Il tempo della fioritura
Emma Talbot ha 53 anni, vive a Londra ed è un’artista. Le sue opere sono in mostra all’Arsenale di Venezia, all’interno della nuova Biennale Arte. Nel 2006, quando aveva 36 anni, perse il marito. Quando lo racconta, il suo sguardo fiero e presente si fa lontano, assente, come se cercasse un punto dell’orizzonte che non riesce a trovare. Emma racconta che dopo la perdita del compagno, faceva due lavori: di giorno insegnava al college e si prendeva cura dei bambini. Di sera e qualche volta di notte, invece, disegnava per mettersi in contatto col marito. Linee essenziali, mondi surreali, acquerelli di sette sfumature diverse e tanto nero: in ogni quadro creato non badava a cosa facesse, pensava solo a ricollegarsi col marito.
Questo numero di Vanity Fair è nato come i disegni di Emma: un modo per ricongiungersi ai sogni, alla fantasia, alla meraviglia che questi tempi di guerra e di pandemia ci hanno tolto, a volte proibito. Per farlo, ci siamo affidati alla «massima esperta» dell’argomento in questo momento, Cecilia Alemani, la curatrice della nuova Biennale Arte a Venezia.
Potevamo limitarci a intervistare Cecilia o a metterla in copertina, ma ci sembrava troppo scontato, troppo banale. Così, come successo in passato con grandi registi come Paolo Sorrentino o con grandi artisti come Francesco Vezzoli, lo scorso dicembre abbiamo chiesto a Cecilia di dirigere Vanity Fair, di pensare al giornale come fosse uno dei padiglioni della sua Biennale, un’estensione editoriale del suo impegno da curatrice. Lavorare con lei, fianco a fianco, in questi mesi è stato come accendere un faro nella notte della guerra, come aprire una breccia nella nebbia lasciata dalla pandemia. Le storie di magia, di sogni, di trasformazione, di metamorfosi, di surrealismo che troverete nelle prossime pagine funzionano come un balsamo sulle ferite e come acqua nel deserto. Sono come una linfa sotterranea, un vulcano inesploso, una sorta di fiume carsico che scorre sotto le nostre vite e che abbiamo il compito di far riaffiorare, di riportare in superficie.
Per descrivere la sua perdita, per far capire il valore dei suoi disegni, Emma Talbot racconta di come «attraversare un dolore profondo sia a volte necessario per attivare un cambiamento. Non lo auguro a nessuno, io stessa ne avrei fatto a meno, ma dico a chiunque viva ora una situazione complessa che è possibile, alla fine, ritrovare un senso. Sono stata male, sono stata resiliente, adesso sono felice. Questo è il tempo della fioritura».
Ecco, spero che questo numero artistico e surreale di Vanity Fair sia per voi l’inizio del tempo della fioritura. Un tempo che ci impone di aprirci a quello che non sappiamo, di sperimentare le trasformazioni proprie e quelle degli altri, di dare spazio all’incertezza e all’unicità, di fare largo all’arte, alla magia, alla fantasia. Vi sembrerà strano, lo so, di questi tempi. Eppure ne sono convinto: questi sogni, queste visioni, sono un modo per ritrovare senso. E questo viaggio, il viaggio di Cecilia, quello di Emma, quello di Vanity, il vostro viaggio, sono l’avventura che dovete tornare a vivere.
Ora dopo ora. Secondo dopo secondo.
P.S. Un grazie speciale a Sharon Stone, al suo consueto coraggio, alla sua meravigliosa spericolatezza. Grazie per aver scelto di essere parte di questo progetto unico, di questa magica follia che si chiama Vanity Fair.