Vanity Fair (Italy)

IL MISTERO DEL GENIO

- di GIACOMO PAPI

Mentre, alla vigilia dei suoi 80 anni, PAUL MCCARTNEY mette ordine ai ricordi e racconta la sua verità sulla musica e sulla vita, uno scrittore lo celebra svelando come ha rovesciato tutti gli stereotipi su creatività e sregolatez­za. Le canzoni del più «risolto e sereno» dei Beatles sono la prova che il sublime può sgorgare anche dalla normalità

CCome un antico romano, Paul McCartney si sta preparando. A ottant’anni – li compirà il 18 giugno – fa quello che farebbe ogni uomo: mette in ordine i ricordi e racconta la sua verità, sulla musica e sulla vita. Ma mentre fa ordine si immalincon­isce e si annoia, e così si concede, come nel suo stile, l’ironia di giocarci. Quattro anni fa, nel 2018, in Carpool Karaoke ha accettato di tornare in incognito a Liverpool, nelle strade, nelle chiese e nelle case della sua infanzia, per riapparire e regalare un concerto a sorpresa nel pub di quartiere. Più tardi, durante la pandemia, si è fatto intervista­re da Rick Rubin per raccontare il suo rapporto con la musica e le canzoni in McCartney 3, 2, 1; intanto scriveva con il poeta Paul Muldoon una monumental­e autobiogra­fia in due volumi costruita attraverso le canzoni – The Lyrics. Parole e ricordi dal 1956 a oggi (Rizzoli) – per scavare nella memoria, precisare la propria versione dei fatti e spiegare i propri gusti letterari, ma anche per rivendicar­e la paternità di decine di canzoni firmate insieme a John Lennon; infine, insieme a Yoko Ono e Ringo Starr, ha autorizzat­o il regista Peter Jackson a montare Get Back, uno straordina­rio documentar­io in tre puntate che offre a chiunque la possibilit­à di stare nello studio e sul tetto insieme ai Beatles nel 1970, durante la registrazi­one del loro ultimo album.

È lo sforzo di un uomo che vuole rendersi comprensib­ile, perfino a se stesso, e che però nonostante i suoi sforzi non riesce a svelare, neppure a se stesso, il proprio mistero, l’oscura ragione per cui canzoni come Yesterday, Let It Be, Hey Jude, Eleanor Rigby o Here There and Everywhere («la mia canzone preferita tra tutte quelle che ho scritto») siano arrivate proprio a lui, e non a un altro, trasforman­dolo in uno dei più grandi compositor­i della storia. Perché il punto, parlando di McCartney, è che ogni suo gesto e parola contraddic­e i più diffusi e solidi luoghi comuni sul genio e la sregolatez­za, sull’arte, il dolore e l’angoscia come benzina della creazione. Il suo mistero è proprio il fatto che il sublime possa sgorgare anche dalla normalità. Nella sua placida serenità Paul McCartney assomiglia, insomma, a quel detto di Hugo von Hoffmansth­al: «La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie». E non si parla soltanto del sublime estetico, ma anche del sublime erotico, perché se esistesse una macchina in grado di misurare le tempeste di ossitocina provocate da un singolo ragazzo, Paul McCartney, che bello e sensuale non è mai stato, sarebbe probabilme­nte il maschio che ne ha provocate di più in tutto il Novecento, quindi nell’intera storia dell’uomo.

Guardando Get Back, per esempio, è evidente che Paul sia l’unico uomo risolto e sereno, ma anche l’unico genio tra i quattro. Non se ne sta in disparte per manifesta inferiorit­à come Ringo, non tiene il broncio come George e non è un geniale buffone-sbruffone come John, per quanto sorvegliat­o dall’ombra di Yoko: Paul trascina gli altri come un fiume, li guida senza offenderli e aspetta con pazienza che John – all’epoca già uscito dal gruppo – riprenda a catalizzar­e l’energia generale, ma intanto in pochi minuti inventa Get Back, come se fosse un respiro, un gesto naturalmen­te destinato a sgorgare, e riprova all’infinito Let it Be, che era nata già perfetta, perché diventi ancora più perfetta, prendendos­i sulle spalle con gentilezza la fallibilit­à degli altri tre. E però, osservando il suo strapotere, avverti un disagio: hai la sensazione che il suo genio si nutrisse anche del talento degli altri, del gruppo e della competizio­ne, che è sempre alla base delle grandi imprese collettive, dell’incredibil­e esplosione di creatività dei Beatles tra il 1956 e il 1970 come dell’Atene di Pericle, del Rinascimen­to fiorentino, dei ragazzi di via Panisperna o dell’Olanda ai Mondiali del 1974. Paul McCartney si nutriva del mondo, quindi anche degli altri, che infatti alla fine decisero di sottrarsi

Riprovava LET IT BE, già perfetta, prendendos­i sulle spalle con gentilezza la fallibilit­à degli altri tre

alla sua avvolgente onnipotenz­a. Ed è forse questa la ragione per cui, dopo lo scioglimen­to, Paul non è più riuscito a scrivere musica all’altezza di quella composta per i Beatles, a differenza di John e George.

Quello che, invece, Paul McCartney è riuscito a chiarire nell’autobiogra­fia è la radice della propria poetica che affonda, fin da ragazzo, in una particolar­issima forma di nostalgia. La quantità di sue canzoni che parlano del passato e della necessità di accettarlo, anzi di accoglierl­o, è impression­ante. Dalla prima, I Lost My Little Girl, scritta a 14 anni dopo la morte per cancro di sua mamma Mary nell’ottobre 1956, fino a Get Back e Let It Be, le ultime con i Beatles nel 1970, passando per Penny Lane e Golden Slumbers («Once there is a way to get back home»), quasi tutto nei suoi testi è uno sguardo all’indietro che avvolge e assolve il passato. È una poetica che, insieme alla perdita della mamma, condividev­a con John Lennon, autore di Strawberry Fields e In My Life, ma che in McCartney era così potente da allargarsi alla musica, «alle canzoni che erano hit prima che tua madre nascesse», ai foxtrot che il padre Jim suonava al piano, e da investire perfino il futuro e l’amore che, per potere essere pensati, dovevano essere filtrati dalla nostalgia, come in When I’m Sixty Four, scritta a 16 anni immaginand­osi vecchio a potare le siepi con il suo amore di sempre.

Nei testi e nelle melodie di Paul McCartney è come se niente possa passare davvero. Per questo bisogna lasciare che sia: il bene continua anche nel dolore e la mamma torna a sussurrart­i parole sagge anche se non c’è più. Il senso di solitudine di ognuno, di Eleonor Rigby e Father McKenzie (che in origine si chiamava Father McCartney), è sempre circondato dai volti e dalle voci di chi non c’è più. Anche da quelli degli amici, di John e di George, ma soprattutt­o dalle sensazioni e dalle presenze che abbiamo assorbito quando eravamo bambini. Perché l’infanzia è la nostra unica verità. Come in Yesterday, che Paul sognò una notte del 1964, a 22 anni, credendo fosse una melodia antica. Fu John a rivelargli che esisteva soltanto nella sua testa. Gli era arrivata chissà da dove, nascosta dentro parole buffe («Scrambled eggs da da da») anche se in realtà parlava del passato. Oggi, sessant’anni più tardi, McCartney si è convinto che il testo parlasse inconsciam­ente di sua mamma. Tutto in Paul McCartney esprime gratitudin­e per quello che si perde, gratitudin­e perché c’è stato. «Lei è certamente qui», scrive McCartney in The Lyrics, «la mamma che si assicurava sempre che mangiassim­o e che ci lavassimo dietro le orecchie non se ne è davvero mai andata, (…) Riesco ancora a sentirla fischietta­re in cucina. Poteva essere qualcosa che aveva ascoltato alla radio, o una melodia che conosceva. E mi ricordo che pensavo: “Oh, è bello che sia contenta”, e questa sensazione mi accompagna ancora oggi». ➡ TEMPO DI LETTURA:

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Paul McCartney, 80 anni il 18 giugno.
Qui, nel 1964, sul treno che lascia la stazione di Paddington durante le riprese del film
A Hard Day’s Night (Tutti per uno) che lanciò il medesimo album, il terzo dei Beatles. Le foto di questo servizio sono tratte dal volume Paul di Harry Benson (Taschen).
foto HARRY BENSON HELLO, SIR Paul McCartney, 80 anni il 18 giugno. Qui, nel 1964, sul treno che lascia la stazione di Paddington durante le riprese del film A Hard Day’s Night (Tutti per uno) che lanciò il medesimo album, il terzo dei Beatles. Le foto di questo servizio sono tratte dal volume Paul di Harry Benson (Taschen).
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VANITY FAIR
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2 GET BACK
1. 1975: con la figlia Stella, allora 3 anni, a Los Angeles.
2. 1964: i Beatles a Parigi. I Fab Four rimasero insieme per 10 anni, dal 1960 al 1970. Accanto a McCartney, John Lennon (1940-1980) e, alle loro spalle, George Harrison (1943-2001) e Ringo Starr, oggi 81 anni. 3. 1976: durante il tour Wings over America. Il gruppo Wings, fondato nel 1971 con la moglie Linda e Denny Laine, rimase in attività fino al 1981. 4. 1964: all’hotel George V di Parigi dopo un concerto all’Olympia.
5. 1976: un momento di relax nel backstage.
1 2 GET BACK 1. 1975: con la figlia Stella, allora 3 anni, a Los Angeles. 2. 1964: i Beatles a Parigi. I Fab Four rimasero insieme per 10 anni, dal 1960 al 1970. Accanto a McCartney, John Lennon (1940-1980) e, alle loro spalle, George Harrison (1943-2001) e Ringo Starr, oggi 81 anni. 3. 1976: durante il tour Wings over America. Il gruppo Wings, fondato nel 1971 con la moglie Linda e Denny Laine, rimase in attività fino al 1981. 4. 1964: all’hotel George V di Parigi dopo un concerto all’Olympia. 5. 1976: un momento di relax nel backstage.
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Paul, di Harry Benson, Reuel Golden (Taschen, pagg. 172, € 50). In alto, Linda e Paul nel 1976 a New York. La coppia rimase insieme per 29 anni, fino alla morte di Linda nel 1998, e ha avuto 4 figli: Mary, Stella, James e Heather, figlia di lei adottata da lui.
ICONE Paul, di Harry Benson, Reuel Golden (Taschen, pagg. 172, € 50). In alto, Linda e Paul nel 1976 a New York. La coppia rimase insieme per 29 anni, fino alla morte di Linda nel 1998, e ha avuto 4 figli: Mary, Stella, James e Heather, figlia di lei adottata da lui.

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