I furbetti e le nuove regole del Pos
Cè un tabaccaio a Venezia, in zona Ferrovia, che da un paio di anni esibisce un cartello alla cassa che dice: «Pos fuori servizio». Se gli chiedi come mai, lui fa spallucce e ti dice che c’è un Bancomat all’angolo, puoi servirti e tornare con il contante, oppure arrivederci. È la sua guerra privata contro le carte di credito e il fisco: pretende di guadagnare in nero. Cioè imbrogliare tutti noi, fischiettando. Ora Draghi vuole multare i commercianti come lui, i tassisti come lui, i fiorai, gli artigiani, obbligandoli a usare il pagamento elettronico che è sempre tracciabile. I partiti di destra si oppongono. Alzano il dito contro «le banche che lucrano». E fanno finta di non vedere la luna dei commercianti che evadono.
Il tabaccaio di Venezia è in ottima compagnia. Anche quest’anno, il ministero dell’Economia ha stimato in 100 miliardi la voragine dell’evasione fiscale. Scavata in modo spudorato, collettivo: su 41 milioni di contribuenti, meno di 2 milioni dichiarano più di 70 mila euro di guadagni all’anno. Tutti gli altri sono sotto, in media 21 mila euro. Che vuol dire 25 mila in Lombardia e Veneto, 15 mila in Calabria e Campania. Con il miracolo che i gioiellieri titolari guadagnino meno dei loro dipendenti e lo stesso accada con i proprietari di ristoranti, rispetto ai loro camerieri anziani. Una moltitudine di indigenti che può permettersi al massimo un cinema al mese, poveracci. Peccato che contemporaneamente, nella bella Italia dei «me ne frego», il parco auto circolante superi i 40 milioni di autovetture e che addirittura le utenze dei cellulari siano 70 milioni, molto più di un telefono a testa, compresi i poppanti, con cui ordinare la mezza pizza a settimana e il chinotto.
DICONO
DICONO CHE UNA BIONDA CONDUTTRICE SIA INVIPERITA. TUTTA COLPA DEL FATTO CHE IL SUO RAPPORTO CON L’EDITORIA CARTACEA È ANDATA IN FUMO.
LEI CON QUEL RICCO CONTRATTO, PER RACCONTARE LA SUA PASSIONE AI FORNELLI, CI PAGAVA TUTTE LE SPESE DI CASA. E ORA CERCA VENDETTA. DICONO
L’evasione fiscale è da sempre uno dei patti elettorali più resistenti della nostra amata Repubblica. Fa parte del pacchetto extra legale che ha generato la moltiplicazione delle case abusive su tutto il territorio nazionale, isole comprese, quasi 10 ogni 100 abitazioni al Nord, quasi 40 ogni 100 al Sud. E poi il lavoro nero che inghiotte 11 miliardi di tasse evase l’anno e le pensioni di finta invalidità che ne valgono altrettanti.
Più o meno tutti i governi hanno marciato su questo patto. Considerato, fin dai tempi della Democrazia cristiana, il famoso «Welfare all’italiana», arbitrario, pasticciato, clientelare, che in cambio di briciole di benessere a pioggia e pace sociale ha stabilizzato una diseguaglianza tollerabile e una condivisa indifferenza alle regole, di solito battezzata furbizia. Sulla quale prosperano le piccole e grandi organizzazioni criminali, affamate di sudditi e di obbedienza, che incassano non meno di 110 miliardi di euro l’anno. Offrendo in cambio sottosviluppo, disordine, soprusi.
Una quindicina d’anni fa, un uomo perbene come Tommaso Padoa-Schioppa, ministro delle Finanze, s’arrischiò a dire che «pagare le tasse è bello». Intendeva dire che è bello contribuire, ognuno con il proprio bicchiere d’acqua, alla sanità pubblica, agli asili, alla scuola per tutti, alle pensioni per i più deboli. Ricevette sputi, corna e pernacchie dalla masnada dei più forti che correvano in Bmw.