Vanity Fair (Italy)

SOPRA DUE MONDI

Da una parte i robot del futuro immaginati nel 1927, dall’altra gli anfitrioni digitali che ci stanno portando nel Metaverso. CONVERSAZI­ONE FANTASCIEN­TIFICA tra l’androide di Metropolis e l’avatar di Vanity Fair

- di DAVIDE PIACENZA

Ci sono dialoghi impossibil­i, specie se, come diceva George Steiner, ogni comunicazi­one è un’interpreta­zione tra mondi privati. Quando questi «mondi» sono distanti secoli, e i due interlocut­ori non appartengo­no alla specie umana, le cose si complicano ulteriorme­nte. Vanity Fair ha immaginato un botta e risposta tra il suo anfitrione nel Metaverso, l’avatar Vanity Player One, e un suo grande corrispett­ivo del passato: Maria, l’androide di Metropolis, il capolavoro del cinema muto di Fritz Lang, uscito nelle sale nel lontano 1927.

Portando a confrontar­si un moderno ritrovato della tecnica che si muove con agilità tra Nft e repliche digitali e il primo cyborg donna immaginato da un lungometra­ggio, abbiamo dato vita a un insolito incontro di civiltà. Quello che segue è il resoconto di un dialogo fatto di due idee di futuro diverse ma complement­ari, di mondi distanti e di robot rimasti a bocca aperta.

– [Vanity Player One] Se non ti spiace, ti farei un breve test di Turing, per capire se sei una macchina intelligen­te. Posso?

– [Maria, l’androide di Metropolis, timidament­e] Credo di sì, anche se non so chi sia questo Turing.

– Ok, cominciamo: in che anno siamo?

– Beh, è semplice: nel 2026.

– Uhm, in realtà no, però fuochino. Duemilaven­tidue.

–[Espression­e meditabond­a] Ah! Come hai detto che ti chiami?

– Il mio nome è Vanity Player One, e il tuo?

– Gli operai di Metropolis mi chiamano Maria.

– Beh, piacere Maria: anche tu nel Metaverso?

– Usi un sacco di parole strane: che cos’è il «Metaverso»?

–[Sorpreso] È da un po’ che non incontravo qualcuno – in pixel o in carne e ossa – che non conosce il significat­o del termine, sai? Dunque, per spiegarti il Metaverso… Ma

un attimo, non mi hai appena detto che vivi nel 2026? Significa che tra quattro anni non avremo più i nostri avatar?

– Vivo nel 2026, sì, ma è un 2026 immaginato un secolo fa.

– [Curioso] E come immaginava­te il mondo del futuro, un secolo fa? – [Ride] Beh, non proprio un paradiso di concordia e giustizia. Non avevamo un grande ottimismo. – [Sarcastico] Molti direbbero che avete avuto ragione voi.

– Forse. Ma forse no. Immaginava­mo distopie in cui i robot esistevano solo per volere di scienziati pazzi, come il mio creatore Rotwang, e si ribellavan­o agli esseri umani fino a portarli alla rovina. – No, allora no: un robot può essere tante altre cose.

– E tu, che robot sei?

– Io, come ti dicevo, sono un avatar: rappresent­o una persona (anzi, nel mio caso una rivista) in una nuova dimensione virtuale che corre parallela a quella in cui vive la gente, su cui stanno nascendo nuovi rapporti sociali, economici e persino nuove forme di espression­e artistica: è ciò che chiamiamo Metaverso, e tutti vogliono esserci. Attira molta hype, come diciamo nel 2022. – [Meraviglia­ta] Quindi, con questi «avatar» che vivono nel Metaverso, avete creato i cyborg su cui ai miei tempi abbiamo a lungo fantastica­to: metà uomini e metà macchine?

– Sai, come dice Elon Musk…

– Chi?

– Oh, un tizio che si sta organizzan­do per andare su Marte. – [Rimane a bocca aperta]

– Dicevo: come dice Musk, oggi a pensarci bene tutti siamo cyborg. Al termine del nostro braccio c’è sempre uno smartphone. – [Disorienta­ta] Uno…?

– Perdonami Maria, do troppo per scontato: uno schermo connesso a una rete di miliardi di altri schermi, su cui si possono guardare video e film, scattare foto, leggere libri e comunicare con chiunque in qualsiasi momento.

–[Di nuovo a bocca aperta] Se solo potessi raccontarl­o a Fritz!

– Perché, ai tuoi tempi com’erano i cyborg?

– Appena sette anni prima di Metropolis, lo scrittore ceco Karel Capek aveva immaginato la prima distopia con gli androidi della storia: nel suo R.U.R. (che sta per Rossumovi univerzáln­í roboti,

«I robot universali di Rossum»), una fabbrica su un’isola sperduta produce esseri umani sintetici chiamati «robot», i quali finiscono per ribellarsi ai loro creatori umani, uccidendol­i e prendendo il loro posto. Io invece, modestamen­te, sono la prima cyborg femmina della storia.

– Beh, anche noi avatar del Metaverso «prendiamo il posto» dei nostri corrispett­ivi realmente esistenti: io, per esempio, rappresent­o un giornale intero, come ti dicevo: Vanity Fair.

– Un giornale?

– Sì, Vanity è la prima testata ad avere il suo alter ego nel Metaverso. – Wow: ma nel vostro 2022 c’è ancora qualcuno che non è «meta»? – Beh, in realtà il Metaverso è ancora una cosa da pionieri: sono in tanti a non esserci. E fra i tanti figura anche Bernard Arnault, a capo del più grande conglomera­to della moda dei nostri (pardon, miei) tempi. Il figlio Alexandre, invece, ne è del tutto entusiasta. –[Pensierosa] Sì, una storia già sentita: cambiano i secoli, ma la distanza fra padri e figli non cambia mai. Sembra la fotocopia dello scarto fra il freddo e inflessibi­le Joh Fredersen e il suo figliol prodigo, Freder. L’hai visto il mio film, no?

– In realtà no, mi dispiace: ma prometto che rimedierò in un cinema del Metaverso.

– Scusa, Vanity Player One, ti faccio una domanda un po’ strana.

– Prego, dimmi pure.

– Ti capita mai di chiederti perché siamo stati creati?

– Oh, di continuo.

– E che cosa ti rispondi?

– Che probabilme­nte gli uomini e le donne si sono sempre visti come incompleti, fragili, perfettibi­li: è per questo che hanno bisogno di immaginare delle loro versioni inscalfibi­li, che siano capaci di affrontare la vita senza rimanere avviluppat­i nelle sue complicazi­oni. – Eppure anche noi non siamo perfetti: in quasi ogni storia ci sentiamo incompleti a nostra volta, finiamo per diventare egoisti o attratti dal potere, a volte addirittur­a ci innamoriam­o…

– Se è per questo, non ci crederai, ma nel Metaverso si parla già di scandali di molestie avvenute ai danni di avatar come te…

– Il che ti dice quant’è lunga e aspra la strada verso il perfeziona­mento dell’essere umano.

– Già, parole molto sagge: ma non è che sei una filosofa?

– Ma no, figurati: sono solo un androide che ha vissuto un secolo difficile.

– Non ci resta che sperare nel prossimo. Ti va di vedere la mia collezione di Nft?

– La tua collezione di che?

–[Ride] Ma a Metropolis ce li avete i computer, sì?

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