SOPRA DUE MONDI
Da una parte i robot del futuro immaginati nel 1927, dall’altra gli anfitrioni digitali che ci stanno portando nel Metaverso. CONVERSAZIONE FANTASCIENTIFICA tra l’androide di Metropolis e l’avatar di Vanity Fair
Ci sono dialoghi impossibili, specie se, come diceva George Steiner, ogni comunicazione è un’interpretazione tra mondi privati. Quando questi «mondi» sono distanti secoli, e i due interlocutori non appartengono alla specie umana, le cose si complicano ulteriormente. Vanity Fair ha immaginato un botta e risposta tra il suo anfitrione nel Metaverso, l’avatar Vanity Player One, e un suo grande corrispettivo del passato: Maria, l’androide di Metropolis, il capolavoro del cinema muto di Fritz Lang, uscito nelle sale nel lontano 1927.
Portando a confrontarsi un moderno ritrovato della tecnica che si muove con agilità tra Nft e repliche digitali e il primo cyborg donna immaginato da un lungometraggio, abbiamo dato vita a un insolito incontro di civiltà. Quello che segue è il resoconto di un dialogo fatto di due idee di futuro diverse ma complementari, di mondi distanti e di robot rimasti a bocca aperta.
– [Vanity Player One] Se non ti spiace, ti farei un breve test di Turing, per capire se sei una macchina intelligente. Posso?
– [Maria, l’androide di Metropolis, timidamente] Credo di sì, anche se non so chi sia questo Turing.
– Ok, cominciamo: in che anno siamo?
– Beh, è semplice: nel 2026.
– Uhm, in realtà no, però fuochino. Duemilaventidue.
–[Espressione meditabonda] Ah! Come hai detto che ti chiami?
– Il mio nome è Vanity Player One, e il tuo?
– Gli operai di Metropolis mi chiamano Maria.
– Beh, piacere Maria: anche tu nel Metaverso?
– Usi un sacco di parole strane: che cos’è il «Metaverso»?
–[Sorpreso] È da un po’ che non incontravo qualcuno – in pixel o in carne e ossa – che non conosce il significato del termine, sai? Dunque, per spiegarti il Metaverso… Ma
un attimo, non mi hai appena detto che vivi nel 2026? Significa che tra quattro anni non avremo più i nostri avatar?
– Vivo nel 2026, sì, ma è un 2026 immaginato un secolo fa.
– [Curioso] E come immaginavate il mondo del futuro, un secolo fa? – [Ride] Beh, non proprio un paradiso di concordia e giustizia. Non avevamo un grande ottimismo. – [Sarcastico] Molti direbbero che avete avuto ragione voi.
– Forse. Ma forse no. Immaginavamo distopie in cui i robot esistevano solo per volere di scienziati pazzi, come il mio creatore Rotwang, e si ribellavano agli esseri umani fino a portarli alla rovina. – No, allora no: un robot può essere tante altre cose.
– E tu, che robot sei?
– Io, come ti dicevo, sono un avatar: rappresento una persona (anzi, nel mio caso una rivista) in una nuova dimensione virtuale che corre parallela a quella in cui vive la gente, su cui stanno nascendo nuovi rapporti sociali, economici e persino nuove forme di espressione artistica: è ciò che chiamiamo Metaverso, e tutti vogliono esserci. Attira molta hype, come diciamo nel 2022. – [Meravigliata] Quindi, con questi «avatar» che vivono nel Metaverso, avete creato i cyborg su cui ai miei tempi abbiamo a lungo fantasticato: metà uomini e metà macchine?
– Sai, come dice Elon Musk…
– Chi?
– Oh, un tizio che si sta organizzando per andare su Marte. – [Rimane a bocca aperta]
– Dicevo: come dice Musk, oggi a pensarci bene tutti siamo cyborg. Al termine del nostro braccio c’è sempre uno smartphone. – [Disorientata] Uno…?
– Perdonami Maria, do troppo per scontato: uno schermo connesso a una rete di miliardi di altri schermi, su cui si possono guardare video e film, scattare foto, leggere libri e comunicare con chiunque in qualsiasi momento.
–[Di nuovo a bocca aperta] Se solo potessi raccontarlo a Fritz!
– Perché, ai tuoi tempi com’erano i cyborg?
– Appena sette anni prima di Metropolis, lo scrittore ceco Karel Capek aveva immaginato la prima distopia con gli androidi della storia: nel suo R.U.R. (che sta per Rossumovi univerzální roboti,
«I robot universali di Rossum»), una fabbrica su un’isola sperduta produce esseri umani sintetici chiamati «robot», i quali finiscono per ribellarsi ai loro creatori umani, uccidendoli e prendendo il loro posto. Io invece, modestamente, sono la prima cyborg femmina della storia.
– Beh, anche noi avatar del Metaverso «prendiamo il posto» dei nostri corrispettivi realmente esistenti: io, per esempio, rappresento un giornale intero, come ti dicevo: Vanity Fair.
– Un giornale?
– Sì, Vanity è la prima testata ad avere il suo alter ego nel Metaverso. – Wow: ma nel vostro 2022 c’è ancora qualcuno che non è «meta»? – Beh, in realtà il Metaverso è ancora una cosa da pionieri: sono in tanti a non esserci. E fra i tanti figura anche Bernard Arnault, a capo del più grande conglomerato della moda dei nostri (pardon, miei) tempi. Il figlio Alexandre, invece, ne è del tutto entusiasta. –[Pensierosa] Sì, una storia già sentita: cambiano i secoli, ma la distanza fra padri e figli non cambia mai. Sembra la fotocopia dello scarto fra il freddo e inflessibile Joh Fredersen e il suo figliol prodigo, Freder. L’hai visto il mio film, no?
– In realtà no, mi dispiace: ma prometto che rimedierò in un cinema del Metaverso.
– Scusa, Vanity Player One, ti faccio una domanda un po’ strana.
– Prego, dimmi pure.
– Ti capita mai di chiederti perché siamo stati creati?
– Oh, di continuo.
– E che cosa ti rispondi?
– Che probabilmente gli uomini e le donne si sono sempre visti come incompleti, fragili, perfettibili: è per questo che hanno bisogno di immaginare delle loro versioni inscalfibili, che siano capaci di affrontare la vita senza rimanere avviluppati nelle sue complicazioni. – Eppure anche noi non siamo perfetti: in quasi ogni storia ci sentiamo incompleti a nostra volta, finiamo per diventare egoisti o attratti dal potere, a volte addirittura ci innamoriamo…
– Se è per questo, non ci crederai, ma nel Metaverso si parla già di scandali di molestie avvenute ai danni di avatar come te…
– Il che ti dice quant’è lunga e aspra la strada verso il perfezionamento dell’essere umano.
– Già, parole molto sagge: ma non è che sei una filosofa?
– Ma no, figurati: sono solo un androide che ha vissuto un secolo difficile.
– Non ci resta che sperare nel prossimo. Ti va di vedere la mia collezione di Nft?
– La tua collezione di che?
–[Ride] Ma a Metropolis ce li avete i computer, sì?