MARINA ABRAMOVIC e la sfida di imponderabili emozioni
Nell’estate del 1977 alla Galleria Comunale di Bologna c’era in mostra un’opera d’arte molto particolare: all’interno della cornice di una porta stavano in piedi due persone, l’artista Marina Abramovic, oggi famosissima, e il suo partner artistico e sentimentale, Ulay. I due erano nudi, e se una persona voleva andare nella stanza successiva doveva passare attraverso l’angusto spazio tra i due corpi, costretto a scegliere se guardare la donna e dare le spalle all’uomo o viceversa. Il titolo dell’opera era Imponderabilia, ossia imprevedibile: non si poteva sapere che sensazione avrebbe suscitato strusciarsi contro un corpo nudo. Dopo un paio di giorni i carabinieri obbligarono la rimozione dell’opera perché oscena, eppure è diventata una delle pietre miliari della Performance Art di cui Abramovic è la divinità assoluta. Ora Imponderabilia è installata a Londra (Royal Academy, fino al 1/1) per una retrospettiva dell’artista. Non crea più scandalo, ma imbarazzo sì. Non solo: in un’epoca di #Meyou We Too non si può obbligare nessuno a infilarsi fra due persone nude, e quindi il museo ha aperto un’altra porta che consente di evitare l’opera, un compromesso che rovina un po’ tutto, come se davanti alla Venere di Botticelli ci fosse una staccionata che fa vedere solo la testa e copre le nudità. Sempre meglio di quando Imponderabilia fu presentata al MOMA di New York: lo spazio tra i due performer era tale da consentire a una carrozzella di passare con il rischio che una delle ruote evirasse il maschio. Ora viene da dire: in epoca di Lgbtqi+ e fluidità perché usare solo una femmina e un maschio, giovani, e non mischiare le carte con gente di tutti i tipi, che so, un trans finlandese di 70 anni e un uomo differentemente alto della Nuova Guinea?