Vanity Fair (Italy)

QUEL SESTO SENSO

- di ARTHUR DREYFUS foto CARLIJN JACOBS servizio IMRUH ASHA

Abbiamo parlato di tutto con LAETITIA CASTA.

Di cuore, empatia, fluidità dei desideri. Ma anche di humour e psicanalis­i. E di come vivere seguendo l’istinto primordial­e della natura (grazie Gédéon). Puntando sull’«essere». Al di là dei ruoli, a casa e nel lavoro

Se si parla di Francia, uno dei suoi simboli moderni è Laetitia Casta. Madre normanna e padre corso, una fusione di opposti. Modella top, attrice di cinema e teatro, madre di quattro figli, amata da grandi stilisti e sindaci francesi che l’hanno scelta per rappresent­are la Marianne, simbolo della Repubblica. Una donna naturale, eppure dalle mille sfaccettat­ure.

Nelle sue interviste lei parla moltissimo del cuore...

«Beh, è quello che ci permette di vivere! Finché il cuore batte tutto il resto funziona, no?».

Il cuore non è solo un organo, ma anche il simbolo dell’amore... Potremmo cominciare dicendo che l’amore è la cosa più importante della sua vita?

«Sì, certo. Ci sono diversi tipi di amore: l’amore degli altri, l’amor proprio, l’amore per quello che si fa… (le viene servita una tazza di caff•), l’amore per il cappuccino! Credo proprio che sia l’amore l’energia più potente».

L’amore è il messaggio cristiano per eccellenza. Lei crede a un ordine del mondo?

«Credo in qualcosa di superiore, senza ordine né gerarchia. L’empatia è la mia religione. Capire quello che l’altro prova nel profondo di sé è quanto in assoluto prediligo».

In un’altra vita lei avrebbe potuto leggere i tarocchi.

«Pensavo mi avrebbe detto che avrei potuto fare la psicologa o l’infermiera... Direi che per me la magia è ritrovare quell’istinto primordial­e che l’educazione, la religione, la società hanno cancellato. Mi interessa, e non ho bisogno di andarlo a cercare nelle carte, sentire quel sesto senso, quella forza di riuscire a stare nell’istante che gli animali hanno conservato intatta».

È difficile «restare nell’istante, vivere il presente». Siamo sempre tutti un po’ in balia dei sensi di colpa, o della paura di sbagliare, non crede?

«Credo che lei non stia parlando di paura, ma di ego».

Lei non si sente mai sopraffatt­a dall’ego?

«Faccio di tutto per liberarmen­e. Immagini un lenzuolo sollevato dal vento ma trattenuto da una pietra: l’ego è quella pietra, al centro del lenzuolo. Ogni mattina mi concentro per toglierla».

Che bambina è stata Laetitia Casta? Alcune dichiarazi­oni sulla sua infanzia descrivono una scenografi­a degna delle fiabe di Perrault, una casa incantata in mezzo ai boschi.… È stato veramente così?

«Sì. Non avevo giocattoli, i miei compagni di gioco erano le stagioni, i fiori, le piante, gli insetti, gli animali, gli alberi... Incontri reali, ogni giorno una scoperta».

Animali domestici o selvatici?

«Entrambi. Avevo un’oca chiamata Gédéon».

Femmina o maschio?

«Non saprei, diciamo un esemplare di genere non binario, era un’oca in anticipo sui tempi! Gédéon si rannicchia­va sul mio collo e col becco mi prendeva i capelli, come se volesse pettinarli o accarezzar­li. Mi seguiva dappertutt­o. Abbiamo passato insieme un’estate, poi ho dovuto tornare a scuola. Mi ha dimenticat­a, e quando l’ho rivista mi ha morso una gamba. Non mi riconoscev­a più».

Da piccola, le era già chiara la distinzion­e omo/etero?

«Era più una questione di genere che di sessualità. Mi chiedevo: perché sono una ragazza e non un ragazzo?».

E da grande, in fatto di moda, ha sempre amato lo smoking...

«Ho sempre preferito gli abiti maschili a quelli femminili. Pensi che da piccola volevo mettermi gonna e pantaloni insieme. Non capivo perché la gonna dovesse essere per me e perché avrebbe dovuto definirmi».

Forse l’armatura maschile è più robusta?

«Non più di quella femminile. Il mio lato maschile è importante quanto il femminile: insieme mi rendono forte».

In fondo lei concorda con Freud, che vedeva una bisessuali­tà psichica universale.

«Assolutame­nte».

Però, il suo oggetto del desiderio sono stati gli uomini.

«La vita ha voluto così, ma poteva andare diversamen­te.

Le persone suscitano in me sentimenti ed emozioni che prescindon­o dal loro genere. Per esempio, quello che mi attrae di un uomo non è tanto il suo lato maschile, ma quello femminile. Non ho alcun bisogno della rappresent­azione stereotipa­ta del maschio “forte”, delle persone mi colpisce piuttosto la fragilità. Non mi sono mai innamorata di una donna, ma le mie prime esperienze alla scoperta della sessualità sono state con una ragazza».

Una rivelazion­e molto intima.

«Sì, e non mi crea problemi. A una certa età non si sa troppo bene che direzione prendere, è poi la vita a metterci sulla nostra strada. Ma la scelta non è così netta. Credo che in noi rimanga una certa ambivalenz­a».

Le sue storie d’amore sono nate da sodalizi artistici. In una vita «normale», pensa che avrebbe potuto cercare

l’anima gemella con app come Meetic o Tinder?

«Mai! E la cosa divertente è che neppure Sahteene, la mia figlia maggiore che ha 20 anni, potrebbe. Come me, lei ha bisogno di immediatez­za, di presente».

Più volte ha sottolinea­to quanto sia importante per lei essere madre.

«Le rispondo che l’importante è “essere”, prima ancora di “essere madre”. Ho costruito una vita con i miei figli ma sono io, Laetitia, che la porta avanti. Mi fa orrore lo stereotipo della madre perfetta. Non ho, e non voglio avere potere sui miei figli. Ci sto molto attenta perché io stessa, da bambina, mi sono resa conto fino a che punto e con che rapidità l’adulto possa abusare del suo potere».

È raro per un genitore averne coscienza.

«Lo so perché ne ho sofferto in prima persona. E perché non voglio che i miei figli subiscano le stesse cose. Lavoro molto su di me attraverso la psicoanali­si».

Qual è l’elemento più importante nel suo percorso di analisi?

«La possibilit­à di ritagliarm­i uno spazio-tempo per dire tutto quello che voglio senza essere giudicata».

Prima di dedicarsi alla recitazion­e, lei è stata una super modella. Già a 15 anni aveva trasformat­o il suo corpo in immagine. Facendo un passo indietro, ai tempi era

consapevol­e dello sguardo degli uomini?

«Sì, ma non capivo il perché. Pensavo di avere qualcosa che non andasse, e quindi non ne parlavo. Poi, stranament­e, è stato proprio il mondo della moda a proteggerm­i, a custodirmi come in una bolla: lo sguardo esterno era diventato profession­ale».

Tutto è cominciato nel 1993, quando è stata eletta Miss Lumio. Lei ha detto: «Non era premeditat­o, quando mi sono ritrovata sul palco del villaggio per la sfilata ero furiosa. Avevo paura di essere presa in giro dai miei amici». Ma chi l’aveva iscritta?

«Avevo una bisnonna italiana, Zelinda, l’adoravo, era arrivata in Corsica in cerca di lavoro. Lei non desiderava altro che i suoi nipotini partecipas­sero a quel concorso. L’orgoglio un po’ pretenzios­o degli anziani… è stato mio fratello a iscrivermi, di nascosto. A me, così morbosamen­te timida, non sarebbe mai passato per la testa».

Che tipo di sfilata era?

«Mi hanno dovuto procurare dei vestiti: un costume da bagno – non è stato per niente facile mostrarmi mezza nuda – e un paio di scarpe con i tacchi alti. Mi sentivo una ragazzina nei panni di una donna. Ma l’avevo fatto per nonna Zelinda, perché potevo guadagnare qualche soldo e invitarla al ristorante, cosa che poi ho fatto».

Una storia deliziosa.

«Sì. Molto semplice, come una festa di paese».

I suoi biografi hanno quanto meno mistificat­o l’importanza di questo concorso.

«Perché un fotografo che era lì ha poi passato il mio nome a un’agenzia di modelle. Ma questo è stato un caso».

Si ritiene una persona fortunata?

«Fortunata nel riconoscer­e la fortuna».

Una fortuna che può diventare un’arma a doppio taglio: la celebrità della Bardot era un calvario. Amy Winehouse e Jim Morrison, comete con una splendida carriera, si punivano per aver avuto una tale chance.

«Ah, lei la vede così? Io vedo piuttosto degli esseri ipersensib­ili che, grazie al loro folgorante talento, capiscono tutto e ci fanno dei regali pazzeschi, con una precocità tale da bruciare tutto durante il loro passaggio».

Lei amava Amy Winehouse?

«Moltissimo. Sfortunata­mente non poteva controllar­e le sue ferite. A ogni modo, penso che l’essere umano non si ami. Il percorso per amarsi è sempre complicato, e proprio per questo bisogna riuscire ad amare meglio gli altri. L’illusione della celebrità è pensare che visto che siamo amati, ci ameremo di più. È l’esatto contrario».

Ha mai provato attrazione per queste zone d’ombra?

«È capitato, diciamo che ho “costeggiat­o” queste zone.

Ma amo troppo la vita per tuffarmici dentro».

Amare la vita è anche avere la nozione della morte.

«È ovvio. Qualche anno fa, in Corsica, una notte ho percepito di colpo l’immensità del cielo. Nello spazio di tre secondi sono stata sopraffatt­a dall’angoscia di non essere assolutame­nte niente. Ero sconvolta. Già da bambina questo mi procurava malinconia: quella coscienza così forte di essere mortale».

Ha paura di morire?

«No, ed è per questo che mi godo così tanto la vita. Ma sa, in Corsica i morti ci guardano. Siamo in contatto con loro. Ricordo mia nonna nella sua bara, l’ho toccata, abbracciat­a... Anche essere vicina alla natura mi ha insegnato la morte: la quotidiani­tà di un uccello è passare il tempo a evitare di essere catturato da un predatore...».

La sua popolarità le ha dato molto amore. Non teme di perderlo, o che si affievolis­ca?

«Lei parla d’amore ma dimentica lo humour. Lo humour ci salva da molte situazioni. La gente mi vede come uno schermo bianco su cui proiettare tutto ciò che gli passa per la testa. Sono solo fantasie e non bisogna dargli importanza: non è lo sguardo degli altri a potermi definire».

Secondo lei i media impongono un’immagine stereotipa­ta della donna?

«È più complicato di così. Se penso alle rapper, vedo donne di una femminilit­à superpoten­te: hanno talento, soldi. Ma sarebbe interessan­te se, invece di sacralizza­rla, ci ricordassi­mo che una donna può essere pericolosa quanto un uomo. Non per forza una povera vittima innocente e fragile. Quando capiremo la donna nella sua complessit­à avremo fatto un passo avanti. Usciamo un po’ dal cliché o vergine o puttana, è decisament­e datato».

Lei dà molto spazio allo humour. Ma nella moda, a parte lo humour inimitabil­e di Karl Lagerfeld, la fantasia di Jean-Paul Gaultier o di Thierry Mugler, la follia di Hussein Chalayan, le risate di Jean-Paul Goude, non è una dote così frequente...

«Dimentica Saint Laurent. Nella sua visione c’era una stravaganz­a molto vicina allo humour. Jean-Paul Goude poi era straordina­rio. Le smorfie e le facce che ti chiedeva di esprimere: quando hai davvero fiducia in qualcuno, è bello lasciarsi andare! Adoravo il suo modo di uscire dai canoni classici delle inquadratu­re. Oggi, è vero, c’è più pressione sui creativi e meno spazio per lo humour.

Devono sempre rendere conto a qualcuno, il capitalism­o è dappertutt­o».

Da L’Oréal a Victoria’s Secret, lei è stata la modella preferita di grandi marchi del capitalism­o. Non c’è un paradosso in questa sua affermazio­ne?

«Dilemma esistenzia­le! A 18 anni mi sentivo colpevole. Ma ho avuto la fortuna di incontrare uno psicoanali­sta intelligen­te che mi ha detto: “Finché lei farà le cose con sincerità, non avrà nulla da temere”. Questa frase mi ha decisament­e decolpevol­izzata».

Si ritiene una persona schierata politicame­nte?

«Sono una fan di Christiane Taubira (ex ministro della Giustizia francese sotto la presidenza di François Hollande, nota per il suo forte sostegno alla legge che ha introdotto il matrimonio omosessual­e in Francia nel 2013. Aveva presentato la sua candidatur­a, poi ritirata, alle presidenzi­ali del 2022, ndr). Apprezzo la sua intelligen­za, la sua curiosità. È una donna “centrata”: maschile e femminile in lei sono perfettame­nte in equilibrio. E questo mi piace».

Di fronte ai discorsi pieni di odio del polemista di estrema destra Éric Zemmour, l’idea che una donna nera potesse essere eletta presidente della Repubblica è certamente un elemento positivo.

«È buffo che me lo chieda. Io le parlerei del suo talento. Della sua umanità. Non mi piace l’idea di dividere la gente per colori, sesso, etichette. Come allo stesso modo non si può aver vissuto tutto quello che si recita: non c’è bisogno di esser stata una pianista rumena per interpreta­re Clara Haskil».

Lei dice spesso che «la vita è più importante del cinema». La cosa mi stupisce, io ho una concezione più romantica dell’arte.

«Ma come si può nutrire il cinema se non si vive? È come un pozzo che si svuota! Dopo il cinema rimane la vita, non il contrario. Certo, lei può tenersi dentro tutti i suoi film, ma cosa se ne fa? Che cosa rimane?».

Laetitia, dietro la sua luce ci sono molti segreti?

«Più che segreti ho sogni. Molti sogni. E le chiavi per aprire porte segrete. Ma nessun vero segreto».

E questi sogni di che natura sono?

«Di natura tale da essere realizzati».

A questo punto, nulla da aggiungere: il viaggio verso il pianeta Felicità sembra ben avviato. Aspettando la prossima eclissi. ➡ TEMPO DI LETTURA: 10 MINUTI

Hanno collaborat­o Laura Guillon, Aroua Ammari e Lauraly Tran. Makeup Masae Ito using Yves Saint Laurent Beauty. Hair Olivier Schawalder. Manicure Elsa Deslandes. Produzione Cinq Etoiles Production­s. Set design César Sebastien. Laetitia Casta chez Viva Model Management

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 ?? ?? Orecchini, Fendi. Foulard, Polo Ralph Lauren.
Orecchini, Fendi. Foulard, Polo Ralph Lauren.
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Abito, leggings e sabot, Courrèges.

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