Unire seggi e idee per dare
UN RUOLO ALL’EUROPA
Quindi a cosa credere? Possiamo entusiasmarci per il cambiamento in Polonia? O disperarci perché di fronte all’ennesimo conflitto i leader Ue sono apparsi sbandati? L’europa è più forte di prima, o più friabile? La domanda ci assillerà da qui alle europee di giugno. Non possiamo leggere il futuro, ma guardare le carte sì.
Le elezioni spagnole e polacche erano i due grandi test prima di giugno. E ci dicono anzitutto che le società europee hanno ancora capacità di resistenza alle destre estreme. Né Vox in Spagna, né Konfederacja in Polonia hanno sfondato alle urne; tutt’altro.
Pur di restare al potere, i popolari spagnoli (Pp) e gli ultraconservatori polacchi (Pis) erano pronti a scendere a patti con loro tagliando il cordone sanitario. Ma sono stati gli elettori a ricucirlo. I neofascisti polacchi hanno preso una batosta, «il peggior fallimento» come ha detto il loro leader Sławomir Mentzen; e i «patrioti» spagnoli alleati di Meloni pure. Questo per dire che per l’europa gli europei ci sono. Quel 74 per cento di affluenza alle urne in Polonia, e il voto europeista di donne e giovani, attestano l’aspirazione al cambiamento. Come mi ha detto la leader femminista Marta Lempart, incontrata nel quartier generale di Strajk Kobiet («sciopero delle donne») a Varsavia: «In piazza abbiamo generato un cambiamento sociale, ma ora è il momento di innescarne uno politico». I risultati spagnoli e polacchi ci dicono che le destre restano primo partito: vale per i popolari e per il Pis. Ma che tutte le altre forze sociali, messe insieme, sono in grado di comporre una maggioranza alternativa.
Pedro Sánchez ha più margini per governare, e Donald Tusk, tenendo insieme sinistra e terzo polo, vince. Dove le destre polarizzano e dividono, l’alternativa è unire. I test spagnolo e polacco rivelano la forza dell’abbraccio: di partiti, di seggi, di istanze ed energie sociali. Tusk si prepara a riscattare i fondi europei bloccati, a ripristinare lo stato di diritto in Polonia e a cambiare gli equilibri in Ue. L’unione fa la forza, peccato che i leader Ue siano i primi a ignorarlo. Quando la crisi in Medio Oriente è deflagrata, Ursula von der Leyen ha agito per conto suo frantumando i fragili equilibri democratici dell’ue. Questi equilibri sono incarnati dall’alto rappresentante
Josep Borrell, che parla a nome dei governi ma è anche vicepresidente della Commissione, e che da subito ha unito la solidarietà a Israele alla richiesta di rispettare il diritto internazionale. Borrell ha provato a ritagliare per l’ue un ruolo di risolutrice del conflitto. E stava a lui, e ai governi europei, farlo. Ma intanto la presidente della Commissione Ue, von der Leyen, stava già piazzando bandiere, stringeva le mani a Netanyahu in Israele e schierava l’ue su un fronte; né stigmatizzava il commissario ungherese per aver annunciato il taglio di fondi ai palestinesi, scatenando bufere. A poco sono valse le reprimende dei governi e le proteste interne dei funzionari: von der Leyen balla da sola. Peccato che i suoi movimenti scomposti abbiano effetti su tutti noi.