderà quei 1.800 chilometri su un’utilitaria per lasciarsi alle spalle l’orrore e la paura e raggiunger­e un posto sicuro. È la mattina del 25 febbraio, sulla città di Kamyanets-Podilskyi da 24 ore piovono bombe. Nella notte Makarii, sua madre Irina, di 30 anni, e suo padre Mjhail, di 33, si sono rifugiati in cantina nella villetta della cugina di sua mamma, Olena, 35 anni, con il marito di lei Serghej e i loro due figli Ivan e Zakhar,

9 e 11 anni. Hanno dormito lì, rannicchia­ti sotto terra, uno vicino all’altro, cercando di non pensare al fischio delle sirene.

Fino a quarantott­o ore prima i giorni di Makarii, di Ivan e di Zakhar assomiglia­vano a quelli di tutti gli altri bambini: la scuola, gli amichetti, le serate in famiglia, qualche gita. Poi, «in un attimo», come dice Olena, «è cambiato tutto. In un attimo si è dovuto decidere della propria vita e del proprio futuro. Chi restava, chi partiva. Dove andare. Cosa portare». E in un attimo Makarii si è trovato dentro un’auto con addosso i suoi vestiti più pesanti e un peluche tra le braccia. «Sono un medico, non volevo lasciare l’Ucraina. Là avrei potuto dare una mano. Sono partita solo per portare i bambini in un posto sicuro. Sapevo che, se fossero rimasti, la loro vita sarebbe stata in costante pericolo», racconta Olena con il volto rigato di lacrime, adesso che, dopo aver guidato per sei giorni di fila, sono tutti in salvo a Milano, a casa delle nonne, che lavorano qui da tanti anni come colf. Siret, Lipcani, Dorohoi, Budapest, Marburgo, Lubiana,

«Abbiamo visto la bontà della gente: una catena umana di SOLIDARIET­À ci ha sostenuto»

Gorizia, Venezia: le città scorrevano come titoli di film fuori dal loro finestrino, mentre lei cercava di non voltarsi indietro, di non immaginare suo marito che è rimasto là a combattere. Ora che sono tutti qui, in Italia, può concedersi di piangere e di ripensare a ciò che ha lasciato. Li incontriam­o in un quartiere della periferia Nord della città, dove vive nonna Natalia: sono arrivati nella notte dopo aver attraversa­to mezza Europa, stipati in cinque in una vecchia Opel. Irina parla a voce bassa e non sorride, Makarii, si guarda intorno, il faccino stanco, ma gli occhi pieni di curiosità. Olena comincia a raccontare.

Lei non voleva partire, voleva che ad andarsene fossero i suoi figli. Lei sarebbe rimasta lì accanto a suo marito a resistere, a lottare per il proprio Paese. I bambini, invece, dovevano fuggire, venire in Italia con sua sorella, Julia, i figli di lei e poi Irina e Makarii, che è troppo piccolo per viaggiare senza la mamma. Ma un passaporto scaduto ha cambiato il destino di tutti. Julia non può lasciare il Paese. Su quella macchina con i ragazzi deve salire Olena, mentre sua sorella si nasconderà tra le montagne dei Carpazi.

«È successo tutto in fretta», aggiunge Irina, «quando sono iniziati i bombardame­nti, prima abbiamo provato a nasconderc­i, ma poi abbiamo capito che non potevamo restare. Abbiamo radunato poche cose, caricato l’auto e con Olena e i ragazzi siamo partite per raggiunger­e i nostri genitori». Qualche soldo, i passaporti, i vestiti dei bambini, i farmaci essenziali: così Olena e Irina, quella mattina, si mettono in viaggio.

«Non avevamo la minima idea di cosa aspettarci», racconta Olena, alta, capelli biondi e sguardo fiero. «Molte persone partivano. C’erano file di macchine cariche che si dirigevano verso la frontiera, ma non immaginava­mo quanto sarebbe stato complicato lasciare il Paese». Le ragazze, con i loro tre figli, si dirigono al confine con la Romania. «Ci abbiamo messo 36 ore per fare 180 chilometri», spiega Irina. «La situazione era incredibil­e: c’era una fila sterminata di auto che avanzava a passo d’uomo». Quando sono stanche, si fermano un attimo per riposare, mentre tantissimi volontari ucraini passano accanto alle auto in coda per offrire acqua, panini, un frutto, i pannolini per i bambini. «Abbiamo provato ad andare avanti, ma più ci avvicinava­mo al confine, più lenta si faceva la coda. Molte persone abbandonav­ano l’auto e continuava­no a piedi, ma per noi, con i piccoli, era una scelta impossibil­e. Dopo aver provato per un giorno e mezzo a passare, abbiamo capito che non potevamo proseguire in quella direzione». Si fanno forza a vicenda, Olena e Irina. Lo fanno ora, sedute una accanto all’altra, su un divano in una città straniera, e lo hanno fatto quella sera, per i loro figli prima di tutto. Prendono la cartina, cercano

 ?? ?? DA KAMYANETS-PODILSKYI A MILANO
Irina, 30 anni, tiene in braccio Makarii, 3 anni. Accanto, la cugina Olena, 35 anni, medico, con i figli Ivan e Zakhar, di 9 e 11 anni.
DA KAMYANETS-PODILSKYI A MILANO Irina, 30 anni, tiene in braccio Makarii, 3 anni. Accanto, la cugina Olena, 35 anni, medico, con i figli Ivan e Zakhar, di 9 e 11 anni.
 ?? ?? IL VIAGGIO
Partite dal loro Paese il 25 febbraio, Olena, Irina e i loro bambini hanno attraversa­to l’Est Europa a bordo di una vecchia Opel. Sono passate da Siret, Lipcani, Dorohoi, Suceava e Oradea; e poi l’Ungheria e Budapest, e la Slovenia; infine l’Italia, attraverso Gorizia. Sono arrivate a Milano la sera del primo marzo.
IL VIAGGIO Partite dal loro Paese il 25 febbraio, Olena, Irina e i loro bambini hanno attraversa­to l’Est Europa a bordo di una vecchia Opel. Sono passate da Siret, Lipcani, Dorohoi, Suceava e Oradea; e poi l’Ungheria e Budapest, e la Slovenia; infine l’Italia, attraverso Gorizia. Sono arrivate a Milano la sera del primo marzo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy