PRIMAVERA, ED È SUBITO FAVE
Per la gioia di vegetariani e non, la primavera porta anche le fave. Note dall’antichità, la loro considerazione presso i Greci era tale da venir cotte e offerte agli dèi, per le anime dei morti. Il più grande successo delle fave fu però di Roma antica, tant’è che anche Apicio dà una gustosa (per l’epoca) ricetta di concicla cum faba (minestra di fave) nel suo De Re Coquinaria; e Plinio il Vecchio favoleggia di un’isola nei mari del Nord, Burcana, dove «crescono spontaneamente enormi quantità di fave». Addirittura molte nobili famiglie romane portavano nomi derivanti dai legumi, e così i Fabi, i Lentuli (da lens, lenticchia). I legumi più noti oggi sono i fagioli, ma anche le fave hanno un loro pubblico, basti pensare all’irrinunciabile «fave fresche e pecorino» (obbligatorie a Roma il 1° maggio!), alle ottime «fave e cicoria» pugliesi, o alla mitica «frittedda» siciliana con carciofi e piselli. Chi è affetto da favismo ovviamente deve astenersi: condizione che non ha nulla a che vedere con il fauvisme, movimento francese di avanguardia di inizio Novecento, che contò artisti famosi come il grande Matisse, che derivarono il loro nome di «selvaggi» dall’aggettivo fauve («fulvo», ma anche «belva»). Che mangiassero fave non possiamo essere certi, ma pensando ai classici francesi gourmet, probabilmente non trascurarono questo ottimo legume.
Avvocato, esperta di storia della cucina e di arte del ricevere, cuoca appassionata e collezionista di testi dedicati alla gastronomia. Ha scritto il libro Dizionario irresistibile di storie in cucina (2021, Cairo).