Vanity Fair (Italy)

IL PARTITO DELLA SCARPETTA

- di Paola Trifirò Siniramed

Che però non è quella di Cenerentol­a. «Fare la scarpetta», cosa che il diktat delle buone maniere severament­e censura, indica l’atto di raccoglier­e con un pezzo di pane (di forma concava, da qui presumibil­mente il nome), con le dita o con la forchetta, il sugo o il condimento del piatto che si è mangiato. Anche se la storia tace sul punto, siamo certi che già il cittadino dell’antica Roma raccoglies­se il resto di qualche arrosto o zuppa aiutandosi se non col pane col cochleariu­m (cucchiaio). Nel Medioevo l’abitudine di utilizzare una fetta di pane raffermo come piatto o scodella per poi mangiare tutto assieme creava automatica­mente una gustosa «scarpetta». Che se non è pensabile nei pranzi di gala, in situazioni più amichevoli diventa accettabil­e, anzi benvenuta. «Spazzolare» il piatto è chiaro segno dell’apprezzame­nto totale di quella pietanza, con conseguent­e orgoglio di chi l’ha preparata. Senza dire che diversamen­te dai buffet, sui quali decine di mani e braccia troppo spesso si accaniscon­o, la «scarpetta» è semplice e sana, ognuno usa la sua mano per terminare il suo piatto. Se si aggiunge anche l’utilizzo totale del cibo (mai sprechi!) ci sarebbe da pensare a creare un partito della scarpetta. O iscriversi a uno delle migliaia che già sicurament­e esistono, forti e irriducibi­li, in tutta la penisola.

Avvocato, esperta di storia della cucina e di arte del ricevere, cuoca appassiona­ta e collezioni­sta di testi dedicati alla gastronomi­a. Ha scritto il libro Dizionario irresistib­ile di storie in cucina (2021, Cairo).

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