Vanity Fair (Italy)

Io so parlar D’AMORE

La relazione con Mario Monicelli, la fine della Dolce vita e la lotta per affermare sé stessa. Chiara Rapaccini si racconta

- di ENRICA BROCARDO

Avvertenza per i lettori: Mio amato Belzebù. L’amara dolce vita con Monicelli e compagnia (Giunti), in libreria dal 13 settembre, non è una biografia del regista, morto suicida nel 2010 a 95 anni. Chiara Rapaccini, artista e illustratr­ice, oggi sessantano­venne, che è stata la sua compagna dal 1978, spiega: «Semmai è un libro scritto per noi donne che cerchiamo di non essere sempre dietro a un maschio. Racconto la nostra relazione, la fine della Dolce vita romana e la mia lotta per affermare me stessa». Per smettere di essere «una pietra rotolante», come si sentì nei primi anni a Roma, lontana dalla sua Firenze, circondata dai grandi in tutti i sensi – famosi, importanti ma anche «vecchi» – del cinema italiano. Oltre a Mario Monicelli, Ettore Scola, Suso Cecchi DA’ mico, Marcello Mastroiann­i e altri. Un’intera generazion­e che ha visto sparire davanti ai suoi occhi.

Nel libro parla di una «carneficin­a». Scrive: «Una moria che durò 30 anni. Bara dopo bara, funerale dopo funerale».

«Sì. Allora ero troppo giovane per capire che sarebbe successo. Come un bambino non concepisce che la mamma possa morire. Non avevo messo in conto che dopo tutta la fatica che avevo fatto per acclimatar­mi, li avrei visti andarsene uno dopo l’altro».

Una domanda che ricorre spesso nelle pagine e che rivolge a sé stessa è: «Che ci faccio io qui?».

«Ero sola, lontana dalla mia famiglia, dai miei amici. All’improvviso intorno a me non c’erano più coetanei, ma solo gente di 60, 70 anni, dove quello che contava di meno era importante, conosciuto, intervista­to, paparazzat­o. Ero molto innamorata di Mario, però per me era come un alieno. Per quattro anni sono stata frastornat­a, non sapevo come comportarm­i, che cosa dire, come vestire».

Perché Belzebù?

«La prima sera che uscimmo insieme a cena mi spiegò come Eva avesse seguito il serpente lasciando il Paradiso terrestre per inseguire la conoscenza. E io capii subito che quell’uomo mi avrebbe insegnato il senso della vita. E della morte».

Siete rimasti insieme una trentina d’anni, anche dopo esservi separati nell’ultimo periodo e, nel 1988, avete avuto una figlia, Rosa. Che padre era Monicelli?

«Sua figlia ha cominciato a piacergli di più dopo che aveva imparato a leggere. All’epoca dovevo occuparmi di una bambina piccola e di un uomo vecchio, una vita complessa, per cui ho questo ricordo di un giorno in campagna in cui li sentii parlare di libri e io me ne andai in cucina pensando: “Finalmente me li sono tolti dai piedi tutti e due”. Avevano trovato qualcosa in comune».

Dedica parecchio spazio al racconto del set Le rose del deserto, l’ultimo film di Monicelli, girato in Tunisia.

«Aveva 92 anni. Nessuno a quell’età intraprend­e un’avventura del genere. Sono le ultime immagini che ho di un Mario vivo, comandante. Sarebbe morto poco dopo. Inoltre, per noi quello fu un momento di riconcilia­zione, di vicinanza. Avevamo capito che ci amavamo ancora».

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Sopra, con Mario Monicelli. A destra, la cover del suo libro edito da Giunti, in libreria dal 13/9.
RICORDATI DI ME In alto, un ritratto di Chiara Rapaccini, oggi sessantano­venne. Sopra, con Mario Monicelli. A destra, la cover del suo libro edito da Giunti, in libreria dal 13/9.

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