Drive to OSCAR
Con il suo road movie, il regista Ryusuke Hamaguchi è candidato a quattro statuette. In gara anche contro Paolo Sorrentino
Aun certo punto dell’intervista dice: «Del vostro Paese conosco tre città, Milano, Bologna e Roma». Il nome di Ryusuke Hamaguchi non è altrettanto noto agli italiani. Ma le cose cambieranno quando (con buone probabilità) lo sceneggiatore e regista giapponese sfilerà l’Oscar per il miglior film straniero a Paolo Sorrentino. Con È stata la mano di Dio, il road movie Drive My Car ha in comune il tema, un trauma da superare, e una fotografia magnifica. Già miglior sceneggiatura al Festival di Cannes e miglior film straniero ai Golden Globes, tratto da un racconto breve di Haruki Murakami, ha per protagonista un uomo che ha perso la moglie e durante un lungo viaggio entra in confidenza con la donna che gli fa da autista.
Il suo lavoro ha altre tre nomination agli Oscar.
«Sono sinceramente sorpreso e non so come affrontare la situazione».
A quale candidatura tiene di più?
«Sarei felice se vincessimo il premio per il miglior film, perché è il più importante, il più difficile da ottenere e il più adeguato includendo tutto il team di lavoro».
Ha dichiarato di aver avuto la prima folgorazione cinematografica con Ritorno al futuro II. Come spiega il divario tra i suoi film d’autore e i blockbuster che cita?
«La cosa non deve sorprendere. L’industria giapponese è molto diversa da quella di Hollywood: noi non abbiamo grandi budget, non siamo liberi come gli americani. Ma l’intenzione è la medesima: intrattenere».
Una Saab rossa è a tutti gli effetti fra i protagonisti di
Drive My Car. «Nel racconto originale era gialla. Però, quando ho visto in un concessionario quella del film, ho pensato fosse cool e che si sposasse meglio con il paesaggio giapponese».
Le piace guidare?
«Non più. Da quando ho la patente, l’ho fatto solo tre volte e in tutte sono stato coinvolto in incidenti. Cammino, prendo treni e autobus».
Ricorda l’automobile di suo padre, quando lei era bambino?
«Credo fosse una Toyota Corolla Sedan, ma non ha avuto un grosso impatto su di me. Rammento solo lo sgradevole odore della pelle».
Ha citato Bologna, Roma e Milano: conosce il nostro cinema?
«Lo amo profondamente, soprattutto quello di Michelangelo Antonioni. La sua trilogia esistenziale L’avventura,
La notte e L’eclisse è un capolavoro inarrivabile e mi ha permesso di conoscere Monica Vitti… Mi dispiace molto che sia mancata».
È dal 2019 che si parla del suo primo film in lingua non giapponese girato a Parigi.
«La pandemia ha bloccato tutto. Le riprese di Our Apprenticeship inizieranno nel 2022 e avranno al centro una coppia gay e molti personaggi queer. Ma prima tornerò alle origini: i documentari. Ne ho girati parecchi dopo essermi laureato e ora sento l’urgenza di tornare a quel tipo di espressione».