Un, due, tre (CHE) STELLA!
Lee Jung-jae: da Squid Game al debutto alla regia a Cannes, passando per un ristorante italiano
Al Lacma Art + Film Gala, Leonardo DiCaprio lo ha avvicinato e riempito di elogi. Lee Jung-jae, protagonista della serie più vista di Netflix, Squid Game, di cui DiCaprio è un grande fan, è una star in Oriente e ormai anche in Occidente. Nato a Seul 49 anni fa, vanta un esordio da sogno americano: una famiglia d’origine una volta agiata e poi poverissima, i caffè serviti in un locale dove un avventore lo nota e gli offre un futuro da modello e attore, un film che diventa di culto in patria e cioè City of the Rising Sun (un po’ Gioventù bruciata un po’ I ragazzi della 56esima strada). È in questa occasione che conosce Jung Woo-sung, migliore amico per il successivo quarto di secolo. A lui deve il debutto alla regia con Hunt, noir ambientato negli ’80 con protagonisti due agenti governativi a caccia di una spia nordcoreana. È in programma al Festival di Cannes (dal 17 al 28 maggio).
Perché adesso il debutto alla regia?
«Il mio amico Woo-sung è anche produttore, e tempo fa mi aveva fatto promettere di partecipare a un suo lavoro allungandomi un anticipo di diecimila won (7,50 euro, ndr): non potevo esimermi. Dopo il clamore intorno a Squid Game, mi ha ricontattato: “È il momento di sfruttarti”. E io: “Ci sto, se mi fai anche dirigere”».
Non teme di sbagliare?
«Dopo 30 anni di carriera si finisce per non avere più paura di niente. Quando ero alle prime armi mi cimentavo in tutto. Il panico arriva quando diventi famoso e realizzi che puoi precipitare dalla vetta. Poi passa, ti convinci che conta solo spingersi oltre i propri limiti. A volte mi stupisco degli obiettivi che raggiungo».
L’esperienza di Squid Game l’ha aiutata con Hunt?
«Mi ha dato più sicurezza, se mai ne avessi avuto bisogno. Di per sé, è stata illuminante. Mi sono reso conto che il suo messaggio – non si può sopravvivere da soli – è davvero universale e al contempo che le differenze culturali non sono trascurabili. Sa quante volte mi hanno chiesto il significato della scelta di 456, il mio personaggio, di tingersi i capelli di rosso»?
Rappresenta un gesto di ribellione sociale, giusto?
«È anche simbolo di potere: quella chioma fiammeggiante indica una persona così ricca da permettersi un look vistoso senza conseguenze».
I personaggi di Hunt sono in fuga: lei scappa da qualcosa? Magari, dalla popolarità?
«Molti amici attori sentono di aver perso la privacy e il privilegio di essere persone comuni. A me non importa, amo essere riconosciuto e ricevere complimenti».
È per questo che ha aperto un ristorante italiano, per stare in mezzo alla gente?
«L’ho aperto perché mi piace la vostra cucina. Si chiama Il mare, come il titolo di un mio vecchio film romantico».