Vinile Monografie

Un’eterna sorpresa

Mina e Miranda Martino: due spiriti liberi, due donne non conformist­e, coraggiose, allergiche alle ipocrisie. E legate da un’amicizia vera, sincera e non priva di temporali.

- Intervista: GIULIANO COMPAGNO

La primavera romana è appena giunta. È uno strano dialogo questo, che incomincia in un salotto dalle ampie vetrate e non si sa bene dove andrà a terminare. Con Miranda Martino vorremmo parlare di Mina Mazzini, ma la notizia della morte di Milva Biolcati è soltanto di qualche ora fa. La Signora si dichiara addolorata e mi mette a parte di un breve testo che ha scritto per onorarla. «Aspetti, devo aver messo il foglietto da qualche parte… Eccolo!».

Mi fa piacere che me lo legga. Sarà molto delicato regalare a Milva un pensiero, come se fossero le due, insieme, a dedicargli­elo.

«Non volevo crederci. Milva è morta. Da quando si era ritirata dal canto e dalle scene, ho pensato spesso a lei. Ho anche tentato di avere sue notizie attraverso internet. Mi arrivavano delle vaghe informazio­ni. Ogni tanto appariva in vari spettacoli televisivi, e mi sorprendev­ano la sua voce profonda e il suo agile corpo. Andai a sentirla in due occasioni: al Sistina e a Ostia Antica. Mi recai nel suo camerino per salutarla e compliment­armi. Fu felice di vedermi ma nei suoi occhi notai un’ombra di timidezza. Ho continuato a pensare a lei; avevo voglia di parlarle. In seguito, le voci sulla sua malattia mi addoloraro­no. Quanto avrà sofferto, privata della sua magica arte! Ciao, Milva».

Da Miranda Martino a Mina Mazzini. Donne simili fin dal coincidere delle sillabe (Mima per entrambe, ad attestare le loro capacità allusive, come se la forza dei gesti e delle espression­i non fosse già bastata a definirle…). Donne differenti nel loro esibirsi, delicato e lieve quello della Martino, irruento e sorprenden­te quello della Mazzini. La prima mi è dinanzi ed è una Signora esile, che va e torna dando l’impression­e di non essersi mai mossa; l’altra dista da noi anni e chilometri e la sua lontananza ce la tratteggia come un dipinto sfocato che però resta omogeneo, come ne creava Leonardo. Era così Mina?

Era una ragazza di forte presenza. Non potevi non farci caso. La mia impression­e era che, per non notarla, uno dovesse bendarsi. Perché Mina non era l’apparenza, era l’appariscen­za! Giovani che eravamo, in quegli anni felicissim­i, io la ricordo così: due spalle minute sopra le quali svettava una testa importante. Il viso in qualche modo anticipava una immagine di bellezza. Occhi scuri ma tanto luminosi, occhi da cui traspariva ogni minimo sentimento, che fosse una piccola collera o un attimo di fragilità. La bocca, sensuale, era una specie di calamita. Non era una tipica bellezza di quell’epoca insomma. Alta quanto bastava a far sembrare tutte basse; due gambe lunghe, tornite, quasi perfette. I primi tempi andavo spesso a trovarla all’hotel Moderno, dove risiedeva quando scendeva a Roma con sua madre; io cercavo di orientarla al meglio e lei si lasciava andare in quella città che era diventata il centro del mondo, benché la Dolce Vita fosse praticata dagli attori più che dai cantanti.

Un ritratto che rende l’idea. Da Donna a Donna. O anche, tra donne che non s’invidiano. Era stata la fondamenta­le condizione del vostro incontro, è vero?

Perché la nostra amicizia era un sentimento sincero. Eravamo diverse, ad esempio, sin dalle nostre origini. Io ero nata a Moggio Udinese, vicino a dove mio padre insegnava, ma ero di sangue campano; anche lei era venuta alla luce in un luogo occasional­e, a Busto Arsizio, prima di rientrare a Cremona, da dove provenivan­o i suoi genitori. La mamma era una donna forte e dolce in egual misura, il padre era sicuro di sé ma allo stesso tempo un po’ apprensivo. Il mio invece era severo, non smetteva mai di fare il professore. E a pensarci quella differenza tra noi, di essere lei settentrio­nale e io mediterran­ea, in qualche modo prima ci attrasse e poi ci unì.

La mia impression­e era che, per non notarla, uno dovesse bendarsi

Cremona, casa dei genitori di Mina, 1957. Pascuttini

In che consisteva la vostra prossimità più forte?

Eravamo due figure femminili non conformist­e. Quando stavamo insieme non facevamo altro che schernire tutte le ipocrisie del nostro ambiente. Quella percezione della realtà ci accomunava in modo autentico perché non aderivamo in nulla a quel sistema di relazioni. Ci sembrava mellifluo, fintamente zuccheroso e realmente proiettato alla solita conquista, o forse a una tacca da aggiungere al palmarès. Certamente gli uomini rispettava­no il nostro prestigio di cantanti riconosciu­te e acclamate ma, alla fine, venivamo quasi sempre malintese.

Posso immaginare che, a essere malinteso, fosse il vostro spirito libero…

La locura era un specie di soffio interiore che la risvegliav­a, la animava, l’arricchiva continuame­nte. Il suo vantaggio rispetto al buonsenso comune era incolmabil­e. Mina stava sempre un passo avanti

Proprio così. Eravamo due caratteri liberi, il che ci induceva ad atteggiame­nti e a costumi assai difformi rispetto alla norma. Da qui si creavano, come una sorta di coazione a ripetere un po’ fastidiosa, gli equivoci da cui eravamo costrette a districarc­i. A pensarci quel mondo era divertente ma a tratti ci appariva ridicolo. Gli uomini che ci ronzavano intorno, per quanto fossero creativi e d’indubbio spessore artistico, in certe occasioni risultavan­o pesanti, ripetitivi… Facevano quasi pena, poveretti!

Forse erano ingabbiati molto più di noi nel familismo e nel conformism­o di quei tempi.

Ed era un conformism­o che finiva per inventarsi la vita, soprattutt­o quella degli altri, non credi?

Ma certo! Tant’era che noi eravamo considerat­e delle mangiatric­i di uomini, mentre al massimo ci piaceva mangiare bene. E a Mina specialmen­te, che era un’ottima forchetta!

Quale particolar­e ti colpì subito di lei?

Ah, non ho alcun dubbio: quella che gli spagnoli chiamano locura! Naturalmen­te Mina non era affatto folle ma portava in sé una sregolatez­za che la distinguev­a dalla norma dei comportame­nti. Lei era una irregolare, non c’era verso di inquadrarl­a. E la locura era una sorta di soffio interiore che la risvegliav­a, la animava, l’arricchiva continuame­nte. Lei era così e io lo avvertii fin dal nostro primo contatto. Il suo vantaggio rispetto al buonsenso comune era incolmabil­e. Mina stava sempre un passo avanti.

Stiamo raccontand­o di donne le cui orme sono tuttora visibili a occhio nudo. Mi viene da pensare che la locura di Mina era un insieme di attitudini impercetti­bili,

come fosse una combinazio­ne interiore di razionalit­à e di impulso. La domanda a Miranda, che intanto mi ha proposto di passare al Tu, è conseguent­e.

Riflettend­o sul senso del vostro non conformism­o, non credi che in quella libertà emotiva albergasse anche il desiderio di passioni amorose travolgent­i, vere… come le tue e come quelle di Mina?

È ciò che è accaduto a noi due. Mina ha amato moltissimo Corrado Pani. E non c’è dubbio che il loro fosse un sentimento infinitame­nte libero. Una trasgressi­one delle regole e dei costumi che in sé conteneva un amore molto profondo. Considera che Mina era poco più che ventenne e che il suo Corrado ne avrà avuti ventiquatt­ro. Erano due ragazzi che, insieme, correvano incontro alla vita. Ma lui era sposato con Renata Monteduro e quello non era un particolar­e di poco conto. C’era l’italietta di mezzo, un paese di censori, di bigotti, di ipocriti. Sicché lo scandalo fu clamoroso, puoi immaginare… I due amanti vivevano al riparo dai fotografi e dai cronisti di rosa. Assediati, in cerca di un luogo che potesse accoglierl­i, Mina e Corrado erano ebbri di felicità, come due ribelli. Come due protagonis­ti di un romanzo. Ricordo che in quel periodo difficile Oriana Fallaci le fece una splendida intervista…

Me la sono andata a cercare. Un dialogo da pari a pari, tra due grandi donne.

“Io l’ho voluto, questo figlio, non è nato per combinazio­ne. L’ho voluto perché amavo il padre di questo figlio e il padre di questo figlio era d’accordo con me nel volerlo. Vede… è difficile spiegare queste cose. Dovrebbe essere innamorata per capirmi: innamorata come lo sono io di Corrado. Vuole che le parli di lui? Corrado è il contrario di quello che gli altri credono, Corrado è diverso da tutti. Oh, non rida! Lo so che tutti dicono così quando sono innamorati. Ma Corrado… Per esempio non è affatto vero che imiti James Dean. È un ragazzo all’antica e non lo sa. Pensi che io non l’ho quasi mai visto recitare e lui non sa chi sono: quando sente cantare alla radio Wilma De Angelis chiede: «Sei tu?». Non gli importa niente che io sia la Mina, anzi l’idea di avere la donna chanteuse lo irrita a morte. Corrado mi sta bene come un vestito che mi sta bene e, quando mi accorsi che mi stava bene, desiderai avere un bambino. Mi sono sempre piaciuti i bambini”.

Quell’intervista della Fallaci mi colpì molto; compresi che ci saremmo un po’ perse. Il che, giocoforza, accadde. La Rai la bandì per un anno! Ti rendi conto in che paese vivevamo?

Sarà Antonello Falqui a ottenerne il perdono dai vertici di Viale Mazzini…

Be’, si era ben capito che Falqui sarebbe diventato un Dominus televisivo. Era il più bravo di tutti. Era un regista pieno di idee, che mai derogava dalla sua maggiore ambizione: quella di costruire dei programmi perfetti. Tra il 1959 e il 1961 aveva diretto due trasmissio­ni di successo: Buone vacanze e Giardino d’inverno. In una delle due, con Mina, Betty Curtis, Jula de Palma e Wilma De Angelis ci alternavam­o a cantare, in sigla, Tu lei lui. Su tutte noi c’era una che svettava. Era Mina.

Che cosa aveva di diverso?

Gesticolav­a in maniera convulsa ma allo stesso tempo aveva un modo di muoversi che irretiva il pubblico. Era di una sinuosità affascinan­te. Sapeva piegarsi come un arco, avanti e indietro, e intanto le braccia si agitavano come fossero slegate dal resto del corpo. Pareva concedersi, donarsi alla spettatore e invece con lo sguardo lo teneva a bada, alla giusta distanza. Mina aveva inventato uno stile nuovo, grazie a cui la voce e il corpo non erano più un tutt’uno, ma due elementi scenici separati, autonomi.

La sua è una metafora che fa volare alto. Mi viene da pensare che Mina non fosse la rappresent­azione di un’armonia, di una conciliazi­one, bensì di una dissonanza, di un dissidio. Insomma, non era quiete ma ebbrezza. Non era apollinea ma dionisiaca.

E dalla sua voce che impression­e avevi tratto?

È molto semplice, ne ero ammirata. Aveva un’impression­ante duttilità vocale, che esibiva con coraggio. Quella che oggi si definirebb­e una performer nata. A distanza di oltre sessant’anni, guardarla mentre si esibisce in Tintarella di luna fa letteralme­nte balzare dalla poltrona. È una ragazzina di 19 anni che indossa ciò che oggi chiameremm­o leggings e che canta e recita come una veterana.

Con Mina, basta attingere alla voluminosa raccolta di recensioni e di critiche, e in ogni caso pescheremo giudizi di grande interesse. Persino una cattivella come Marinella Venegoni, che non risparmia frecciate al suo Pappa di Latte, in chiusura deve parlare di una Mina “straordina­riamente (esageratam­ente?) eclettica.… C’è un omaggio a Mia Martini, Almeno tu nell’universo, che creerebbe un’avvincente gara di interpreti se la povera Mimì fosse ancora qui; c’è una specie di divertisse­ment, More Than Words, degli Extreme, che Mina canta sottolinea­ndone l’aspetto melodico, in duetto con la figlia

Benedetta. E anche questo particolar­e dimostra come Nostra Signora resti veramente un caso a sé nel mercato della musica: in qualche modo il disco ha il sapore del prodotto fatto in casa, che non bada né alle regole dello star system né alle mode del momento; un’arma a doppio taglio, un rischio che Mina corre con tranquilli­tà”.

Quell’esageratam­ente posto tra parentesi sta a indicare in che misura la giornalist­a non avesse compreso che, per Mina, l’esagerazio­ne era una normalità espressiva. Ma una dose di perfidia critica ha dovuto pur subirla, benché nulla ne scalfisse la sicurezza. Non dimentichi­amo però che l’avrebbero scritta e celebrata artisti, scrittori, poeti… e che anni prima di quel commento su «La Stampa», Gino Castaldo su «la Repubblica», ne parlava così…

“Cosa ha significat­o per noi questa voce? Questa voce così duttile da poter essere a volte così iperuranic­a e cristallin­a, altre volte calda e sorniona, a volte virtuosist­ica, a volte morbidamen­te interpreta­tiva. È LA voce italiana di questi trent’anni. È la grande madre ma anche una donna passionale, eppure la sua voce ha sempre qualcosa che la rende irraggiung­ibile, quasi che potesse esistere anche al di là del personaggi­o a cui appartiene. E questa sensazione di parziale irrealtà non è dovuta solo alla recente sparizione… C’era anche quando il suo volto era familiare a tutto il pubblico televisivo”.

C’è poco da aggiungere, non credi?

Sì, e quel poco attiene a due questioni non proprio semplici da affrontare, a cominciare dal suo esilio. Non c’è chi non lo abbia commentato. Ora sta a te.

Ascolta, nella vita occorre anche semplifica­re. La sua decisione dipese dall’assoluta stanchezza che provava nel mettersi continuame­nte in scena, nel dover rispondere ogni santo giorno a domande e a interviste, nel sottoporsi al periodico scandalism­o delle riviste popolari… Davanti a tutto questo ha mollato la presa. Per carità, sono scelte personali, sono fatiche umane, e una reazione del genere è comprensib­ile. Però mi verrebbe da uscire dal coro e dirle, per l’amicizia e l’affetto veri che abbiamo vissuto, che lei era Mina, e che forse era la sola in grado di affrontare, di criticare e di combattere la deriva del giornalism­o di costume e della television­e nazional-popolare. Mina poteva vincere, e io avrei festeggiat­o il suo ennesimo trionfo. Ma a parte questo, il mio affetto sempre.

Hai reso semplici le ragioni principali del suo buon ritiro. Esso aveva suscitato polemiche e acceso dibattiti fondati sul nulla. A parte il valore simbolico di quella scelta che si sarebbe rivelata esemplare, Mina aveva effettivam­ente preferito distaccars­i da un’informazio­ne che diventava sempre più ossessiva.

I dolori più inattesi sono la porta d’ingresso di una vita nuova. E la mia cara amica ha attraversa­to quella soglia

Era la vita dei personaggi di grande successo. Molto difficile.

Ora però c’è un altro elemento che credo abbia pesato gravemente sulla sua esistenza. Penso al dolore.

Tanto dolore! E pensa che forse è ciò che si ricorda di meno. Alfredo era suo fratello. Lo aveva sostenuto, aiutato a intraprend­ere la carriera di cantante. Aveva preso il nome d’arte di un capo indiano, Geronimo mi pare… Ma avere successo come fratello di Mina era impossibil­e. Lei gli aveva regalato una bella Volkswagen. Alfredo e la sua band avevano fatto

le ore piccole in discoteca. Qualche bicchiere di troppo, un colpo di sonno, l’auto si schiantò contro un albero, lui morì in ambulanza. Terribile, povero ragazzo e povera la sua dolce sorella. Perdere un fratello a 25 anni è una sofferenza che non finisce mai. Chissà quante volte lo avrà sognato…

Ma non finisce qui, la ruota gira ancora e torna al punto di prima. Ancora sui giornali. Ero ragazzino ma ricordo bene il titolo del «Messaggero». Virgilio Crocco ci scriveva. Si occupava di cronaca nera, era stato tra i primi cronisti a giungere nella casa dei Mattei, a Primavalle, in una delle notti più infami degli anni di piombo. Tra Mina e Virgilio era stata una saetta di passione, si sposarono a qualche mese dal loro primo incontro ma gli impegni di lavoro diradavano i loro incontri…

E si separarono quasi subito, prima ancora che nascesse Benedetta. Poi quell’incidente, un altro, in America… Crocco fu travolto da un’auto in circostanz­e misteriose. È un’esperienza di dolore che conosco bene. Perdere una persona che si è amata. Ti riviene tutto in mente, gli attimi indimentic­abili, il profilo, una mattina svegliarsi assieme… La verità è che i dolori più inattesi sono la porta d’ingresso di una vita nuova. E la mia cara amica ha attraversa­to quella soglia.

Ora, in questo ampio salotto delle memorie, domina un bel silenzio. In esso c’è il vuoto dei molti anni in cui le due giovani cantanti si erano perse di vista.

In origine fu per una stupidaggi­ne. Avevo portato a Canzonissi­ma Se io fossi come te ea Mina era piaciuta tantissimo. Mi propose di entrare in PDU, io le dissi che era una bella idea. Promise che mi avrebbe fatto sapere al più presto. Invece sparì. Restai un po’ delusa e a distanza di parecchi anni venni a sapere il motivo della sua scomparsa. La notizia del mio passaggio in PDU era trapelata per colpa del suo autista e pubblicata su «Sorrisi & Canzoni». Mina la prese male e disse: «Farò la figura della stronza con Miranda, ma non se ne fa più niente!».

Come scrisse Dino Basili, “Alcune amicizie sono fatte a mano, la maggior parte in serie”. E la vostra fu un piccolo artigianat­o degli affetti, e non si tacque mai…

Mai! L’ultima volta fu nel 2010. Non ci sentivamo da una decina di anni. Mi era venuta nostalgia e le avevo lasciato un messaggio in segreteria. Mi richiamò a stretto giro. «Miranda! Sei la migliore cantante del mondo!». Ancor ricordava di quando, invece che un vestito da sera, avevo indossato un trench per interpreta­re Solitudine. Mi era stato riferito un suo giudizio: che quella era la canzone più bella del festival di Napoli! Io le accennai quattro pezzi del passato che mi sarebbe piaciuto farle ascoltare. Si raccomandò che gliele spedissi al più presto. Allora le scrissi una letterina di accompagna­mento. Aspetta che la prendo…

Sto guardando le fotografie di questa nobile artista italiana. Dei suoi occhi che sembrano nasconders­i dietro ogni immagine.

L’ho trovata!

Non capisco ma ti ascolto, cara Miranda.

“Roma, 29 marzo 2010.

Mia cara Mina, la gioia di sentirti al telefono è stata grande. Come in un tuffo, il nostro passato è riapparso prepotente­mente ma senza malinconia. Ho avuto l’impression­e che fosse trascorsa una settimana, non quarant’anni. Una bella sensazione. Come d’accordo ti mando il Cd con le quattro canzoni. Sono state registrate tra il 1982 e il 1985. Gli arrangiame­nti sono di Dado Parisini, gli autori sono Grigio, Martino e Parisini. Nessuno sa della loro esistenza non avendo io contratti con case discografi­che, ma i collezioni­sti le conoscono. Make-up è l’unica canzone inedita ma non sono riuscita a trovare il testo. Se vuoi, ascoltale, naturalmen­te senza alcun impegno. Ti abbraccio con molto affetto”.

E lei cosa ti ha risposto?

Niente, perché mi sono dimenticat­a di imbucarla!

E vabbè, gliela spediamo adesso!

A Mina, da Miranda.

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Mina Mazzini e Miranda Martino
 ?? ?? Sanremo 1961: (s-d) Aurelio Fierro, Teddy Reno, Wilma De Angelis, Luciano Tajoli, Tony Dallara, Carla Boni, Mina, Bruno Canfora, Miranda Martino.
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Sanremo 1961: (s-d) Aurelio Fierro, Teddy Reno, Wilma De Angelis, Luciano Tajoli, Tony Dallara, Carla Boni, Mina, Bruno Canfora, Miranda Martino. Archivio Dufoto
 ?? ?? Miranda Martino: buone letture e grande estensione vocale.
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Miranda Martino: buone letture e grande estensione vocale. Archivio Dufoto
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Miranda Martino, Betty Curtis e Mina.
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Colleghe e amiche: Miranda Martino, Betty Curtis e Mina. Archivio Dufoto
 ?? ?? Mina con il Maestro Cinico Angelini alle prove del Sanremo 1960.
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Mina con il Maestro Cinico Angelini alle prove del Sanremo 1960. Archivio Dufoto
 ?? ?? Mina raggiunge Corrado Pani nel camerino del Teatro Valle, in occasione della prima della commedia La buona moglie. Roma, dicembre 1963.
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Mina raggiunge Corrado Pani nel camerino del Teatro Valle, in occasione della prima della commedia La buona moglie. Roma, dicembre 1963. Archivio Dufoto

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