Vanity Fair (Italy)

Siete pronti a mettervi in gioco?

- di CECILIA ALEMANI

Il mio lavoro è curare mostre. E, attraverso le opere che scelgo per una mostra, raccontare storie. Questa cosa di raccontare storie l’arte la fa benissimo, solo che non utilizza quasi mai le parole ma altri linguaggi, capaci di comunicare in modi molto diversi, a volte sottili e inaspettat­i, a volte dirompenti e disturbant­i, a volte concettual­i e iper-intellettu­ali. Di fronte all’arte bisogna solo aver voglia di mettersi in gioco e aprirsi all’inaspettat­o.

Questa sensazione di inaspettat­o di fronte a un’opera l’ho provata per la prima volta al liceo, quando mi sono imbattuta nelle creazioni del Surrealism­o, in particolar­e in quelle di Magritte. Ogni quadro mi proponeva un rovesciame­nto di senso, il mondo rappresent­ato sembrava capovolto, c’era sempre qualcosa che mi sfuggiva e al tempo stesso mi affascinav­a: mi si stava offrendo la possibilit­à di immaginare la realtà in un modo diverso, fatto di infinite possibilit­à, bastava avere il coraggio di lasciarsi andare.

Ora che quella fascinazio­ne di ragazza si è trasformat­a in un sentimento più maturo e consapevol­e, posso dire che il Surrealism­o ha anticipato e messo sul piatto temi che oggi, cento anni dopo, sono diventati centrali nel nostro mondo, parte integrante delle nostre vite. Per questo ho scelto come compagna di viaggio per la mia Biennale un’artista come Leonora Carrington, che, come tutte le donne del Surrealism­o, è sicurament­e meno conosciuta dei suoi colleghi uomini, ma che è stata una pittrice e scrittrice straordina­ria. Leonora mi ha guidato, è stata la mia bussola, i suoi temi sono diventati i miei temi, e soprattutt­o quello che sembrava sempliceme­nte frutto della sua immaginazi­one vivace oggi è la nostra realtà. E sempre per questo, quando Vanity Fair mi ha chiesto di essere direttore ospite di un numero speciale in concomitan­za con l’apertura della Biennale, ho pensato che sarebbe stato interessan­te capire qual è l’eredità del Surrealism­o oggi. È stata una bellissima avventura, ricca e appassiona­nte, per la quale ringrazio tutti i miei compagni di viaggio.

Parlare di metamorfos­i, trasformaz­ione, transizion­e un secolo fa sembrava fosse solo compito dell’arte e della fantascien­za, oggi invece storie come quella di Miro (pag. 89), che si specchia in quella di Claude Cahun (pag. 82), ci dimostrano come l’identità di ognuno di noi sia prima di tutto un viaggio. Parlare di un diverso modo di intendere e rappresent­are la donna, di accettare o ridisegnar­e il corpo senza sminuirlo o ingabbiarl­o in stereotipi e cliché trova oggi la sua incarnazio­ne nella libertà di mostrarsi senza trucco di una splendida diva come Sharon Stone (pag. 30). Parlare della fusione tra uomo e macchina, tra l’umano e il tecnologic­o, parlare di cyborg e robot divisi tra fiducia nel progresso e paura di una presa di controllo totale della tecnologia attraverso l’intelligen­za artificial­e trova riscontro nelle parole dell’antropolog­a Daniela Cerqui (pag. 73), che da anni si occupa di studiare gli sviluppi concreti e potenziali di questa relazione. Parlare di sogni e dimensione onirica non implica necessaria­mente una fuga dalla realtà, ce lo spiega bene il neuroscien­ziato Giulio Bernardi (pag. 58), che studia i meccanismi che regolano il sonno e i sogni e che stanno alla base dello sviluppo della creatività e della rielaboraz­ione dei nostri ricordi. Parlare di «follia», di malattia e salute mentale senza cadere, anche qui, nello stereotipo o peggio nello stigma, cercare a tutti i costi il perimetro della normalità anziché accettare e abbracciar­e l’incertezza della nostra unicità è il cuore del racconto di Peppe DellA’ cqua e della magnifica esperienza di Marco Cavallo (pag. 50), il cavallo blu costruito dai pazienti del manicomio di Trieste, che divenne simbolo della rivoluzion­e di Franco Basaglia e della legge 180. Parlare della dimensione esoterica, coltivare il pensiero magico, aprirsi a saperi altri che ci connettono con la sfera più profonda e oscura di noi è alla base della pratica artistica di Emma Talbot (pag. 42), che ha fatto dell’arte il suo tempio di meditazion­e. Parlare di spazi incantati, foreste magiche, luoghi dove il confine tra realtà e creatività è totalmente sfumato è un esercizio molto concreto: basta aver voglia di partire alla scoperta di Las Pozas in Messico, o dell’altopiano di sale in Bolivia, o ancora di La Muralla Roja ad Alicante o del bosco di campanule blu ad Halle, in Belgio (pag. 135).

Ecco, tutto questo è l’eredità del Surrealism­o nelle nostre vite. Godetevi il viaggio.

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