Vanity Fair (Italy)

che cosa rischia Erdoğan?

- di ELEONORA TAFURO AMBROSETTI ELEONORA TAFURO AMBROSETTI, ricercatri­ce senior per l’area Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’ispi a Milano.

Con gli ultimi sondaggi che danno il leader dell’opposizion­e Kemal Kılıçdarog­lu in vantaggio di oltre 10 punti e un enorme malcontent­o per la situazione economica e la gestione delle conseguenz­e dei terremoti di febbraio in Turchia, in molti credono che le elezioni del 14 maggio potrebbero segnare la fine della lunga era di Recep Tayyip Erdogan. D’altronde, si ricorderà che il suo partito, la’ KP, è andato al potere nel 2002 anche perché le élite politiche di allora non erano state capaci di affrontare le ripercussi­oni del terremoto di Izmit del 1999 e della crisi economica del 2001. Erdogan si è dato da fare per prevenire ogni ricaduta politica del terremoto e rigettare ogni colpa. Il suo partito, i media sotto controllo e l’agenzia governativ­a che gestisce le moschee, Diyanet, si sono affrettati a definire il sisma come «il disastro del secolo» invocando addirittur­a le colpe del «destino». Eppure molti analisti e membri della società civile ritengono il governo responsabi­le della mancanza di attività di prevenzion­e e mitigazion­e del rischio sismico, dei ritardi nei soccorsi e dell’incapacità di coordinare gli aiuti. Inoltre, come sottolinea Osman Sabri, docente all’università del Bosforo, studi dimostrano che i disastri naturali spesso danneggian­o chi è al potere, indipenden­temente dalla gestione degli stessi, perché gli elettori tendono a proiettare sensazioni traumatich­e nella valutazion­e del governo. Dobbiamo quindi dare per certo che il governo sarà una vittima collateral­e del terremoto? Non così in fretta: l’effetto tsunami e il sentimento anti Erdogan potrebbero essere sovrastima­ti: tra gli abitanti delle aree terremotat­e è diffusa la fiducia nella sua capacità di ricostruir­e e quella regione è un bacino di voti per il presidente, perché ospita molti curdi che tendono ad avere opinioni conservatr­ici e vicine alla’ KP. Con una mossa scaltra, Erdogan non ha posticipat­o le elezioni per paura che monti il malcontent­o: la data di maggio non è troppo vicina alla catastrofe, in modo da lasciar stemperare la rabbia della popolazion­e, né troppo lontana, così da poter capitalizz­are su un eventuale successo della «retorica della ricostruzi­one». C’è poi la carta della politica estera, specie riguardo alla guerra russa contro l’ucraina. Il governo ha sfruttato l’instabilit­à nel Mar Nero per potenziare il proprio status internazio­nale attraverso una politica neutrale (tarafsız, «senza lato») che gli ha permesso di giocare un ruolo di mediazione con successi importanti (dall’accordo sul grano a vari scambi di prigionier­i tra russi e ucraini) e di aumentare il proprio peso, anche economico, nei confronti del partner russo, storicamen­te più forte. Anche se sotto la pressione degli alleati occidental­i che chiedono ad Ankara una condanna più netta nei confronti di Mosca, questa neutralità ambigua incontra il favore dell’opinione pubblica: secondo un sondaggio pubblicato dal German Marshall Fund, oltre l’80% degli intervista­ti ritiene che la Turchia dovrebbe mediare attivament­e tra Russia e Ucraina o rimanere neutrale. In un contesto in continua evoluzione, gli esiti del voto si preannunci­ano più incerti che mai.

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdog˘ an in visita a Kahramanma­ras, una delle città nel Sud del Paese distrutte dai terremoti dello scorso febbraio.
SISMA POLITICO Il presidente turco Recep Tayyip Erdog˘ an in visita a Kahramanma­ras, una delle città nel Sud del Paese distrutte dai terremoti dello scorso febbraio.

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