Profughi, catasto e ombrelloni
Adi ncora l’estate scorsa Matteo Salvini si presentava alle feste su terrazza romana con la faccia
Vladimir Putin tatuata sulla maglietta a maniche corte. Che per vantarsene indossava sopra la camicia a maniche lunghe. «Mi basterebbe mezzo Putin in cambio di due Mattarella», diceva con gli occhi gonfi di devozione, sentendosi moderno, spregiudicato, adeguato ai tempi sintonizzati sull’uomo forte al comando. Cioè lui medesimo, che per un anno intero si era fatto gradasso ogni sera in tv con i più deboli di tutti, gli immigrati a un soffio dal naufragio, in cambio di un facile guadagno elettorale. Almeno fino a quando toccò a lui fare naufragio tra le onde di Mojito e zucchero di canna del Papeete.
Rivisto oggi, con l’enorme tragedia dell’Ucraina in corso, la sua personale parabola umana e politica appare in forma di minuscola, ma istruttiva farsa: zittito e cacciato in mondovisione da un sindaco polacco che proprio quella maglietta gli rinfacciava: «Se ne vada!». Apostrofato «Pagliaccio!» e «Buffone!» da un paio di fotografi italiani presenti sulla scena. Irriso all’infinito nel Mac Mondo dei social, dove di solito si trova comodo, seduto tra la senape e il formaggio.
Invece di andare a nascondersi per qualche mese, dietro a un certificato di «disturbo post traumatico da stress», Salvini è tornato di corsa tra le briciole della politica italiana. Dove ha ricominciato la rumba fin troppo facile del guastatore di lotta e di governo, come durante l’ultimo biennio: chiudete tutto contro il Covid, no, anzi, riaprite tutto per le imprese; sì al Green Pass, anzi, no alla dittatura sanitaria; più soldi per tutti, meno tasse per tutti, i risarcimenti non bastano, facciamo debito, libertà, libertà, compresa quella (ricordate?) di citofonare, in diretta tv, a uno sconosciuto: «Scusi, lei spaccia?», rischiando di trovare, come sarebbe capitato di lì a poco, un innocente Luca Morisi in crisi di solitudine estiva.
Infischiandosene delle bombe e della catastrofe umanitaria dei profughi, si è messo a palleggiare dentro due nuove battaglie ad alta intensità ideale: impedire l’aggiornamento del catasto italiano, congelato da trent’anni, tutelando la clandestinità di un milione e mezzo di abitazioni costruite abusive, senza oneri, senza controlli, senza criterio. Bloccare la revisione delle concessioni balneari, dove da sempre i fortunati gestori di ogni millimetro di mare, ereditano, di padre in figlio, il privilegio proprietario, pagano affitti da due lire allo Stato, ma vendono gli ombrelloni a peso d’oro.
Due scandali che i partiti si trascinano, di governo in governo, facendo finta di non sentire i richiami di Bruxelles per mettere ordine al disordine, favorire la libera concorrenza, sostenere una maggiore equità fiscale. Nodi che a questo giro Mario Draghi si è impegnato a sciogliere, grazie a un governo che per due terzi, almeno stavolta, sembra dargli retta. Salvo quel che resta di Forza Italia. E naturalmente Salvini che più di tutti sbuffa, intralcia: «Ora non è il momento, rimandiamo». Che è poi l’eterno escamotage del cacciatore di consensi: sempre meglio lo status quo dell’ignota innovazione, sempre meglio i condoni delle regole.
DICONO
DICONO CHE UN MANAGER NON SIA AFFATTO HAPPY E SI SENTA MOLTO SOLO. DICONO CHE DOPO TANTE DELUSIONI NON ABBIA PIÙ INTENZIONE DI AVERE UNA STORIA SERIA E CHE FREQUENTI SOLO PROFESSIONISTE PIUTTOSTO CARE CHE LO STANNO SPENNANDO. DICONO