Le parole che non vi ho detto
Giorgio Calabrese è stato uno dei padri nobili della canzone italiana. In questa appassionante conversazione, rivela i retroscena della sua lunga collaborazione con Mina.
Il cielo in una stanza, quel mitico 45 giri MH 61 della Italdisc, inciso nel giugno ’60, segnò il suo debutto ufficiale come autore di Mina, sia pure in incognito e sul lato B del disco…
Mina l’avevo incontrata per la prima volta a Milano, alla fine del ’59, in una saletta della Ariston occupata da Davide Matalon, da un pianoforte e per il resto solo da lei: una stangona con il foulard in testa e la gonna sopra il ginocchio. “Ma chi sei, la Statua della Libertà?”, le chiesi, frastornato da tanto ben di Dio. Lei doveva uscire con un nuovo 45 giri. Una delle due facciate - se la A o la B lo si sarebbe deciso in seguito - era stata già trovata: un pezzo molto “americano”, swingato, intitolato La notte, che avevo scritto con Reverberi. Per l’altro lato puntavamo su una canzone composta dal nostro amico Gino Paoli, Il cielo in una stanza, che avevamo ascoltato decine di volte, rimanendone conquistati, nella sala audizioni della Ricordi, tra gli sbuffi del patron Mariano Rapetti che non ne poteva più di continuare a sorbirsela. Sia pure dopo qualche piccola perplessità iniziale, il pezzo finì per conquistare anche Mina e il suo arrangiatore Tony De Vita. Peccato soltanto che il disco uscì con due “falsi” clamorosi nei credits editoriali: Gino Paoli, che ancora non era iscritto alla SIAE, depositò Il cielo in una stanza a nome di Toang (pseudonimo di Renato Angiolini) per la musica e di Mogol (Rapetti junior) per il testo; quanto a me, essendo legato in quel periodo a un editore che tratteneva il 25% dei miei introiti, per evitare beghe intestai La notte all’amico (nonché ex-compagno di scuola, con Isa Barzizza) Franco Franchi, omonimo del comico siciliano e, in seguito, notaio in diverse trasmissioni TV. In altri casi, per ragioni analoghe, ho utilizzato lo pseudonimo di Screwball, come avvenuto per esempio nel primo 45 giri di Carmen Villani, Sul banco di scuola (ho scritto il tuo nome)…
Nel 1960, la sua amicizia con Mina si rinsaldò con la complicità di Lino Pavesi, sassofonista dei Solitari…
… che era poi mio cugino. Mina e il suo gruppo venivano a provare i pezzi dei loro concerti in casa di mia nonna, a Caorso, in provincia di Piacenza. Prendevano il lavoro con grande divertimento, ma anche con estrema dedizione. E quando, nel ’61, è nato il suo primo figlio, Lino ha voluto Mina e me come padrini…
In quel periodo vide la luce anche la controversa Piano, composta con Tony De Vita…
Calandosi nella parte della poveretta lasciata sola tra le lenzuola dal suo amante fuggiasco, Mina si era inspiegabilmente lasciata andare a qualche singhiozzo di troppo, tanto che la commissione
Una stangona con il foulard in testa e la gonna sopra il ginocchio. ‘Ma chi sei, la Statua della Libertà?’, le chiesi
Mina al Festival del Juke-box al Palazzo del Ghiaccio di Milano, nel giugno del 1959.
Farabolafoto
d’ascolto della RAI, scambiando quelle lacrime per un torbido pianto post-coitale, non esitò a bocciare il pezzo e a boicottarne la diffusione radiotelevisiva. Piano, in compenso, si prese di lì a poco una clamorosa rivincita a livello internazionale con la versione in inglese - Softly, As I Leave You - portata al successo da Matt Monro nel ’62 e in seguito ripresa da Sinatra, Vic Damone, Bobby Darin, Elvis, Shirley Bassey, Lena Horne, fino alla recente cover proposta da Michael Bublé. Nel ’79, ai tempi del primo Fantastico di cui io curavo i testi e De Vita la direzione dell’orchestra, provai a chiedere a Mina di reinciderla, ma alla fine non se ne fece nulla.
Dopo il mezzo passo falso di Piano, la sua collaborazione con Mina tornò a fare faville con l’incantevole Chihuahua, canzone italianissima nonostante le esibite parvenze latinoamericane…
L’autrice della musica, Antonia Bertocchi, altri non era che la segretaria di Mina prima che a svolgere tale incarico fosse chiamata l’imponente Giancarla Pedroni, parente cremonese dei Mazzini. Antonia suonava il pianoforte per diletto e aveva composto questo bel brano sambato su cui Mina mi chiese di costruire un testo ad hoc. Come mi venne in mente il titolo Chihuahua? Nessun particolare riferimento alla località messicana: semplicemente, mi piaceva il suono…
Mina è sempre stata così, strana e imprevedibile in tutte le sue scelte. Ma non è questo uno dei motivi della sua forza e del suo fascino?
Al Sudamerica fatto in casa di Chihuahua, faceva riscontro, sull’altro lato del medesimo 45 giri Italdisc, il Brasile autentico di Da chi, (Y de hai di Miguel Gustavo, quello di Brigitte Bardot) primo di una lunga e gloriosa serie di brani carioca splendidamente riadattati nella nostra lingua da Giorgio Calabrese…
Quella per la musica brasiliana è una passionaccia che mi è stata trasmessa dalla grande Caterina Valente, con la quale fin dai primi anni Sessanta ho avuto spesso il piacere di lavorare sia in Tv che in sala d’incisione. Per lei ho tradotto Desafinado, Samba di una nota, La ragazza di Ipanema, mentre per Mina, in quegli stessi anni, ho curato i testi italiani di classici come Dindi e Chega de saudade (Stare separati).
E intanto si divertiva a scoprire nuovi talenti: le debuttanti Iva Zanicchi. Marisa Terzi, Orietta Berti, Mia Martini trovarono in lei un prezioso pigmalione…
Iva, Marisa e Orietta le ho “battezzate” nel ’61 a Reggio Emilia, in occasione di un concorso canoro della cui giuria facevo parte insieme ai Maestri Kramer, Malgoni e Calvi. Alla Berti ho voluto particolarmente bene: la ospitavo a casa mia ogni volta che veniva a Milano e per lei ho tradotto il mio primo brano di Aznavour, Se non avessi più. Mimì, invece, l’ho conosciuta ai tempi della mia collaborazione con Carlo Alberto Rossi, che nel ‘63 l’aveva ingaggiata nella sua etichetta discografica, la Juke Box. La prima cosa che firmai per lei fu Insieme (Televisione con mamma e papà), cover ita
liana di In Summer di Billy Fury. E quando, un po’ di tempo dopo, scrissi E se domani con Carlo Alberto, lei se ne innamorò al primo ascolto e non ci pensò due volte a registrarla. Scelto per Sanremo ’64, il pezzo finì invece per essere assegnato a Fausto Cigliano e Gene Pitney. Tale decisione portò ad una incrinatura dei rapporti tra la ragazza di Bagnara Calabra e il suo discografico, tanto che di lì a poco lei decise di lasciare la Juke Box per la Durium. In seguito ho avuto spesso modo di rivederla, anche solo per il piacere di una chiacchierata. Col senno di poi, confesso che mi sarebbe tanto piaciuto sentirla cantare Eccomi, una canzone mia e di Carlo Alberto che Mina ha inciso nel ’67 senza mai decidersi a pubblicarla (lo ha fatto, a dire il vero, Mario Ragni nella raccolta MINA GOLD 2 del 2000, ma è poi stato costretto a toglierla in seguito al veto opposto dall’interessata, ndr). Sono certo che Mimì, con la sua straordinaria forza espressiva e la sua naturale predisposizione ad incarnare ruoli di donne affrante dalla vita, avrebbe potuto fare di quel pezzo uno dei suoi capolavori d’interprete.
C’era sul lato B una storia di tristezza…
Strano destino, quello di E se domani: bocciata dalle giurie di Sanremo, incisa da Mina solo dopo lunghe e pressanti insistenze da parte di Carlo Alberto Rossi, inserita un po’ in sordina nel suo primo LP della Ri-fi e infine lanciata - sì - per
ben due volte su 45 giri, ma solo come retro di Un anno d’amore e di Brava. Mai canzone così bistrattata dagli eventi riuscì a mietere tanta gloria…
E pensare che l’ho scritta nel giro di dieci minuti! È vero: Mina all’inizio non aveva voglia di inciderla. Lei è sempre stata così, strana e imprevedibile in tutte le sue scelte. Ma non è questo, in fondo, uno dei motivi della sua forza e del suo fascino?
Altra splendida canzone dal titolo “dubitativo” è Se tornasse caso mai, anch’essa pubblicata dapprima su LP (SABATO SERA) e in seguito scelta come lato B del 45 giri Nel fondo del mio cuore, distribuito dalla Ri-fi quando Mina era già trasmigrata in PDU…
Mina si era messa in testa di produrre nuove voci per rinfoltire il cast artistico della sua casa discografica
La canzone, originariamente intitolata If He Walked Into My Life, faceva parte della colonna sonora di Mame, fortunato musical di Jerry Herman. A Mina piaceva molto e me la diede da tradurre. Ne venne fuori un testo che il grande Tonino Amurri elogiò come uno dei miei migliori, specialmente nei versi: “Le importanti cose inutili che io non gli ho detto mai…”. Complimenti che, fatti da chi aveva scritto le parole di gemme come Due note o Sono come tu mi vuoi, valevano per me quanto un Grammy Award.
L’era PDU iniziò con la disavventura di Trenodia…
L’idea era affascinante e Mina ne era entusiasta: Il concerto di Aranjuez di Joaquim Rodrigo riletto con un nuovo arrangiamento (di Augusto Martelli) e un nuovo testo, scritto da me. Ma già il titolo Trenodia - che in greco vuole dire “canto funebre” - non prometteva niente di buono. Poi, dalla Francia, ci si mise di mezzo Dalida che, aggiudicatasi l’esclusiva del pezzo, ne incise una sua versione, Aranjuez mon amour, ponendo un veto alle altre esecuzioni uscite in quello stesso periodo, compresa quella di Mina. Fine della storia.
Il ’68, in compenso, coincise con uno dei periodi più intensi e fortunati del suo sodalizio con Mina, tra Pomeriggi domenicali in radio, Senza Rete in TV, cover brasiliane (Allegria, Chi dice non dà) e americane (Fantasia, Niente di niente), nonché l’italianissima Io innamorata composta con Augusto Martelli…
Allegria, versione italiana di Upa neguinho di Edu Lobo, era una di quelle cose che Mina e io facevamo per puro divertimento, anche se di quella traduzione, forse, oggi modificherei qualche parola qua e là. Io innamorata l’ho da poco piacevolmente “riscoperta” nell’ottima versione proposta da Gianluca Guidi in una delle sue ultime commedie musicali. Tra le mie canzoni di quegli anni, tuttavia, confesso di nutrire un debole per È soltanto amore, che Mina incise nell’album BUGIARDO PIÙ CHE MAI… senza mai promuoverla in televisione. E sì che quel pezzo - la pensava così anche il mio stimato collega Paolo Limiti - avrebbe potuto funzionare benissimo come lato A di un 45 giri.
Gli albori della PDU la videro in prima linea anche come autore e traduttore per i giovani artisti arruolati nella scuderia mazziniana, da Giuliano Girardi con Hush a Marita con le cover italiane di Pata pata e I Say A Little Prayer…
Da brava neoimprenditrice, Mina si era messa in testa di produrre nuove voci per rinfoltire il cast artistico della sua casa discografica. Peccato che i vari Rober
Mina e Augusto Martelli sul palco della Bussola, nell’aprile del ’68. Farabolafoto
to Ferri, Tihm, Marisa Sacchetto o Rossano, tutti molto bravi ma fatalmente oscurati dalla fama e dalla bravura della loro madrina, non riuscirono mai a brillare di luce propria…
Il testo di Uomo nuovo, brano lanciato su 45 giri nell’estate ’68 da Augusto Martelli, risulta essere stato scritto a quattro mani con Mina…
Augusto e io ci eravamo invaghiti di quella canzone, originariamente intitolata La peregrinacion, in occasione di un nostro viaggio in Venezuela, ai tempi in cui l’allora direttore artistico della PDU andava e veniva dal Sudamerica per promuovere le emissioni dell’etichetta su quel mercato. L’idea di tradurre il pezzo in italiano finì per entusiasmare anche Mina che, volendo in qualche modo risultare parte attiva del progetto, ci mise il suo nome.
Fili, versione italiana della famosa Feelings di Morris Albert che nel ’74, un anno prima di diventare l’hit internazionale che conosciamo, era stata proposta senza fortuna nientemeno che a Mina. È un retroscena che ci raccontò a suo tempo il Maestro Vittorio Buffoli: le risulta?
Non ne sapevo nulla. Può darsi che l’editore Suvini Zerboni mi abbia affidato la traduzione del brano dopo che esso era già passato invano negli uffici milanesi della PDU. Ricordo solo che fu Ornella a suggerirmi l’idea di quel titolo, Fili, così spudoratamente assonante con quello originale…
In quel periodo, Mina e io ci concedevamo grandi scorpacciate di musica carioca, soffermandoci in particolare sulle canzoni di Elis Regina
Un altro spiacevole “scippo” editoriale a suo danno avvenne con la stupenda Suoneranno le sei (Balada para mi muerte) che nel ’72, complice Gianni Ferrio, siglò l’incontro tra la voce Mina e il bandoneon di Astor Piazzolla…
Dopo che la canzone fu eseguita in lingua originale a Teatro 10, si fece vivo un subeditore del brano, Aldo Pagani, che, anziché ringraziare il Cielo per l’immeritato colpo di fortuna, fece depositare un testo malamente improvvisato da sua moglie, l’ex-cantante urlatrice Angela Tarenzi, fregando i diritti a tutti.
I primi anni Settanta, in compenso, segnarono un’altra fase aurea della sua collaborazione con Mina, tra nobili brani made in Italy (Questo sì questo no di Donaggio), gemme attinte al repertorio di James Taylor (È proprio così son io che canto, I giorni dei falò) e nuove traduzioni di classici brasiliani come È mia di Paulinho Nogueira, maestro di chitarra del suo amico Toquinho, e L’amore, forse… di Marcos Paolo Valle, recentemente omaggiata dalla voce di Vladimir Luxuria nel film Mater Natura…
In quel periodo, Mina e io ci concedevamo grandi scorpacciate di musica carioca, soffermandoci in particolare sulle canzoni di Elis Regina. Una di queste, Aguas de março, ci fece letteralmente innamorare. E quando andai a portarle in Basilica, pronto per essere inciso, il chilometrico testo italiano ribattezzato La pioggia di marzo, Mina prese in mano quei tre fogli dattiloscritti, ringhiandomi: “Ma quanto cacchio scrivi?”. Ne venne fuori come confermò lo stesso Jobim - una delle
più superbe versioni tra le mille eseguite nel mondo di questo pezzo straordinario…
Chissà quante volte avrà avuto la fortuna di seguire il lavoro di Mina in sala d’incisione…
In effetti mi è capitato spesso, prima negli studi Fonorama di Carlo Alberto Rossi e poi, dal ’69 in poi, nella leggendaria Basilica di Piazza Sant’eufemia. Molto più di rado nella sala di Lugano. La seduta che ricordo con maggiore emozione? Forse quella di Suoneranno le sei. In sala, Mina si trova a suo agio come nella cucina di casa.
Le piace vestire comoda, con vestiti larghi e ciabatte. Ed è assolutamente vera la leggenda che vuole sempre buona la sua prima incisione di un brano. La seconda take, quando c’è, viene fatta solo a scanso di imprevisti.
Tutto rose e fiori, insomma. Ma suvvia, non riuscirà mai a convincerci che, in quasi cinquant’anni di lavoro insieme, tra lei e Mina non vi sia stato nemmeno un piccolo screzio…
Una volta, lo ammetto, mi mandò a quel paese perché una canzone mia e di Pino Calvi che lei meditava di incidere, La paura di morire, fu data invece all’oscura Annagloria che la portò in gara, finendo subito eliminata, nella più disgraziata delle edizioni del Festival di Sanremo, quella del ’75. Ma, a parte piccoli malintesi come questo, Mina si è sempre dimostrata, nel lavoro come nella vita, un’amica capace di incredibili slanci di generosità. Come quella volta in cui, in prossimità di un altro Sanremo, trovandomi a dover realizzare alcuni provini da inviare alla commissione del Festival, lei arrivò in mio
soccorso con la sua Rolls in una serataccia di acqua e di vento, incise magistralmente quei pezzi e si dileguò, fulminea com’era arrivata, senza chiedere nulla in cambio.
Dio solo sa quante meravigliose canzoni firmate Calabrese Mina avrà cantato e poi tenute per sempre in un cassetto…
Molte meno di quante voi fans possiate immaginare. Ce n’è una, però, che ho avuto il piacere di ascoltare e che ancora oggi mi chiedo perché non abbia mai visto la luce. Si intitolava Né io né te e l’avevo scritta con Gianni Ferrio per il film Tony Arzenta, poco tempo prima di comporre insieme a lui, sempre per Mina, Trasparenze e Penombra. Era la classica storia di un amore destinato a rimanere un sogno impossibile. Perché? “Né io, né te / Non lo sapremo mai…”.
Nel 1977, in MINA CON BIGNÉ, la serie di traduzioni brasiliane proseguì con la ripresa di un successo di Elis Regina composto da Joao Bosco, Balla chi balla, con un curioso testo in cui le alterne fortune di una partita a carte diventano metafora degli alti e bassi della vita. Ha mai condiviso con Mina qualcuna delle sue mitiche nottate trascorse al tavolo da gioco?
Non sono mai andato al di là di qualche partitella a tressette, nelle mie serate genovesi. Ma per il poker e per lo scopone sono sempre stato negato. Ogni tanto, in Versilia, ai tempi in cui Mina cantava alla Bussola, mi è capitato di vederla, di buon mattino, intenta a giocare con i suoi fedelissimi sulla spiaggia, sotto la tettoia del locale. “Siete già qui?”, le chiedevo con stupore. “No, siamo ancora qui. Da ieri sera!”, rispondeva lei con una risata. E a Milano, dopo le sedute di registrazione in Basilica, era facile trovarla al Santa Lucia, a far le ore piccole con altri irriducibili dello scopone come Bruno Martino e Renato Sellani.
Negli anni Ottanta, i pressanti impegni come autore radiotelevisivo non le hanno lasciato molto tempo da dedicare alle canzoni. L’unica interprete per la quale ha continuato a scrivere testi con una certa regolarità, e sempre a livelli straordinari, è stata proprio Mina. Vedi quei quattro gioiellini - La controsamba, Non ho difese, Ballando ballando e Per di più - che ha sfornato in coppia con Celso Valli…
Si narra che Napoleone Bonaparte, all’atto di nominare i suoi nuovi generali, alla fine del curriculum fosse solito chiedere a ognuno di loro “È fortunato?”. In caso negativo, non sarebbe successo niente. Vedi queste canzoni.
Nel 1986, Via di qua segnò il suo primo, fortunato incontro professionale con Massimiliano Pani. Per un curioso destino, a firmare quello che sarebbe stato l’ultimo singolo mazziniano della discografia PDU era il medesimo paroliere che quasi trent’anni prima aveva inaugurato la serie con Trenodia…
La canzone - quasi una versione aggiornata della favola del topo di città e del topo di campagna - l’ho scritta tra Roma e Santa Maria della Versa, nell’oltrepò pavese. E questo contrasto tra caos cittadino e pace bucolica, con il desiderio di fuga da entrambi, ha fatalmente condizionato la scrittura dei versi…
Sappiamo che anche Ritratto in bianco e nero, altra gemma di SÌ BUANA, ha avuto una gestazione abbastanza curiosa…
Un giorno, Mina mi telefona: “Ho appena sentito un pezzo favoloso in TV, non ne so né il titolo né gli autori, ricordo solo che a un certo punto dice ‘Jà conheço os passos dessa estrada / sei que nao vai dar em nada’ o qualcosa di simile. Vedi se riesci a trovarlo…”. Mi appunto quei versi e li sottopongo all’attenzione dell’amico Antonio Pecci jr., alias Toquinho. Lui capisce all’istante che si tratta di Retrato em branco e preto di Jobim, e me ne registra su nastro un’improvvisata, ma precisissima, versione per chitarra e voce. In quattro e quattr’otto butto giù il testo e lo porto a Mina, che con altrettanta rapidità incide il pezzo con Sellani al piano e Moriconi al contrabbasso. Ne viene fuori un capolavoro assoluto, anche se talmente raffinato e rarefatto da risultare ostico all’orecchio del grosso pubblico, ormai imbastardito dal vum-vum-vum imperante in FM.
Altre ottime canzoni che ha scritto per la Mina della seconda metà degli anni Ottanta sono nate dalla collaborazione con giovani autori emergenti o comunque non notissimi: il salumiere Gianfranco Fornaciari di Mi manchi tu, il romano Thoty di Legittime curiosità, il Ronnie Jackson di Pomeriggio sonnolento e Rimani qui…
Con Ronnie, bravo musicista americano di estrazione jazz funky trapiantato a Milano da diversi anni, ho avuto il piacere di scrivere anche È ancora sabato, una delle canzoni che Adriano Celentano ha lanciato nel suo controverso Fantastico ’87, trasmissione di cui ero uno degli autori.
La sua canzone più bella di quel periodo, per noi, rimane Uscita 29, una moderna Samba de una nota ammorbata di saudade…
Una grande composizione del compianto Mario Robbiani, di cui ricordo con emozione anche Non ho parlato mai, che Mina incise in Basilica proprio davanti a me e che finì come lato B di Grande grande grande, anche se lei avrebbe preferito il contrario…
Nel ’90, con Ma chi è cosa fa, versione italiana di Partido alto, si è concesso un ultimo tuffo nel Brasile più allegro e spensierato…
Scritta e lanciata nel ’72 da Chico Buarque De Hollanda e in seguito ripresa anche da Caetano Veloso, la canzone ha conosciuto diverse vite. Incisa in Francia da Pierre Vassiliou con il titolo Qui c’est lui là e con un testo di cacca), fu poi portata in Italia da Christine Leroux che ne aveva acquistato i diritti dalla Barclay. Nel ’74, tradotta da me e ribattezzata Canto di ringraziamento, fu affidata alla bella voce di Anna Maria Baratta, in arte Suan. Il pezzo, promosso in TV nel programma Alle sette della sera, iniziò a muoversi piuttosto bene, vendendo 5000 copie in pochi giorni. A quel punto, però, ci si mise di mezzo la Mercury reclamando l’esclusiva del brano depositata in precedenza a una sua sottoetichetta. E l’operazione naufragò. Per fortuna ci ha pensato Mina, sedici anni dopo, a riesumare la canzone dal dimenticatoio, con un nuovo testo e una diversa cadenza ritmica.
Dopo le sedute di registrazione in Basilica, era facile trovarla al Santa Lucia, a far le ore piccole con altri irriducibili dello scopone
La versione integrale di questa intervista a Giorgio Calabrese è stata pubblicata sul n. 68 anno XXIX della rivista “Mina Fanclub”. Per gentile concessione di Loris Biazzetti.
Fregene, 1957. Pascuttini