«Zero Covid» è la bandiera
DELL’AUTORITARISMO CINESE
Alockdown, più di due anni dall’inizio della pandemia e dal primo imposto nella città di Wuhan il 23 gennaio 2020 e durato 76 giorni, circa 400 milioni di persone in Cina sono ancora bloccate in casa. Negozi chiusi, isolamento forzato, test di massa obbligatori, campi di quarantena sanitaria che somigliano a prigioni. La completa incertezza su quel che succederà si somma alla fame, quando la catena di distribuzione del cibo non funziona. Una delle città più popolose e importanti dell’economia locale, Shanghai, da qualche giorno ha ricominciato ad aprire alcune attività, ma è di fatto ancora paralizzata. Mentre il resto del mondo ha già iniziato una nuova fase della pandemia, quella della convivenza con il virus, il governo centrale di Pechino non ha alcuna intenzione di abbandonare o modificare la sua politica Zero Covid, cioè il completo annientamento della circolazione del virus sul territorio. Le conseguenze si stanno facendo sentire, sull’economia e sulla salute mentale dei cittadini, e dappertutto arrivano critiche contro l’autoritarismo con cui la leadership vuole sconfiggere il virus. La scorsa settimana il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una conferenza stampa ha detto che «la strategia Zero Covid cinese non è sostenibile». Non lo è dal punto di vista scientifico: il virus si comporta in modo diverso rispetto alle prime fasi della pandemia, quando i lockdown erano giustificabili anche perché sapevamo molto meno dell’infezione. «Ne abbiamo discusso con gli esperti cinesi e abbiamo detto loro che un cambiamento di strategia è necessario», ha spiegato Ghebreyesus. Il video di quell’intervento è stato pubblicato sul profilo Weibo dell’Oms, il social network più diffuso in Cina, ma poche ore dopo è stato rimosso dai censori; gli hashtag #tedros e #oms sono diventati irraggiungibili, le discussioni sul tema sono state oscurate. A Tedros ha risposto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, il falco Zhao Lijian, che gli ha consigliato di non leggere più la stampa occidentale e di smetterla di fare «commenti irresponsabili». In questa che sembra una crisi gravissima per la tenuta della leadership, ancora una volta uno degli obiettivi di Pechino è il controllo dell’informazione. Sul Quotidiano del popolo, organo del Partito comunista cinese, la scorsa settimana è apparso l’editoriale «Ragioni per essere fiduciosi dell’economia cinese nonostante la pandemia», anche se gli osservatori internazionali rilevano una fuga di capitali e di aziende straniere dalla Cina. Perché basta un contagiato per fermare la produzione di una fabbrica, e il business di una città a tempo indeterminato: il rischio inizia a essere troppo alto. I cittadini stranieri, appena possono, lasciano la Cina, e Pechino ha irrigidito la procedura per l’emissione di passaporti, ufficialmente per limitare i contagi d’importazione dall’estero. Zero Covid è la politica bandiera della leadership di Xi Jinping, che in autunno dovrebbe essere incoronato con il terzo mandato, però i contagi continueranno a esserci: l’unico vero risultato, finora, è di aver isolato sempre di più la Cina dal resto del mondo.
GIULIA POMPILI, al Foglio dal 2010, si occupa di Asia orientale. Nel 2021 ha pubblicato Sotto lo stesso cielo (Mondadori).