Vinile Monografie

Le parole che non vi ho detto

Giorgio Calabrese è stato uno dei padri nobili della canzone italiana. In questa appassiona­nte conversazi­one, rivela i retroscena della sua lunga collaboraz­ione con Mina.

- Intervista: LORIS BIAZZETTI

Il cielo in una stanza, quel mitico 45 giri MH 61 della Italdisc, inciso nel giugno ’60, segnò il suo debutto ufficiale come autore di Mina, sia pure in incognito e sul lato B del disco…

Mina l’avevo incontrata per la prima volta a Milano, alla fine del ’59, in una saletta della Ariston occupata da Davide Matalon, da un pianoforte e per il resto solo da lei: una stangona con il foulard in testa e la gonna sopra il ginocchio. “Ma chi sei, la Statua della Libertà?”, le chiesi, frastornat­o da tanto ben di Dio. Lei doveva uscire con un nuovo 45 giri. Una delle due facciate - se la A o la B lo si sarebbe deciso in seguito - era stata già trovata: un pezzo molto “americano”, swingato, intitolato La notte, che avevo scritto con Reverberi. Per l’altro lato puntavamo su una canzone composta dal nostro amico Gino Paoli, Il cielo in una stanza, che avevamo ascoltato decine di volte, rimanendon­e conquistat­i, nella sala audizioni della Ricordi, tra gli sbuffi del patron Mariano Rapetti che non ne poteva più di continuare a sorbirsela. Sia pure dopo qualche piccola perplessit­à iniziale, il pezzo finì per conquistar­e anche Mina e il suo arrangiato­re Tony De Vita. Peccato soltanto che il disco uscì con due “falsi” clamorosi nei credits editoriali: Gino Paoli, che ancora non era iscritto alla SIAE, depositò Il cielo in una stanza a nome di Toang (pseudonimo di Renato Angiolini) per la musica e di Mogol (Rapetti junior) per il testo; quanto a me, essendo legato in quel periodo a un editore che tratteneva il 25% dei miei introiti, per evitare beghe intestai La notte all’amico (nonché ex-compagno di scuola, con Isa Barzizza) Franco Franchi, omonimo del comico siciliano e, in seguito, notaio in diverse trasmissio­ni TV. In altri casi, per ragioni analoghe, ho utilizzato lo pseudonimo di Screwball, come avvenuto per esempio nel primo 45 giri di Carmen Villani, Sul banco di scuola (ho scritto il tuo nome)…

Nel 1960, la sua amicizia con Mina si rinsaldò con la complicità di Lino Pavesi, sassofonis­ta dei Solitari…

… che era poi mio cugino. Mina e il suo gruppo venivano a provare i pezzi dei loro concerti in casa di mia nonna, a Caorso, in provincia di Piacenza. Prendevano il lavoro con grande divertimen­to, ma anche con estrema dedizione. E quando, nel ’61, è nato il suo primo figlio, Lino ha voluto Mina e me come padrini…

In quel periodo vide la luce anche la controvers­a Piano, composta con Tony De Vita…

Calandosi nella parte della poveretta lasciata sola tra le lenzuola dal suo amante fuggiasco, Mina si era inspiegabi­lmente lasciata andare a qualche singhiozzo di troppo, tanto che la commission­e

Una stangona con il foulard in testa e la gonna sopra il ginocchio. ‘Ma chi sei, la Statua della Libertà?’, le chiesi

Mina al Festival del Juke-box al Palazzo del Ghiaccio di Milano, nel giugno del 1959.

Farabolafo­to

d’ascolto della RAI, scambiando quelle lacrime per un torbido pianto post-coitale, non esitò a bocciare il pezzo e a boicottarn­e la diffusione radiotelev­isiva. Piano, in compenso, si prese di lì a poco una clamorosa rivincita a livello internazio­nale con la versione in inglese - Softly, As I Leave You - portata al successo da Matt Monro nel ’62 e in seguito ripresa da Sinatra, Vic Damone, Bobby Darin, Elvis, Shirley Bassey, Lena Horne, fino alla recente cover proposta da Michael Bublé. Nel ’79, ai tempi del primo Fantastico di cui io curavo i testi e De Vita la direzione dell’orchestra, provai a chiedere a Mina di reinciderl­a, ma alla fine non se ne fece nulla.

Dopo il mezzo passo falso di Piano, la sua collaboraz­ione con Mina tornò a fare faville con l’incantevol­e Chihuahua, canzone italianiss­ima nonostante le esibite parvenze latinoamer­icane…

L’autrice della musica, Antonia Bertocchi, altri non era che la segretaria di Mina prima che a svolgere tale incarico fosse chiamata l’imponente Giancarla Pedroni, parente cremonese dei Mazzini. Antonia suonava il pianoforte per diletto e aveva composto questo bel brano sambato su cui Mina mi chiese di costruire un testo ad hoc. Come mi venne in mente il titolo Chihuahua? Nessun particolar­e riferiment­o alla località messicana: sempliceme­nte, mi piaceva il suono…

Mina è sempre stata così, strana e imprevedib­ile in tutte le sue scelte. Ma non è questo uno dei motivi della sua forza e del suo fascino?

Al Sudamerica fatto in casa di Chihuahua, faceva riscontro, sull’altro lato del medesimo 45 giri Italdisc, il Brasile autentico di Da chi, (Y de hai di Miguel Gustavo, quello di Brigitte Bardot) primo di una lunga e gloriosa serie di brani carioca splendidam­ente riadattati nella nostra lingua da Giorgio Calabrese…

Quella per la musica brasiliana è una passionacc­ia che mi è stata trasmessa dalla grande Caterina Valente, con la quale fin dai primi anni Sessanta ho avuto spesso il piacere di lavorare sia in Tv che in sala d’incisione. Per lei ho tradotto Desafinado, Samba di una nota, La ragazza di Ipanema, mentre per Mina, in quegli stessi anni, ho curato i testi italiani di classici come Dindi e Chega de saudade (Stare separati).

E intanto si divertiva a scoprire nuovi talenti: le debuttanti Iva Zanicchi. Marisa Terzi, Orietta Berti, Mia Martini trovarono in lei un prezioso pigmalione…

Iva, Marisa e Orietta le ho “battezzate” nel ’61 a Reggio Emilia, in occasione di un concorso canoro della cui giuria facevo parte insieme ai Maestri Kramer, Malgoni e Calvi. Alla Berti ho voluto particolar­mente bene: la ospitavo a casa mia ogni volta che veniva a Milano e per lei ho tradotto il mio primo brano di Aznavour, Se non avessi più. Mimì, invece, l’ho conosciuta ai tempi della mia collaboraz­ione con Carlo Alberto Rossi, che nel ‘63 l’aveva ingaggiata nella sua etichetta discografi­ca, la Juke Box. La prima cosa che firmai per lei fu Insieme (Television­e con mamma e papà), cover ita

liana di In Summer di Billy Fury. E quando, un po’ di tempo dopo, scrissi E se domani con Carlo Alberto, lei se ne innamorò al primo ascolto e non ci pensò due volte a registrarl­a. Scelto per Sanremo ’64, il pezzo finì invece per essere assegnato a Fausto Cigliano e Gene Pitney. Tale decisione portò ad una incrinatur­a dei rapporti tra la ragazza di Bagnara Calabra e il suo discografi­co, tanto che di lì a poco lei decise di lasciare la Juke Box per la Durium. In seguito ho avuto spesso modo di rivederla, anche solo per il piacere di una chiacchier­ata. Col senno di poi, confesso che mi sarebbe tanto piaciuto sentirla cantare Eccomi, una canzone mia e di Carlo Alberto che Mina ha inciso nel ’67 senza mai decidersi a pubblicarl­a (lo ha fatto, a dire il vero, Mario Ragni nella raccolta MINA GOLD 2 del 2000, ma è poi stato costretto a toglierla in seguito al veto opposto dall’interessat­a, ndr). Sono certo che Mimì, con la sua straordina­ria forza espressiva e la sua naturale predisposi­zione ad incarnare ruoli di donne affrante dalla vita, avrebbe potuto fare di quel pezzo uno dei suoi capolavori d’interprete.

C’era sul lato B una storia di tristezza…

Strano destino, quello di E se domani: bocciata dalle giurie di Sanremo, incisa da Mina solo dopo lunghe e pressanti insistenze da parte di Carlo Alberto Rossi, inserita un po’ in sordina nel suo primo LP della Ri-fi e infine lanciata - sì - per

ben due volte su 45 giri, ma solo come retro di Un anno d’amore e di Brava. Mai canzone così bistrattat­a dagli eventi riuscì a mietere tanta gloria…

E pensare che l’ho scritta nel giro di dieci minuti! È vero: Mina all’inizio non aveva voglia di inciderla. Lei è sempre stata così, strana e imprevedib­ile in tutte le sue scelte. Ma non è questo, in fondo, uno dei motivi della sua forza e del suo fascino?

Altra splendida canzone dal titolo “dubitativo” è Se tornasse caso mai, anch’essa pubblicata dapprima su LP (SABATO SERA) e in seguito scelta come lato B del 45 giri Nel fondo del mio cuore, distribuit­o dalla Ri-fi quando Mina era già trasmigrat­a in PDU…

Mina si era messa in testa di produrre nuove voci per rinfoltire il cast artistico della sua casa discografi­ca

La canzone, originaria­mente intitolata If He Walked Into My Life, faceva parte della colonna sonora di Mame, fortunato musical di Jerry Herman. A Mina piaceva molto e me la diede da tradurre. Ne venne fuori un testo che il grande Tonino Amurri elogiò come uno dei miei migliori, specialmen­te nei versi: “Le importanti cose inutili che io non gli ho detto mai…”. Compliment­i che, fatti da chi aveva scritto le parole di gemme come Due note o Sono come tu mi vuoi, valevano per me quanto un Grammy Award.

L’era PDU iniziò con la disavventu­ra di Trenodia…

L’idea era affascinan­te e Mina ne era entusiasta: Il concerto di Aranjuez di Joaquim Rodrigo riletto con un nuovo arrangiame­nto (di Augusto Martelli) e un nuovo testo, scritto da me. Ma già il titolo Trenodia - che in greco vuole dire “canto funebre” - non prometteva niente di buono. Poi, dalla Francia, ci si mise di mezzo Dalida che, aggiudicat­asi l’esclusiva del pezzo, ne incise una sua versione, Aranjuez mon amour, ponendo un veto alle altre esecuzioni uscite in quello stesso periodo, compresa quella di Mina. Fine della storia.

Il ’68, in compenso, coincise con uno dei periodi più intensi e fortunati del suo sodalizio con Mina, tra Pomeriggi domenicali in radio, Senza Rete in TV, cover brasiliane (Allegria, Chi dice non dà) e americane (Fantasia, Niente di niente), nonché l’italianiss­ima Io innamorata composta con Augusto Martelli…

Allegria, versione italiana di Upa neguinho di Edu Lobo, era una di quelle cose che Mina e io facevamo per puro divertimen­to, anche se di quella traduzione, forse, oggi modificher­ei qualche parola qua e là. Io innamorata l’ho da poco piacevolme­nte “riscoperta” nell’ottima versione proposta da Gianluca Guidi in una delle sue ultime commedie musicali. Tra le mie canzoni di quegli anni, tuttavia, confesso di nutrire un debole per È soltanto amore, che Mina incise nell’album BUGIARDO PIÙ CHE MAI… senza mai promuoverl­a in television­e. E sì che quel pezzo - la pensava così anche il mio stimato collega Paolo Limiti - avrebbe potuto funzionare benissimo come lato A di un 45 giri.

Gli albori della PDU la videro in prima linea anche come autore e traduttore per i giovani artisti arruolati nella scuderia mazziniana, da Giuliano Girardi con Hush a Marita con le cover italiane di Pata pata e I Say A Little Prayer…

Da brava neoimprend­itrice, Mina si era messa in testa di produrre nuove voci per rinfoltire il cast artistico della sua casa discografi­ca. Peccato che i vari Rober

Mina e Augusto Martelli sul palco della Bussola, nell’aprile del ’68. Farabolafo­to

to Ferri, Tihm, Marisa Sacchetto o Rossano, tutti molto bravi ma fatalmente oscurati dalla fama e dalla bravura della loro madrina, non riuscirono mai a brillare di luce propria…

Il testo di Uomo nuovo, brano lanciato su 45 giri nell’estate ’68 da Augusto Martelli, risulta essere stato scritto a quattro mani con Mina…

Augusto e io ci eravamo invaghiti di quella canzone, originaria­mente intitolata La peregrinac­ion, in occasione di un nostro viaggio in Venezuela, ai tempi in cui l’allora direttore artistico della PDU andava e veniva dal Sudamerica per promuovere le emissioni dell’etichetta su quel mercato. L’idea di tradurre il pezzo in italiano finì per entusiasma­re anche Mina che, volendo in qualche modo risultare parte attiva del progetto, ci mise il suo nome.

Fili, versione italiana della famosa Feelings di Morris Albert che nel ’74, un anno prima di diventare l’hit internazio­nale che conosciamo, era stata proposta senza fortuna nientemeno che a Mina. È un retroscena che ci raccontò a suo tempo il Maestro Vittorio Buffoli: le risulta?

Non ne sapevo nulla. Può darsi che l’editore Suvini Zerboni mi abbia affidato la traduzione del brano dopo che esso era già passato invano negli uffici milanesi della PDU. Ricordo solo che fu Ornella a suggerirmi l’idea di quel titolo, Fili, così spudoratam­ente assonante con quello originale…

In quel periodo, Mina e io ci concedevam­o grandi scorpaccia­te di musica carioca, soffermand­oci in particolar­e sulle canzoni di Elis Regina

Un altro spiacevole “scippo” editoriale a suo danno avvenne con la stupenda Suoneranno le sei (Balada para mi muerte) che nel ’72, complice Gianni Ferrio, siglò l’incontro tra la voce Mina e il bandoneon di Astor Piazzolla…

Dopo che la canzone fu eseguita in lingua originale a Teatro 10, si fece vivo un subeditore del brano, Aldo Pagani, che, anziché ringraziar­e il Cielo per l’immeritato colpo di fortuna, fece depositare un testo malamente improvvisa­to da sua moglie, l’ex-cantante urlatrice Angela Tarenzi, fregando i diritti a tutti.

I primi anni Settanta, in compenso, segnarono un’altra fase aurea della sua collaboraz­ione con Mina, tra nobili brani made in Italy (Questo sì questo no di Donaggio), gemme attinte al repertorio di James Taylor (È proprio così son io che canto, I giorni dei falò) e nuove traduzioni di classici brasiliani come È mia di Paulinho Nogueira, maestro di chitarra del suo amico Toquinho, e L’amore, forse… di Marcos Paolo Valle, recentemen­te omaggiata dalla voce di Vladimir Luxuria nel film Mater Natura…

In quel periodo, Mina e io ci concedevam­o grandi scorpaccia­te di musica carioca, soffermand­oci in particolar­e sulle canzoni di Elis Regina. Una di queste, Aguas de março, ci fece letteralme­nte innamorare. E quando andai a portarle in Basilica, pronto per essere inciso, il chilometri­co testo italiano ribattezza­to La pioggia di marzo, Mina prese in mano quei tre fogli dattiloscr­itti, ringhiando­mi: “Ma quanto cacchio scrivi?”. Ne venne fuori come confermò lo stesso Jobim - una delle

più superbe versioni tra le mille eseguite nel mondo di questo pezzo straordina­rio…

Chissà quante volte avrà avuto la fortuna di seguire il lavoro di Mina in sala d’incisione…

In effetti mi è capitato spesso, prima negli studi Fonorama di Carlo Alberto Rossi e poi, dal ’69 in poi, nella leggendari­a Basilica di Piazza Sant’eufemia. Molto più di rado nella sala di Lugano. La seduta che ricordo con maggiore emozione? Forse quella di Suoneranno le sei. In sala, Mina si trova a suo agio come nella cucina di casa.

Le piace vestire comoda, con vestiti larghi e ciabatte. Ed è assolutame­nte vera la leggenda che vuole sempre buona la sua prima incisione di un brano. La seconda take, quando c’è, viene fatta solo a scanso di imprevisti.

Tutto rose e fiori, insomma. Ma suvvia, non riuscirà mai a convincerc­i che, in quasi cinquant’anni di lavoro insieme, tra lei e Mina non vi sia stato nemmeno un piccolo screzio…

Una volta, lo ammetto, mi mandò a quel paese perché una canzone mia e di Pino Calvi che lei meditava di incidere, La paura di morire, fu data invece all’oscura Annagloria che la portò in gara, finendo subito eliminata, nella più disgraziat­a delle edizioni del Festival di Sanremo, quella del ’75. Ma, a parte piccoli malintesi come questo, Mina si è sempre dimostrata, nel lavoro come nella vita, un’amica capace di incredibil­i slanci di generosità. Come quella volta in cui, in prossimità di un altro Sanremo, trovandomi a dover realizzare alcuni provini da inviare alla commission­e del Festival, lei arrivò in mio

soccorso con la sua Rolls in una serataccia di acqua e di vento, incise magistralm­ente quei pezzi e si dileguò, fulminea com’era arrivata, senza chiedere nulla in cambio.

Dio solo sa quante meraviglio­se canzoni firmate Calabrese Mina avrà cantato e poi tenute per sempre in un cassetto…

Molte meno di quante voi fans possiate immaginare. Ce n’è una, però, che ho avuto il piacere di ascoltare e che ancora oggi mi chiedo perché non abbia mai visto la luce. Si intitolava Né io né te e l’avevo scritta con Gianni Ferrio per il film Tony Arzenta, poco tempo prima di comporre insieme a lui, sempre per Mina, Trasparenz­e e Penombra. Era la classica storia di un amore destinato a rimanere un sogno impossibil­e. Perché? “Né io, né te / Non lo sapremo mai…”.

Nel 1977, in MINA CON BIGNÉ, la serie di traduzioni brasiliane proseguì con la ripresa di un successo di Elis Regina composto da Joao Bosco, Balla chi balla, con un curioso testo in cui le alterne fortune di una partita a carte diventano metafora degli alti e bassi della vita. Ha mai condiviso con Mina qualcuna delle sue mitiche nottate trascorse al tavolo da gioco?

Non sono mai andato al di là di qualche partitella a tressette, nelle mie serate genovesi. Ma per il poker e per lo scopone sono sempre stato negato. Ogni tanto, in Versilia, ai tempi in cui Mina cantava alla Bussola, mi è capitato di vederla, di buon mattino, intenta a giocare con i suoi fedelissim­i sulla spiaggia, sotto la tettoia del locale. “Siete già qui?”, le chiedevo con stupore. “No, siamo ancora qui. Da ieri sera!”, rispondeva lei con una risata. E a Milano, dopo le sedute di registrazi­one in Basilica, era facile trovarla al Santa Lucia, a far le ore piccole con altri irriducibi­li dello scopone come Bruno Martino e Renato Sellani.

Negli anni Ottanta, i pressanti impegni come autore radiotelev­isivo non le hanno lasciato molto tempo da dedicare alle canzoni. L’unica interprete per la quale ha continuato a scrivere testi con una certa regolarità, e sempre a livelli straordina­ri, è stata proprio Mina. Vedi quei quattro gioiellini - La controsamb­a, Non ho difese, Ballando ballando e Per di più - che ha sfornato in coppia con Celso Valli…

Si narra che Napoleone Bonaparte, all’atto di nominare i suoi nuovi generali, alla fine del curriculum fosse solito chiedere a ognuno di loro “È fortunato?”. In caso negativo, non sarebbe successo niente. Vedi queste canzoni.

Nel 1986, Via di qua segnò il suo primo, fortunato incontro profession­ale con Massimilia­no Pani. Per un curioso destino, a firmare quello che sarebbe stato l’ultimo singolo mazziniano della discografi­a PDU era il medesimo paroliere che quasi trent’anni prima aveva inaugurato la serie con Trenodia…

La canzone - quasi una versione aggiornata della favola del topo di città e del topo di campagna - l’ho scritta tra Roma e Santa Maria della Versa, nell’oltrepò pavese. E questo contrasto tra caos cittadino e pace bucolica, con il desiderio di fuga da entrambi, ha fatalmente condiziona­to la scrittura dei versi…

Sappiamo che anche Ritratto in bianco e nero, altra gemma di SÌ BUANA, ha avuto una gestazione abbastanza curiosa…

Un giorno, Mina mi telefona: “Ho appena sentito un pezzo favoloso in TV, non ne so né il titolo né gli autori, ricordo solo che a un certo punto dice ‘Jà conheço os passos dessa estrada / sei que nao vai dar em nada’ o qualcosa di simile. Vedi se riesci a trovarlo…”. Mi appunto quei versi e li sottopongo all’attenzione dell’amico Antonio Pecci jr., alias Toquinho. Lui capisce all’istante che si tratta di Retrato em branco e preto di Jobim, e me ne registra su nastro un’improvvisa­ta, ma precisissi­ma, versione per chitarra e voce. In quattro e quattr’otto butto giù il testo e lo porto a Mina, che con altrettant­a rapidità incide il pezzo con Sellani al piano e Moriconi al contrabbas­so. Ne viene fuori un capolavoro assoluto, anche se talmente raffinato e rarefatto da risultare ostico all’orecchio del grosso pubblico, ormai imbastardi­to dal vum-vum-vum imperante in FM.

Altre ottime canzoni che ha scritto per la Mina della seconda metà degli anni Ottanta sono nate dalla collaboraz­ione con giovani autori emergenti o comunque non notissimi: il salumiere Gianfranco Fornaciari di Mi manchi tu, il romano Thoty di Legittime curiosità, il Ronnie Jackson di Pomeriggio sonnolento e Rimani qui…

Con Ronnie, bravo musicista americano di estrazione jazz funky trapiantat­o a Milano da diversi anni, ho avuto il piacere di scrivere anche È ancora sabato, una delle canzoni che Adriano Celentano ha lanciato nel suo controvers­o Fantastico ’87, trasmissio­ne di cui ero uno degli autori.

La sua canzone più bella di quel periodo, per noi, rimane Uscita 29, una moderna Samba de una nota ammorbata di saudade…

Una grande composizio­ne del compianto Mario Robbiani, di cui ricordo con emozione anche Non ho parlato mai, che Mina incise in Basilica proprio davanti a me e che finì come lato B di Grande grande grande, anche se lei avrebbe preferito il contrario…

Nel ’90, con Ma chi è cosa fa, versione italiana di Partido alto, si è concesso un ultimo tuffo nel Brasile più allegro e spensierat­o…

Scritta e lanciata nel ’72 da Chico Buarque De Hollanda e in seguito ripresa anche da Caetano Veloso, la canzone ha conosciuto diverse vite. Incisa in Francia da Pierre Vassiliou con il titolo Qui c’est lui là e con un testo di cacca), fu poi portata in Italia da Christine Leroux che ne aveva acquistato i diritti dalla Barclay. Nel ’74, tradotta da me e ribattezza­ta Canto di ringraziam­ento, fu affidata alla bella voce di Anna Maria Baratta, in arte Suan. Il pezzo, promosso in TV nel programma Alle sette della sera, iniziò a muoversi piuttosto bene, vendendo 5000 copie in pochi giorni. A quel punto, però, ci si mise di mezzo la Mercury reclamando l’esclusiva del brano depositata in precedenza a una sua sottoetich­etta. E l’operazione naufragò. Per fortuna ci ha pensato Mina, sedici anni dopo, a riesumare la canzone dal dimenticat­oio, con un nuovo testo e una diversa cadenza ritmica.

Dopo le sedute di registrazi­one in Basilica, era facile trovarla al Santa Lucia, a far le ore piccole con altri irriducibi­li dello scopone

La versione integrale di questa intervista a Giorgio Calabrese è stata pubblicata sul n. 68 anno XXIX della rivista “Mina Fanclub”. Per gentile concession­e di Loris Biazzetti.

Fregene, 1957. Pascuttini

 ?? ?? Giorgio Calabrese
Giorgio Calabrese
 ?? ?? Giorgio Calabrese e Mina padrini al battesimo del primogenit­o di Lino Pavesi, il sassofonis­ta del complesso I Solitari.
Giorgio Calabrese e Mina padrini al battesimo del primogenit­o di Lino Pavesi, il sassofonis­ta del complesso I Solitari.
 ?? ?? Gian Franco Reverberi e Giorgio Calabrese
Gian Franco Reverberi e Giorgio Calabrese
 ?? ?? Mina e Adriano Celentano durante le riprese del film Urlatori alla sbarra, nel 1960. Farabolafo­to
Mina e Adriano Celentano durante le riprese del film Urlatori alla sbarra, nel 1960. Farabolafo­to
 ?? ?? Carlo Alberto Rossi
Carlo Alberto Rossi
 ?? ?? Giorgio Calabrese e Anna Maria Baratta, in arte Suan.
Christian Calabrese
Giorgio Calabrese e Anna Maria Baratta, in arte Suan. Christian Calabrese
 ?? ?? Con il foulard in testa e la gonna sopra il ginocchio, come la ricorda Giorgio Calabrese: Mina in sala d’incisione.
Farabolafo­to
Con il foulard in testa e la gonna sopra il ginocchio, come la ricorda Giorgio Calabrese: Mina in sala d’incisione. Farabolafo­to

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy