Rai: silenzio, parla il governo
Sui campi di battaglia si usano i bengala, volano in alto, sprigionano una grande luce: servono a illuminare il nemico, a spaventarlo, mentre ci si prepara a invaderlo. Le truppe della nostra destra di governo fanno più o meno la stessa cosa sul vasto fronte dell’informazione. Che per loro non è un flusso, ma una interferenza, anzi una frontiera di cui si sentono custodi, decidendo chi può passare e chi no, per il bene della pubblica opinione.
In Commissione parlamentare di vigilanza – che sarebbe il laboratorio dove i piccoli chimici della politica analizzano la composizione molecolare del giornalismo radiotelevisivo – hanno proposto l’arresto dei giornalisti per il reato di diffamazione, quattro anni di galera a essere precisi. Il lampo ha fatto il botto nel cielo, si sono intraviste le sagome nemiche di
Report, di Presa diretta, dei comitati di redazione dei telegiornali, persino le proteste dell’opposizione di sinistra in parlamento. E quando la luce si è spenta, la proposta del carcere è stata ritirata, tranquilli era una boutade, anzi un equivoco.
Stessa procedura per accaparrarsi tempo e propaganda in Rai in vista delle urne europee. La par condicio – che è legge dall’anno 2000 – prevede che, nei periodi elettorali, ogni partito abbia una fetta di tempo equivalente. Niente affatto, dice a questo giro la destra che ha il modello Ungheria in testa e nel cuore, dove Viktor Orbán fa e disfa la propaganda a suo capriccio. Dice la nuova normativa che «la presenza del governo e dei suoi membri in Rai non dovrà più essere conteggiata». E neppure contraddetta se riguarderà le attività di governo. Ingresso libero nei talk show, minutaggio illimitato, come nei contratti telefonici: «Pronto? Fate silenzio, parla il governo». Giorgia Meloni potrà illustrarci le magnifiche sorti del premierato, finalmente scelto dal popolo e non dagli intrighi di Palazzo. Matteo Salvini, ministro dei Trasporti, ci aggiornerà sul plastico del Ponte di Messina, sui condoni edilizi e fiscali prossimi venturi, senza la seccatura delle domande dei fessi che non fanno abusi, non evadono le tasse e, per andare da Palermo a Siracusa, impiegano 7 ore e 6 minuti di treno. Daniela Santanchè, titolare del Twiga e contemporaneamente del Turismo, potrà sorvolare sulle inchieste che la riguardano per truffe allo Stato e al Fisco, seduta sotto al suo ombrellone. Mentre il borbottante Giorgetti, ministro di Economia e Finanza, danzerà sui conti dello Stato senza che nessuno si azzardi a chiedergli come mai il nostro debito pubblico stia correndo verso lo sprofondo dei 3 mila miliardi di buco.
È troppo grande la forzatura? Esagerano i giornali europei quando scrivono: «Meloni vuole tutto il potere mediatico»? E come mai i giornalisti della Rai, di solito mansueti, alzano la testa per dichiarare in diretta tv: «Non siamo il vostro megafono»? Tranquilli, dicono ora che il bengala ha fatto la sua minacciosa parabola, «era solo un ritocco della par condicio». Forse ci ripensano. Ma forse anche no. Vedremo alla prossima incursione.