Vanity Fair (Italy)

METTERCI LA FACCIA

Nel museo allestito da Vanity Fair nel Metaverso (il lancio a breve, nei giorni della Biennale di Venezia) ci saranno anche le opere dell’italiano SKYGOLPE, tra i nomi più quotati nel panorama dell’arte digitale: ritratti senza volto con un’identità e una

- di DAVIDE PIACENZA

Strentacin­que e gli Nft fossero il rock, Skygolpe sarebbe tra le rockstar più celebrate in Italia e nel mondo. A anni è un nome notissimo nella scena dell’arte digitale, con una produzione che, secondo la piattaform­a CryptoArt, supera i 6 milioni di dollari di valore. Si definisce «uneducated artist», ma ha una formazione e un’accesa passione da filosofo, e i modi gentili di chi è sicuro di sé.

Le sue opere, ha scritto il portale specializz­ato Nifty

Gateway, «usano abilmente la ritrattist­ica senza volto per fare riferiment­o all’umanità nel suo insieme», e accostano colate di colore, pennellate, sagome, fotografie ed effetti digitali con cui lo spettatore crea una connession­e emotiva unica. Sembra che, pur non avendo un viso, le sue figure vivano di una loro precisa identità: Skygolpe è d’accordo? «Più che un’identità, direi che il mio modo di ritrarre conferisce loro un certo impatto. I colori e i pattern giocano un ruolo importante a livello espressivo,

ma mi piace pensare che l’identità venga poi decodifica­ta da chi osserva l’opera. Il mio intento è sempre oggettivo, cerco di non stringermi in un campo contestual­e, di lasciare il più ampio spazio possibile a chi si trova davanti all’opera», spiega l’artista a Vanity Fair.

Che cos’è l’identità, allora, per il maestro dell’arte digitale che privilegia l’oggettivit­à? «Ho due definizion­i: la prima la concepisce come niente altro che una convenzion­e sociale, mentre su un piano più personale direi che è il modo in cui vediamo noi stessi, la manifestaz­ione esteriore di una nostra analisi interna».

È già stato oggetto di accostamen­ti importanti, questo artista italiano: il Museum of Contempora­ry Digital Art l’ha definito «il cripto-Modigliani». Ma chi sono gli artisti che più l’hanno ispirato e influenzat­o? «Quelli che mi hanno influenzat­o veramente, in realtà, con il mondo dell’arte hanno poco a che fare: su tutti citerei Fëdor Dostoevski­j e Fabrizio De André. Il primo per avermi

insegnato la bellezza dell’esplorazio­ne interiore: attraverso le descrizion­i degli stati psicologic­i dei suoi personaggi ho affinato la mia ricerca artistica, che si interessa al lato invisibile della realtà; attraverso i testi delle canzoni del secondo ho invece appreso un certo realismo, e apprezzo come riusciva a trovare il bello, l’interessan­te in concetti che di norma finiscono persi nella banalità quotidiana. Ho passato lunghi periodi della mia vita ad ascoltare Faber tutto il giorno».

Skygolpe ha avuto modo di descrivere la sua produzione artistica come «irrazional­e», e segnata da una dinamica che ha accostato a uno svuotament­o di se stesso. È una concezione dell’arte come urgenza espressiva? «Tratto il processo creativo come una sorta di rito, dove in realtà le sessioni più intense sono frutto di lunghi preparativ­i, che comprendon­o anche la meditazion­e: quando arrivo a produrre, medio tra l’aspetto di ricerca meno “razionale” e una preparazio­ne che parte da molto prima».

L’amore per la filosofia nelle opere di Skygolpe «pesa tantissimo. È il fulcro totale del mio lavoro, la maggiore fonte di ispirazion­e. Mi piace esplorare il segmento esistenzia­lista, quel mondo che sottrae sicurezza più che affermare dogmaticam­ente, il che mi permette di mettermi sempre in discussion­e. Mi definisco un realista esistenzia­le: all’interno dei miei soggetti mi piace mettere in contrasto la fragilità e l’eroismo umani».

Skygolpe ha iniziato a creare arte prima della rivoluzion­e degli Nft, ma poi ha saputo diventarne uno degli interpreti più brillanti e noti. Sembra doveroso chiedergli qual è la più grande novità portata dalla new wave, e quale quella che ha cambiato la sua esperienza personale. «Il cambio di passo oggettivo che hanno portato gli Nft risiede nel rapporto dell’artista col mercato, con la società e con i collezioni­sti», ci spiega, «unito a una nuova sovranità sul proprio lavoro». Da un punto di vista più artistico e soggettivo, invece, il rinnovamen­to è arrivato sul piano della consideraz­ione delle proprie opere: «Prima degli Nft, l’arte digitale per me era sempre stata complement­are al mio lavoro», dice, «poi ho iniziato a metterla sullo stesso piano di quella “fisica”. Ne è venuto fuori uno studio su questa terza dimensione ibrida, dove mi piace creare uno stato di confusione fra le altre due».

Nella collezione History of the Future, la star degli Nft rappresent­a una società arrivata a un punto di non ritorno. Qual è questo punto di non ritorno, e che cosa l’ha generato? «Credo nei cicli della storia, nella ripetizion­e delle cose. All’interno dei cicli ci sono sempre poli positivi e poli negativi: noi abbiamo toccato il punto più alto dell’ultracapit­alismo, del capitalism­o anarchico, e i concetti e le cose di quest’epoca iniziano a suonare stantii, ci sono nuove tecnologie e nuovi sistemi che premono per dargli il cambio».

È tutto molto affascinan­te, ma siamo pronti ad accoglierl­o? Se pensiamo ai giovani capi azienda e agli amanti delle criptovalu­te che animano la comunità internazio­nale dei non-fungible token, l’Italia non sembra il terreno migliore su cui seminare. «Essendo un Paese umanista, abbiamo sempre difficoltà ad abbracciar­e le nuove tecnologie rispetto a quanto avviene, per esempio, negli Stati Uniti. Culturalme­nte partiamo svantaggia­ti, e senza dubbio la classe dirigente è anagrafica­mente di età avanzata, anche se poi ci sono segnali in controtend­enza: di recente sono stato ospite del Fai a Villa Panza, a Varese, di fronte a un parterre di decine di collezioni­sti d’arte tradiziona­le, anche abbastanza ‰gŽe, e mi sono stupito della curiosità e della quantità di domande pertinenti che mi sono state poste. Senza contare che l’Italia ha una delle community di cryptoarti­sti più attive e influenti del mondo».

C’è speranza, dunque: non ci resta che attendere il prossimo ciclo, guardando dentro di noi attraverso figure senza volto. ➡ TEMPO DI LETTURA: 6 MINUTI

«CHI MI HA INFLUENZAT­O DAVVERO? FËDOR DOSTOEVSKI­J E FABRIZIO DE ANDRÉ»

— Skygolpe

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Source Edges, opera dell’artista italiano Skygolpe,
35 anni. Nella pagina accanto, da sinistra: Ego Death
e Self Portrait (Genova).
ASSENZE Source Edges, opera dell’artista italiano Skygolpe, 35 anni. Nella pagina accanto, da sinistra: Ego Death e Self Portrait (Genova).
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