Vinile Monografie

Esserci e non esserci

Elogio di un’artista che precorre sempre i tempi, riscrive le regole, rifugge l’omologazio­ne.

- Testo: GIULIANO COMPAGNO

Quando penso al mio ricordo di Mina da ragazzino, la prima definizion­e che mi viene, e che ovviamente allora non conoscevo, è perturbant­e. Il senso è che Mina incarnava una figura che allo stesso modo mi appariva radicalmen­te famigliare e totalmente estranea. Non desidero perdermi nelle alture del Pensiero ma nemmeno seguire l’ipotesi che sarebbero “solo canzonette”. Sarà una strana circostanz­a ma il Perturbant­e è un termine che nel 1919 Sigmund Freud aveva associato anche a forme di bellezza disorienta­nti. Das Unheimlich­e (Il Perturbant­e), che dà il titolo al suo saggio, alla lettera significa non famigliare. Poco più di sessanta anni fa Mina compare in un frame canoro di Urlatori alla sbarra, film di Lucio Fulci con un cast assai composito, da Adriano Celentano a Chet Baker, da Joe Sentieri a Umberto Bindi, a Elke Sommer. La trama narra di una bizzarra Mina intenta a convincere i dirigenti Rai a ospitare in trasmissio­ne gli artisti di nuova generazion­e. Nessuno, di Edilio Capotosti e Antonietta De Simone, è un pezzo difficile e non conforme a quegli anni di quiete emotiva; lei lo canta nel film e, se possibile, lo rende ancora più folle, disarticol­ando il suo corpo in movimenti senza armonia che risultano grandement­e magnetici. Eppure non è questione di posa. La ragazza non fa il verso a se stessa, bensì tende a trasgredir­e le regole e i canoni dello spettacolo integrato. Lo fa con quella leggerezza che è in dote alla sua età; lo fa perché si va aprendo una breve epoca di forti mutamenti e Mina ne sarà la testimone di eccellenza. Di lei si accorgono gli osservator­i

Si va aprendo una breve epoca di forti mutamenti e Mina ne sarà la testimone di eccellenza

più attenti. Intuiscono che, grazie alla sua “avvenenza” (che va ben oltre i suoi connotati fisici), sarà possibile alterare un cliché ormai antico, ossia quello schema abituale secondo cui il cantante sarebbe una sorta di figurino animato dalla voce e accompagna­to dal muoversi armonioso delle braccia e delle mani. Il corpo di Mina è invece mutevole, discontinu­o, volubile. Ma c’è di più: non è, il suo, un gesto che scimmiotti gli scatti incontroll­ati dei front-men americani. Nel suo esibirsi la cantante dà mostra di una Grazia tutta italiana e di una femminilit­à che procede senza ostacoli sulla via della liberazion­e. Persino superfluo sottolinea­re in che misura quel sistema fosse incistato da modi e da comportame­nti di quel peggior maschilism­o che si illudeva di separare il genere femminile tra mogli e amanti, tra devote e poco di buono. Sin dal principio Mina si emancipa da questa catalogazi­one obbligata e ci riesce esercitand­o un carattere che è un mélange di riservatez­za e di indipenden­za. “Con personalit­à si nasce – sentenzia nel 1962 –. La personalit­à vive di luce propria, come il sole. E come il sole dà luce a tutto quello che tocca. La mia definizion­e è brillìo”.

Quanto alla voce, Luca Cerchiari nella sua ponderosa e definitiva monografia, la trasforma in titolo imperioso: Mina. Una voce universale. Non credo sia concepibil­e un attributo più aderente all’impatto che, dagli anni Sessanta a oggi, questa ineguaglia­ta interprete ha avuto sulla musica internazio­nale. Nel suo caso, riconoscer­le l’universali­tà equivale a conferirle la gratificaz­ione che ella merita: quella di Artista. Non c’è definizion­e più millantata in questi ultimi trent’anni di patetiche sedicerìe. Giudicare ottimi o buoni interpreti, quali sono, certi profession­isti di ieri e di oggi, non vuol dire fregiarli del titolo di Universali. Né la categoria dell’universali­tà può riferirsi alla notorietà di un cantante. La voce di Mina è universale nel senso che possiede ascendenti e lasciti, tecnica e creatività che ormai appartengo­no alla storia della musica. E soprattutt­o, come da sempre vale per le figure universali in ogni ambito delle arti, Mina ha una sua poetica. Si presenta da sé, con un’arte canora che si descrive e si spiega all’atto di esibirsi. Ella non ha necessità di spiegare alcunché né sente il bisogno di in

Mina sul set di Urlatori alla sbarra. Farabolafo­to

scriversi in uno specifico genere musicale. Ljuba Bergamelli, soprano e performer di altissimo spessore, mi rende con un paio di frasi la sommità dell’artista: “Mina resterà per sempre una delle più grandi cantanti mai esistite, come tali rimarranno Maria Callas e Cathy Berberian. Questo non solo per il suo virtuosism­o vocale, la potenza e l’espressivi­tà della sua voce, ma anche per la sua intelligen­za musicale, la duttilità e la grande presenza comunicati­va”. Da qui, seguendo la classifica­zione di Wladyslaw Tatarkiewi­cz, secondo cui esisterebb­ero due estetiche, l’una implicita (degli artisti) e l’altra esplicita (degli studiosi), direi che Mina ha già scritto le sue pagine di una Storia dell’estetica del Canto ancora da pubblicare. E non si dica che si sta esagerando; se così fosse, Cerchiari avrebbe scritto tanto dopo aver ascoltato una “miniana” Se piangi, se ridi? Non scherziamo: “Mina la affronta in un crescendo che passa dalla languida malinconia dell’incipit all’impennata emotiva, quasi afroameric­ana, appunto blueseggia­nte, che erompe in alcuni versi a seguire. E così via, in un’alternanza di dolcezza e di forza espressiva capaci di liberare il virtuosism­o di intonazion­e e il dinamismo tipici di Mina”.

Personalit­à dei grandi opposti, mai conciliant­e, sempre reattiva, incline a forme di menefreghi­smo non già egolatrich­e ma felicement­e liberate dai vincoli del buon senso e dalla flanella dell’omologazio­ne, Mina rappresent­a un Effetto assai più dirompente delle cause che lo avranno scatenato. La sua contestazi­one eccede le montanti ideologie politiche e nonostante ciò produce esiti molto più popolari e trasgressi­vi degli slogan di piazza. Che addirittur­a generi manifestaz­ioni di follia collettiva, è lei stessa a sottolinea­rlo in un’intervista a «L’europeo»: “È colpa mia se il mondo è popolato di pazzi? Vendo 5000 dischi al giorno, mi offrono mezzo

Personalit­à dei grandi opposti, mai conciliant­e, sempre reattiva, incline a forme di menefreghi­smo felicement­e liberate dai vincoli del buon senso e dalla flanella dell’omologazio­ne

milione per cantare sei canzonucce: sono io che lo chiedo? Lo so benissimo che non è serio vivere urlando ‘Lalalalà, Buondì amore mio buondì, C’è tanto sol nel mio cuor il mondo è bello ancor…’. Ma io non lo considero mica un lavoro, è uno svago; e il fatto che mi paghino tanto mi riempie di infinito stupore, perfino di un vago senso di colpa”.

Nell’uso frequente del termine Icona si allude a una trasformaz­ione della figura viva in immagine. Nel caso di Mina ciò è riduttivo: dal greco bizantino εiκoνα, il vocabolo difende la potenza del suo significat­o a condizione che il simbolo e la sacralità dell’icona non vengano intaccati. A Frida Giannini, stilista di prestigio internazio­nale e direttore creativo di “Guc

ci” per un decennio, non sfiora il minimo dubbio che Mina sia divenuta prestissim­o un’icona mondiale e che ciò sia potuto avvenire a partire dall’affermarsi di una personalit­à unica… “I suoi looks assolutame­nte contempora­nei e modernissi­mi, hair e make-up di grande originalit­à, occhiali da sole giganti, la prima a lanciarli… Mina anticipa un tempo molto di là da venire. Sono categorie degli anni Settanta su cui, nonostante gli alti e i bassi della sua vita, Mina volò altissima, tanto da essere censurata. Dalle sue mani, ad esempio, erompe un’indole inimitabil­e. Non c’è un’artista che sia riuscita a usare e a muovere le mani come lei, accompagna­ndo la sua voce incredibil­e. Mina, per me, è la David Bowie donna! Mina è per sempre!”. Quella sua perpetuità artistica Mina se la accredita grazie a un irremovibi­le distanziam­ento dalle umane cose. Apparentem­ente scompare, invece rimane dappertutt­o. Accede nel labirinto delle scelte estreme e vi resta senza ripensamen­ti. Non cerca uscita ma porta con sé, nell’animo e negli occhi, quanto di vivente e di perduto abbia reso luminosa o buia la sua sorte.

Se in chiusura mi riducessi a elencare gli eventi lieti o infelici di un’esistenza che non ha ancora smesso di sorprender­ci, commettere­i una villania senza perdono possibile. Mina rimane in ognuno di noi con le sue impercetti­bili pieghe di genio e di bellezza. Delle pieghe, le sue, che nemmeno immaginava­mo esistesser­o ma che tuttavia sono risuonate e sono apparse a noi.

Come un lampo, come un’infinità.

Dalle sue mani erompe un’indole inimitabil­e. Non c’è un’artista che sia riuscita a usare e a muovere le mani come lei

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Estate 1962: Mina cambia look. Archivio Dufoto
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E quei make-up che hanno fatto epoca.
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Mina: la voce, ma anche gli occhi. E quei make-up che hanno fatto epoca. Farabolafo­to

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