IL PARTITO DELLA SCARPETTA
Che però non è quella di Cenerentola. «Fare la scarpetta», cosa che il diktat delle buone maniere severamente censura, indica l’atto di raccogliere con un pezzo di pane (di forma concava, da qui presumibilmente il nome), con le dita o con la forchetta, il sugo o il condimento del piatto che si è mangiato. Anche se la storia tace sul punto, siamo certi che già il cittadino dell’antica Roma raccogliesse il resto di qualche arrosto o zuppa aiutandosi se non col pane col cochlearium (cucchiaio). Nel Medioevo l’abitudine di utilizzare una fetta di pane raffermo come piatto o scodella per poi mangiare tutto assieme creava automaticamente una gustosa «scarpetta». Che se non è pensabile nei pranzi di gala, in situazioni più amichevoli diventa accettabile, anzi benvenuta. «Spazzolare» il piatto è chiaro segno dell’apprezzamento totale di quella pietanza, con conseguente orgoglio di chi l’ha preparata. Senza dire che diversamente dai buffet, sui quali decine di mani e braccia troppo spesso si accaniscono, la «scarpetta» è semplice e sana, ognuno usa la sua mano per terminare il suo piatto. Se si aggiunge anche l’utilizzo totale del cibo (mai sprechi!) ci sarebbe da pensare a creare un partito della scarpetta. O iscriversi a uno delle migliaia che già sicuramente esistono, forti e irriducibili, in tutta la penisola.
Avvocato, esperta di storia della cucina e di arte del ricevere, cuoca appassionata e collezionista di testi dedicati alla gastronomia. Ha scritto il libro Dizionario irresistibile di storie in cucina (2021, Cairo).