ARMIAMOCI DI EMPATIA
Il conflitto in Ucraina ha riportato all’attenzione l’impegno di STORIE DALL’ALTRO MONDO, il profilo Instagram che racconta i destini di profughi e rifugiati. «Le persone non si fanno spaventare dal dolore altrui», dice la sua fondatrice. «Vogliono compre
Stiamo parlando della più grande crisi di rifugiati in Europa, siamo alle prese con numeri che non vedevamo dalla Seconda guerra mondiale». Francesca Napoli, operatrice legale di Roma specializzata nel diritto d’asilo, 38 anni, ha una voce costernata, nonostante tragedie del genere facciano ormai parte del suo quotidiano. O meglio: lei a queste tragedie dà quotidianamente un volto: quello di Amelia, che canta nel sotterraneo di un bunker, a Kiev; quello della minuscola Mia, che sotto una pioggia di bombe è nata; quello degli studenti extraeuropei rimasti bloccati al confine tra Ucraina e Polonia mentre tentavano una fuga disperata – è stata tra i primi a parlarne. Volti e storie diventati virali in Italia anche per merito di Napoli, e del suo seguitissimo account Instagram, Storie dall’altro mondo, che ai drammi di rifugiati vicini e lontani è dedicato.
Ma che cosa vuol dire portare tragedie, orrore e disperazione sul social più «pop» e volubile? «Cerco di postare le mie storie sempre dalla prospettiva delle persone. Anche ora, sto raccontando il conflitto in Ucraina attraverso i miei filtri. Non sono un’analista politica, il punto di vista è quello dei profughi. Utilizzo Twitter per recepire le informazioni, faccio le mie verifiche, contatto le persone. E poi pubblico: non sono una giornalista, sono un’attivista che vuole portare alla luce storie sommerse», spiega.
Laureata in Legge con un master in diritto europeo, appassionata di viaggi, Napoli ha alle spalle anni di volontariato prima e lavoro umanitario poi. India, Kenya, Colombia, Malta, Libia, Lampedusa, Sud Sudan: ha assistito ai drammi che rendono una persona migrante, sa che cosa vuol dire per un rifugiato attraversare una frontiera, ha sentito sulla sua pelle la minaccia del mare nel miraggio della salvezza.
Dopo anni di lavoro sul campo, nel 2013 Napoli rientra in Italia. Si occupa di tutela legale, assiste chi chiede il riconoscimento della protezione internazionale o un ricongiungimento familiare. Ma a cambiare la sua vita, tre anni fa, sono stati i decreti sicurezza di salviniana memoria: «Era un momento storico molto preciso, la propaganda xenofoba, razzista e nazionalista era alle stelle. Quelle riforme legislative intaccavano principi costituzionali. Io vedevo tutt’altra realtà, e dal di dentro». È nato prima il nome, Storie dall’altro mondo, che il progetto: «Portavo con me storie di persone che per la maggior parte erano invisibili. Ero come un ponte tra due mondi lontani ma paralleli. Uno emerso, uno sommerso». Sceglie Instagram e decide di iniziare a postare contenuti che nessun social media manager avrebbe mai mandato online: ragazzini siriani sopravvissuti alla rotta balcanica, giovani pacifisti sudanesi sfuggiti a una guerra, giovani afghane traumatizzate, ex bambini di strada venezuelani, madri uigure torturate con l’elettroshock. «Se in Italia l’appiattimento del migrante al solo profilo numerico presta il fianco a tutta quella narrativa sull’invasione che li depersonalizza, il veicolo della mia comunicazione è l’empatia».
Lo viviamo oggi nel pieno della tragedia ucraina, precisa. I volti di piccoli ucraini affidati a sconosciuti da madri disperate, le coppie che si dividono, gli anziani intrappolati sotto un ponte hanno smosso le coscienze e aperto le frontiere, i portafogli, persino le case. Tanta solidarietà è secondo Napoli frutto di un’informazione ampia, battente, capillare, ma soprattutto umanizzante, e non solo sotto l’aspetto giuridico o politico. «L’empatia permette di cambiare la narrazione. Ed è fondamentale farlo perché, come stiamo vedendo, la storia fa il suo corso e chiunque di noi può, di colpo, ritrovarsi profugo». Ma la potenza dei social, oggi, si riflette nell’opinione pubblica. L’azione politica, volente o nolente, per cinismo o per coscienza, non può dimenticarlo. Ecco allora la decisione senza precedenti dell’Unione Europea di offrire protezione temporanea a chi fugge dall’Ucraina, assicurando loro immediatamente lo status di rifugiati. «Una notizia straordinaria. Finalmente si è deciso di dare immediata risposta umanitaria a persone che scappano senza attraversare una lunga e macchinosa burocrazia. Sappiamo che fuggono da un conflitto e avranno diritto a un permesso di soggiorno immediato che dà diritto a lavorare, studiare e integrarsi, per poi eventualmente, a conflitto finito, tornare nel proprio Paese».
La speranza, per l’avvocatessa Napoli, è che finalmente questo stesso principio venga applicato in altri conflitti: «In Yemen, dove sono morte 400 mila persone, tra le quali almeno 10 mila bambini, l’emergenza umanitaria coinvolge milioni di persone. In Siria la guerra è ancora in corso. Il diritto non è un’opinione, non esistono guerre vere e guerre finte, profughi di serie A e di serie B. Evitiamo di cadere in un’enorme ipocrisia». Francesca Napoli ci tiene a non fare distinguo: l’accoglienza dei rifugiati ucraini è un dovere, morale e legale. A essere inaccettabile è il fatto che la sofferenza di altri sia giudicata diversamente.
Curiosamente, sono rari gli haters sulle pagine del suo profilo («Sono quelli sui quali concentro le mie risposte. C’è molta ignoranza, paura. Qualcuno lo convinco»). Piuttosto, la domanda che ricorre tra i commenti è: che cosa si può fare? «Questa pagina è nata dal mio senso d’impotenza, eppure io sono una persona che fa, anche per lavoro. Così, nel tempo, è nata una community che attraverso un canale Telegram lavora ad azioni concrete». Il gruppo, per esempio, ha contribuito a salvare dai campi di concentramento libici un ragazzino somalo malato di tumore, oggi rifiorito e curato in Italia, dove studia.
Da quando è diventata mamma quattro anni fa, le tragedie dei più piccoli le vive con particolare intensità: «Mio figlio ha visto le immagini dell’Ucraina, gli ho spiegato che ci sono delle persone buone che devono scappare per colpa di altre persone cattive». Poi conclude: «Si pensava che su Instagram questi temi fossero di nicchia, che a vincere fosse solo il frivolo. Eppure, la pagina sta avendo successo. Le persone non si fanno spaventare dal dolore altrui, ma vogliono comprenderlo, e fare la loro parte». Peccato sia servita la disperazione dell’Ucraina per dimostrarlo.