QUEL SESTO SENSO
Abbiamo parlato di tutto con LAETITIA CASTA.
Di cuore, empatia, fluidità dei desideri. Ma anche di humour e psicanalisi. E di come vivere seguendo l’istinto primordiale della natura (grazie Gédéon). Puntando sull’«essere». Al di là dei ruoli, a casa e nel lavoro
Se si parla di Francia, uno dei suoi simboli moderni è Laetitia Casta. Madre normanna e padre corso, una fusione di opposti. Modella top, attrice di cinema e teatro, madre di quattro figli, amata da grandi stilisti e sindaci francesi che l’hanno scelta per rappresentare la Marianne, simbolo della Repubblica. Una donna naturale, eppure dalle mille sfaccettature.
Nelle sue interviste lei parla moltissimo del cuore...
«Beh, è quello che ci permette di vivere! Finché il cuore batte tutto il resto funziona, no?».
Il cuore non è solo un organo, ma anche il simbolo dell’amore... Potremmo cominciare dicendo che l’amore è la cosa più importante della sua vita?
«Sì, certo. Ci sono diversi tipi di amore: l’amore degli altri, l’amor proprio, l’amore per quello che si fa… (le viene servita una tazza di caff•), l’amore per il cappuccino! Credo proprio che sia l’amore l’energia più potente».
L’amore è il messaggio cristiano per eccellenza. Lei crede a un ordine del mondo?
«Credo in qualcosa di superiore, senza ordine né gerarchia. L’empatia è la mia religione. Capire quello che l’altro prova nel profondo di sé è quanto in assoluto prediligo».
In un’altra vita lei avrebbe potuto leggere i tarocchi.
«Pensavo mi avrebbe detto che avrei potuto fare la psicologa o l’infermiera... Direi che per me la magia è ritrovare quell’istinto primordiale che l’educazione, la religione, la società hanno cancellato. Mi interessa, e non ho bisogno di andarlo a cercare nelle carte, sentire quel sesto senso, quella forza di riuscire a stare nell’istante che gli animali hanno conservato intatta».
È difficile «restare nell’istante, vivere il presente». Siamo sempre tutti un po’ in balia dei sensi di colpa, o della paura di sbagliare, non crede?
«Credo che lei non stia parlando di paura, ma di ego».
Lei non si sente mai sopraffatta dall’ego?
«Faccio di tutto per liberarmene. Immagini un lenzuolo sollevato dal vento ma trattenuto da una pietra: l’ego è quella pietra, al centro del lenzuolo. Ogni mattina mi concentro per toglierla».
Che bambina è stata Laetitia Casta? Alcune dichiarazioni sulla sua infanzia descrivono una scenografia degna delle fiabe di Perrault, una casa incantata in mezzo ai boschi.… È stato veramente così?
«Sì. Non avevo giocattoli, i miei compagni di gioco erano le stagioni, i fiori, le piante, gli insetti, gli animali, gli alberi... Incontri reali, ogni giorno una scoperta».
Animali domestici o selvatici?
«Entrambi. Avevo un’oca chiamata Gédéon».
Femmina o maschio?
«Non saprei, diciamo un esemplare di genere non binario, era un’oca in anticipo sui tempi! Gédéon si rannicchiava sul mio collo e col becco mi prendeva i capelli, come se volesse pettinarli o accarezzarli. Mi seguiva dappertutto. Abbiamo passato insieme un’estate, poi ho dovuto tornare a scuola. Mi ha dimenticata, e quando l’ho rivista mi ha morso una gamba. Non mi riconosceva più».
Da piccola, le era già chiara la distinzione omo/etero?
«Era più una questione di genere che di sessualità. Mi chiedevo: perché sono una ragazza e non un ragazzo?».
E da grande, in fatto di moda, ha sempre amato lo smoking...
«Ho sempre preferito gli abiti maschili a quelli femminili. Pensi che da piccola volevo mettermi gonna e pantaloni insieme. Non capivo perché la gonna dovesse essere per me e perché avrebbe dovuto definirmi».
Forse l’armatura maschile è più robusta?
«Non più di quella femminile. Il mio lato maschile è importante quanto il femminile: insieme mi rendono forte».
In fondo lei concorda con Freud, che vedeva una bisessualità psichica universale.
«Assolutamente».
Però, il suo oggetto del desiderio sono stati gli uomini.
«La vita ha voluto così, ma poteva andare diversamente.
Le persone suscitano in me sentimenti ed emozioni che prescindono dal loro genere. Per esempio, quello che mi attrae di un uomo non è tanto il suo lato maschile, ma quello femminile. Non ho alcun bisogno della rappresentazione stereotipata del maschio “forte”, delle persone mi colpisce piuttosto la fragilità. Non mi sono mai innamorata di una donna, ma le mie prime esperienze alla scoperta della sessualità sono state con una ragazza».
Una rivelazione molto intima.
«Sì, e non mi crea problemi. A una certa età non si sa troppo bene che direzione prendere, è poi la vita a metterci sulla nostra strada. Ma la scelta non è così netta. Credo che in noi rimanga una certa ambivalenza».
Le sue storie d’amore sono nate da sodalizi artistici. In una vita «normale», pensa che avrebbe potuto cercare
l’anima gemella con app come Meetic o Tinder?
«Mai! E la cosa divertente è che neppure Sahteene, la mia figlia maggiore che ha 20 anni, potrebbe. Come me, lei ha bisogno di immediatezza, di presente».
Più volte ha sottolineato quanto sia importante per lei essere madre.
«Le rispondo che l’importante è “essere”, prima ancora di “essere madre”. Ho costruito una vita con i miei figli ma sono io, Laetitia, che la porta avanti. Mi fa orrore lo stereotipo della madre perfetta. Non ho, e non voglio avere potere sui miei figli. Ci sto molto attenta perché io stessa, da bambina, mi sono resa conto fino a che punto e con che rapidità l’adulto possa abusare del suo potere».
È raro per un genitore averne coscienza.
«Lo so perché ne ho sofferto in prima persona. E perché non voglio che i miei figli subiscano le stesse cose. Lavoro molto su di me attraverso la psicoanalisi».
Qual è l’elemento più importante nel suo percorso di analisi?
«La possibilità di ritagliarmi uno spazio-tempo per dire tutto quello che voglio senza essere giudicata».
Prima di dedicarsi alla recitazione, lei è stata una super modella. Già a 15 anni aveva trasformato il suo corpo in immagine. Facendo un passo indietro, ai tempi era
consapevole dello sguardo degli uomini?
«Sì, ma non capivo il perché. Pensavo di avere qualcosa che non andasse, e quindi non ne parlavo. Poi, stranamente, è stato proprio il mondo della moda a proteggermi, a custodirmi come in una bolla: lo sguardo esterno era diventato professionale».
Tutto è cominciato nel 1993, quando è stata eletta Miss Lumio. Lei ha detto: «Non era premeditato, quando mi sono ritrovata sul palco del villaggio per la sfilata ero furiosa. Avevo paura di essere presa in giro dai miei amici». Ma chi l’aveva iscritta?
«Avevo una bisnonna italiana, Zelinda, l’adoravo, era arrivata in Corsica in cerca di lavoro. Lei non desiderava altro che i suoi nipotini partecipassero a quel concorso. L’orgoglio un po’ pretenzioso degli anziani… è stato mio fratello a iscrivermi, di nascosto. A me, così morbosamente timida, non sarebbe mai passato per la testa».
Che tipo di sfilata era?
«Mi hanno dovuto procurare dei vestiti: un costume da bagno – non è stato per niente facile mostrarmi mezza nuda – e un paio di scarpe con i tacchi alti. Mi sentivo una ragazzina nei panni di una donna. Ma l’avevo fatto per nonna Zelinda, perché potevo guadagnare qualche soldo e invitarla al ristorante, cosa che poi ho fatto».
Una storia deliziosa.
«Sì. Molto semplice, come una festa di paese».
I suoi biografi hanno quanto meno mistificato l’importanza di questo concorso.
«Perché un fotografo che era lì ha poi passato il mio nome a un’agenzia di modelle. Ma questo è stato un caso».
Si ritiene una persona fortunata?
«Fortunata nel riconoscere la fortuna».
Una fortuna che può diventare un’arma a doppio taglio: la celebrità della Bardot era un calvario. Amy Winehouse e Jim Morrison, comete con una splendida carriera, si punivano per aver avuto una tale chance.
«Ah, lei la vede così? Io vedo piuttosto degli esseri ipersensibili che, grazie al loro folgorante talento, capiscono tutto e ci fanno dei regali pazzeschi, con una precocità tale da bruciare tutto durante il loro passaggio».
Lei amava Amy Winehouse?
«Moltissimo. Sfortunatamente non poteva controllare le sue ferite. A ogni modo, penso che l’essere umano non si ami. Il percorso per amarsi è sempre complicato, e proprio per questo bisogna riuscire ad amare meglio gli altri. L’illusione della celebrità è pensare che visto che siamo amati, ci ameremo di più. È l’esatto contrario».
Ha mai provato attrazione per queste zone d’ombra?
«È capitato, diciamo che ho “costeggiato” queste zone.
Ma amo troppo la vita per tuffarmici dentro».
Amare la vita è anche avere la nozione della morte.
«È ovvio. Qualche anno fa, in Corsica, una notte ho percepito di colpo l’immensità del cielo. Nello spazio di tre secondi sono stata sopraffatta dall’angoscia di non essere assolutamente niente. Ero sconvolta. Già da bambina questo mi procurava malinconia: quella coscienza così forte di essere mortale».
Ha paura di morire?
«No, ed è per questo che mi godo così tanto la vita. Ma sa, in Corsica i morti ci guardano. Siamo in contatto con loro. Ricordo mia nonna nella sua bara, l’ho toccata, abbracciata... Anche essere vicina alla natura mi ha insegnato la morte: la quotidianità di un uccello è passare il tempo a evitare di essere catturato da un predatore...».
La sua popolarità le ha dato molto amore. Non teme di perderlo, o che si affievolisca?
«Lei parla d’amore ma dimentica lo humour. Lo humour ci salva da molte situazioni. La gente mi vede come uno schermo bianco su cui proiettare tutto ciò che gli passa per la testa. Sono solo fantasie e non bisogna dargli importanza: non è lo sguardo degli altri a potermi definire».
Secondo lei i media impongono un’immagine stereotipata della donna?
«È più complicato di così. Se penso alle rapper, vedo donne di una femminilità superpotente: hanno talento, soldi. Ma sarebbe interessante se, invece di sacralizzarla, ci ricordassimo che una donna può essere pericolosa quanto un uomo. Non per forza una povera vittima innocente e fragile. Quando capiremo la donna nella sua complessità avremo fatto un passo avanti. Usciamo un po’ dal cliché o vergine o puttana, è decisamente datato».
Lei dà molto spazio allo humour. Ma nella moda, a parte lo humour inimitabile di Karl Lagerfeld, la fantasia di Jean-Paul Gaultier o di Thierry Mugler, la follia di Hussein Chalayan, le risate di Jean-Paul Goude, non è una dote così frequente...
«Dimentica Saint Laurent. Nella sua visione c’era una stravaganza molto vicina allo humour. Jean-Paul Goude poi era straordinario. Le smorfie e le facce che ti chiedeva di esprimere: quando hai davvero fiducia in qualcuno, è bello lasciarsi andare! Adoravo il suo modo di uscire dai canoni classici delle inquadrature. Oggi, è vero, c’è più pressione sui creativi e meno spazio per lo humour.
Devono sempre rendere conto a qualcuno, il capitalismo è dappertutto».
Da L’Oréal a Victoria’s Secret, lei è stata la modella preferita di grandi marchi del capitalismo. Non c’è un paradosso in questa sua affermazione?
«Dilemma esistenziale! A 18 anni mi sentivo colpevole. Ma ho avuto la fortuna di incontrare uno psicoanalista intelligente che mi ha detto: “Finché lei farà le cose con sincerità, non avrà nulla da temere”. Questa frase mi ha decisamente decolpevolizzata».
Si ritiene una persona schierata politicamente?
«Sono una fan di Christiane Taubira (ex ministro della Giustizia francese sotto la presidenza di François Hollande, nota per il suo forte sostegno alla legge che ha introdotto il matrimonio omosessuale in Francia nel 2013. Aveva presentato la sua candidatura, poi ritirata, alle presidenziali del 2022, ndr). Apprezzo la sua intelligenza, la sua curiosità. È una donna “centrata”: maschile e femminile in lei sono perfettamente in equilibrio. E questo mi piace».
Di fronte ai discorsi pieni di odio del polemista di estrema destra Éric Zemmour, l’idea che una donna nera potesse essere eletta presidente della Repubblica è certamente un elemento positivo.
«È buffo che me lo chieda. Io le parlerei del suo talento. Della sua umanità. Non mi piace l’idea di dividere la gente per colori, sesso, etichette. Come allo stesso modo non si può aver vissuto tutto quello che si recita: non c’è bisogno di esser stata una pianista rumena per interpretare Clara Haskil».
Lei dice spesso che «la vita è più importante del cinema». La cosa mi stupisce, io ho una concezione più romantica dell’arte.
«Ma come si può nutrire il cinema se non si vive? È come un pozzo che si svuota! Dopo il cinema rimane la vita, non il contrario. Certo, lei può tenersi dentro tutti i suoi film, ma cosa se ne fa? Che cosa rimane?».
Laetitia, dietro la sua luce ci sono molti segreti?
«Più che segreti ho sogni. Molti sogni. E le chiavi per aprire porte segrete. Ma nessun vero segreto».
E questi sogni di che natura sono?
«Di natura tale da essere realizzati».
A questo punto, nulla da aggiungere: il viaggio verso il pianeta Felicità sembra ben avviato. Aspettando la prossima eclissi. ➡ TEMPO DI LETTURA: 10 MINUTI
Hanno collaborato Laura Guillon, Aroua Ammari e Lauraly Tran. Makeup Masae Ito using Yves Saint Laurent Beauty. Hair Olivier Schawalder. Manicure Elsa Deslandes. Produzione Cinq Etoiles Productions. Set design César Sebastien. Laetitia Casta chez Viva Model Management