Il Signor No
Il suo nome è legato ai magistrali arrangiamenti di Grande, grande, grande e L’importante è finire. Ma la lunga avventura di Pino Presti con Mina inizia molto prima.
Prima di parlare di Mina, puoi raccontare brevemente il tuo ingresso nel mondo musicale?
Ho cominciato a quattro anni “suonando la batteria” sulle pentole, il ritmo era la mia passione, accompagnando i vinili di jazz di mio padre (Teddy Wilson, Gene Krupa, Stéphane Grappelli, Benny Goodman). A sei anni mio padre Arturo, grande violinista e didatta, tra i primi jazzisti italiani del dopoguerra, mi ha messo sotto con il solfeggio e lo studio del pianoforte, che ho continuato per parecchi anni insieme allo studio dell’armonia e più tardi del contrappunto e della composizione. Sono stato il primo bassista elettrico in Italia a varcare con assiduità le porte degli studi di registrazione, quando il basso elettrico era visto da molti con diffidenza; dapprima con Barimar, alla VOCE DEL PADRONE, poi, sempre alla VOCE DEL PADRONE, con Angelo Giacomazzi, che mi volle diciassettenne in un 45 giri di Pino Donaggio, Giovane giovane. La sala di registrazione di Via Santa Eufemia, una bellissima, ampia chiesa sconsacrata, era evidentemente scritta nel mio destino: sarebbe poi diventata lo studio di Mina, la ben nota Basilica. Ho scelto come pseudonimo Pino Presti per abbreviare, ed evitare che mi chiamassero Pino Prestipino…
I primi lavori come musicista in studio con Mina sono quelli come bassista nell’orchestra di Augusto Martelli: puoi raccontare qualcosa in merito?
No, la mia prima registrazione per Mina è del 1963, etichetta Italdisc, titolo Stessa spiaggia stesso mare. Dopo aver suonato il basso, Mina mi chiese se volevo fare il coro con lei, e ben volentieri accettai. In quell’occasione l’arrangiatore era Tony De Vita. Martelli arrivò dopo, nel periodo Ri-fi, e da lì iniziò la mia collaborazione con lui, che si protrasse per diversi anni, con l’apice dalla seconda metà degli anni 60 per l’etichetta PDU. Partecipai a tutte le incisioni di Mina dirette da Martelli; lasciava molto spazio all’inventiva dei musicisti, soprattutto degli esecutori ritmici, leggevo gli obbligati che trovavo sullo spartito, per poi seguire a mio piacimento l’estro del momento, cosa che comunque avveniva sempre, con tutti gli arrangiatori o direttori con cui ho collaborato. Martelli era un ottimo direttore d’orchestra e un motivatore tra i più efficaci che mi sia capitato di incontrare.
Ti ricordi chi erano i musicisti del gruppo di Tony De Vita e quelli dell’orchestra di Augusto Martelli?
Con Tony De Vita c’erano Leonello Bionda alla batteria, Alberto Pizzigoni ed Ettore Cenci alla chitarra, mentre De Vita era anche il pianista. Leonello Bionda è stato per anni il numero uno negli studi tra i batteristi, ha fatto diversi Sanremo, vari Cantagiro e tutto quanto era possibile per un batterista in quegli anni. Alto livello, anche umanamente. Invece per quel che riguarda l’orchestra di Augusto Martelli, i suoi immancabili collaboratori in studio erano Rolando Ceragioli alla batteria, Massimo Verardi alla chitarra, Gianni Bedori e Sergio Rigon al sax e al flauto, Gianni Zilioli al piano e per quanto riguarda gli ottoni Giuliano Bernicchi, Fermo Lini, Oscar Valdambrini, Luciano Biasutti alle trombe e Gianni Caranti al trombone. Dai primi anni 70, il batterista divenne Tullio De Piscopo e si aggiunse Hugo Heredia al sax.
Se non vado errato, il primo lavoro come arrangiatore con Mina è stato per Grande, grande, grande (non il primo in assoluto tuo, perché avevi altre esperienze in tal senso). Come mai c’è stato questo passaggio da musicista ad arrangiatore per Mina?
L’idea di “avere in mano un’orchestra” dopo aver creato un arrangiamen
La mia prima registrazione per Mina è del 1963, etichetta Italdisc, titolo Stessa spiaggia stesso mare. Dopo aver suonato il basso, Mina mi chiese se volevo fare il coro con lei
Pino Presti (a destra) in concerto con Mina nel novembre 1970.
Farabolafoto
to, che è una composizione nella composizione, mi aveva sempre affascinato, inserire all’interno di un brano introduzioni, contrappunti, finali, e il passaggio è stato frutto di una naturale evoluzione dopo centinaia di registrazioni come bassista con i migliori arrangiatori italiani, ai quali, inevitabilmente, ho carpito molti segreti. Nel 1970 avevo realizzato due brani strumentali per la Ricordi (Karin e No sabe). Eravamo in tour quando Mina, prima di un concerto, si complimentò con me dicendomi che la notte prima aveva ascoltato un pezzo annunciato a mio nome (come orchestra Pino Presti) e si meravigliò perché non le avevo mai detto di aver realizzato quel disco come arrangiatore e direttore d’orchestra. Qualche mese più tardi mi chiamò, chiedendomi se volevo preparare un arrangiamento per lei: la canzone era appunto Grande, grande, grande, dove ho messo in pratica le mie idee, inventando quell’introduzione musicale che rende il brano riconoscibile dai primi secondi. Al mattino ho preparato la base ritmica e al pomeriggio gli archi.
Qual era il tuo metodo di lavoro negli arrangiamenti?
Iniziavo nel mio studio casalingo, partendo dal piano Fender Rhodes; prima di tutto lavoravo sui giri armonici cambiando o addirittura stravolgendo gli accordi originali che trovavo nei demo che mi venivano consegnati, a cui facevo seguire le parti melodiche e contrappuntistiche da assegnare alle sezioni archi e fiati. Nei pezzi più ritmici, sempre a casa, mi facevo
Quasi sempre mi chiedeva cosa ne pensassi, e quando un pezzo non mi convinceva non lo arrangiavo
accompagnare dalla mia fedele batteria elettronica Roland. Quando, dopo qualche giorno, avevo terminato di scrivere la partitura, andavo a casa di mio padre e gli chiedevo di provare con il violino la linea che avevo preparato per i violini. Era un’abitudine che consideravo di buon auspicio. Poi, in studio di registrazione partivo dalla sezione ritmica, batteria, percussioni, basso (che ho sempre suonato personalmente), chitarre e pianoforte. Spesso suonavo anche il Fender Rhodes in sovrapposizione.
Mina ti consultava anche per la scelta delle canzoni da inserire negli album?
Quasi sempre mi chiedeva cosa ne pensassi, e quando un pezzo non mi convinceva non lo arrangiavo: succedeva che, in seguito a questa mia decisione, spesso lei lasciasse cadere il pezzo nel cestino.
In questo periodo, chi erano i musicisti che suonavano nel tuo gruppo? Purtroppo non sono riportati in tutti i dischi.
I più assidui erano i chitarristi Andrea Sacchi e Massimo Luca, il pianista Victor Bach, i batteristi Tullio De Piscopo ed Ellade Bandini, i percussionisti George Aghedo e René Mantegna. In certi brani c’erano altri, per esempio in Grande, grande, grande, Gianni Cazzola alla batteria e Massimo Verardi con Andrea Sacchi alle chitarre, o in L’importante è finire, Alberto Baldan Bembo all’organo Hammond e al Moog. E poi i sassofonisti e i flautisti Gianni Bedori, Hugo Heredia, Giancarlo Barigozzi, Giorgio Baiocco, i trombettisti Oscar Valdambrini, Fermo Lini, Giuliano Bernicchi, Luciano Biasutti, la sezione archi con i violinisti Sergio Almangano, Gianni Berlendis, mio padre Arturo Prestipino come solista, e tantissimi altri.
Hai qualche aneddoto sulle incisioni? Qualche particolare su certe canzoni, per esempio…
Aneddoti ce ne sarebbero un’infinità, da farci un libro. Per esempio Grande, grande, grande ha una lunga storia e molti nell’ambiente musicale sanno che la canzone, dopo essere stata bocciata da Mina due volte per via di arrangiamenti fatti da altri che aveva ritenuto datati, vide la luce grazie al mio intervento. Se cerchi in rete, ci sono fonti internazionali che recitano “…it was thanks to the work of a young bass guitar player Pino Presti, who offered a more modern musical arrangement, that finally made Mina agree to performing it”. In L’importante è finire invece feci una cosa più essenziale, facendo iniziare il tutto con la batteria elettronica da sola, poi l’ingresso delle percussioni con il sintetizzatore, anche qui un inizio ben riconoscibile.
I idischi monografici di Mina, MINACANTALUCIO e MINA QUASI JANNACCI, non sono arrangiati da te, ma da altri (Gabriel Yared e Gianni Ferrio). Come mai?
C’erano due motivi: il primo è che i due album non erano nelle mie corde, e lo feci presente a Mina, e inoltre ero impegnato in concerti, e quindi relative prove, con Gerry Mulligan e Astor Piazzolla, con cui avevo lavorato anche in studio. Io ho creato e suonato la linea di basso di Libertango, era il periodo in cui Piazzolla lavorava in Italia, ed ho suonato nei suoi dischi e in concerto. Comunque, tornando a Mina, ebbi modo di arrangiare un album d’autore come Amanti
di valore, con i bellissimi testi di Franco Califano e musiche di Carlo Pes, una bella esperienza: nelle pause ci inventavamo delle jam, con Tullio De Piscopo alla batteria e Carlo Pes alla chitarra, d’improvvisazione jazz. Mina fu molto contenta del risultato, anche se complessivamente il disco era meno commerciale rispetto al “gemello’’ FRUTTA E VERDURA, registrato in contemporanea con gli stessi musicisti.
Cosa puoi raccontare dell’esperienza del concerto dal vivo del 1978 e del relativo disco live?
Un’esperienza strepitosa, irripetibile, con una partecipazione collettiva del pubblico, della stampa, degli addetti ai lavori, c’erano Delia Scala, Gloria Guida, Marisa Mell, Loredana Berté, Renato Zero, Adriano Panatta e altri cantanti, attori, sportivi presenti ad ogni concerto. Ogni spettacolo un trionfo e sul palco, ad accompagnare Mina, un gruppo che avevo scelto uno per uno, tutti di primo livello, eravamo una ventina di persone tra musicisti e coriste, sembravamo quasi la band di Santana. Siamo riusciti a ricordare l’evento con l’album LIVE ’78; era anche in programma una ripresa video dell’intero concerto, ma a causa della sospensione per i noti motivi di salute che afflissero Mina, non fu mai realizzato.
Come mai, a un certo punto (che coincide con il ritiro dalle scene di Mina) finisce la tua collaborazione con lei, con l’eccezione della canzone Bigné?
Ho pensato che dopo il LIVE ’78 sarebbe stato impossibile continuare a quei livelli, l’apice era stato raggiunto ed era il momento giusto per chiudere quel magnifico periodo. Bigné l’ho composta l’anno in cui è uscito, il 1988, dopo la richiesta personale di Mina di scriverle un pezzo per il suo nuovo album, RIDI PAGLIACCIO.
Che opinione ti sei fatto sul suo ritiro?
Non è un’opinione, è una certezza: gravi motivi di salute le hanno impedito il prosieguo dei concerti, che si fermarono a undici, e credo abbiano causato la decisione di chiudere con le esibizioni in pubblico.
Hai avuto modo di rivederla o risentirla, successivamente?
L’ultima volta l’ho rivista casualmente a Lugano poco prima di partire per la Francia, nel 2004. Non potrò mai dimenticare quel lungo, forte abbraccio quando mi vide. Negli anni successivi ci siamo sentiti, ma non di frequente.
Hai ascoltato qualche suo disco successivo? E che opinione ti sei fatto, in generale e in particolare, sugli arrangiamenti di Massimiliano Pani?
Risiedo in Francia da quasi vent’anni e seguo poco le vicende musicali italiane, anche quelle riguardanti Mina. Da quello che ho ascoltato, mi è sembrata sempre divina. Massimiliano Pani è l’uomo giusto al momento giusto.