Vinile Monografie

A una donna meraviglio­sa che forse esiste

- Luca Raffaelli

Mina è per me, da sempre, una figura mitica: Mina non esiste nella realtà. Ovviamente, mi è apparsa da bambino sugli schermi televisivi in bianco e nero, in quelle serate che si passavano in famiglia (i genitori e una sorella più grande), durante le quali ti accorgevi di avere dei pensieri che non sempre collimavan­o con quelli degli altri. Arrivava Mina e tutti dicevano brava, che brava, fenomenale. E io mi accodavo. Ma poi mi dicevo: secondo me qualcosa non va. Sentivo come un disagio dietro quelle apparizion­i in cui la magnifica espression­e del suo talento si doveva sommare alla necessità di apparire. Quando guardavo i tanti personaggi che affollavan­o il piccolo schermo li dividevo in tre categorie: quelli che sono come appaiono, quelli che fingono volentieri e quelli che soffrono fingendo. A volte era complesso decidere. Però, per dire, Jannacci era vero, Alberto Lupo fingeva volentieri, Totò pure ma con una parte di sé. Mina invece soffriva. Nonostante la sua bravura, nonostante la sua capacità di stare davanti lo schermo e di ammaliarci tutti. C’era una parte di lei che non veniva fuori e che reclamava attenzione. Possibile che lo capissi solo io? Boh. Per questo non mi ha stupito affatto la sua decisione di scomparire. Anzi, era come se mi avesse detto che avevo capito. Avevo ragione io. Grazie.

Sono due i momenti di Mina in tv che mi hanno turbato. Uno positivame­nte, l’altro meno. Il primo è l’esibizione con Giorgio Gaber (credo a Senza rete), in cui i due ridendo e guardandos­i complici storpiano “e non sgobbava mai” con un’espression­e molto simile ma da censura. Bellissimo. L’altra riguarda La banda. Io ero appassiona­to di Chico Buarque e compravo i suoi 45 giri in italiano. Ecco: nella sua versione originale, dopo che la banda è passata, “tutto resta com’è”. Un finale struggente, poetico, anche politico. Quel finale che manca nella versione di Mina. Colpa di Amurri, ok, ma Mina sapeva? Era d’accordo?

Che giugno, quel giugno del 1993. Andando in auto al festival di Annecy, passo attraverso Lugano (vedi le sincronici­tà) e arrivo a Grandvaux, da Hugo Pratt. Mi ospita a dormire e parliamo di tutto. Anche di canzoni. Anche di Mina. E di Ornella Vanoni, di cui era molto amico. Ad Annecy, alla reception dell’albergo, un giorno meraviglio­so trovo due messaggi. Uno dice: ha chiamato Hugo Pratt. Accidenti. Mi invita a tornare da lui: viene Ornella Vanoni a cena. Non posso, come faccio? Che peccato, accidenti. L’altro è il fax di una mia amica che è a casa mia a Roma. Il testo è questo: “Luca! Ha telefonato la segretaria di Mina: vuole cantare una tua canzone!!!”. Non ci credo. Ha sentito la mia registrazi­one. Le mie parole e la mia musica. Le vuole cantare. Non ci credo. Da allora in poi quando devo descrivere quello che ho fatto, posso chiudere la mia nota biografica con questa fantastica frase: Mina ha cantato una sua canzone: Ninna pà. Che gioia. Grazie, donna meraviglio­sa che forse esiste.

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