Pronto, sono Mina
Con Mina, Leopoldo Mastelloni ha passato ore e ore al telefono, ma non l’ha mai incontrata di persona. Tranne quella volta che non la riconobbe.
Ben prima di calcare le scene come attore e infinitamente prima di avere l’idea di rielaborare e cantare in napoletano brani famosi, Leopoldo Mastelloni era un appassionato di musica, di timbri, di interpretazioni vocali. Da ragazzino aveva due grandi amori, misteriosi perché di loro conosceva soltanto la voce: Nilla Pizzi e Mina. La maestra elementare, lui indisciplinato e incontrollabile già allora, pensò di proporgli un accordo: tu prendi tutti 10 all’esame e io ti faccio un regalo. L’esame era quello per passare dalla seconda alla terza elementare, e ovviamente il piccoletto, curioso del premio e orgoglioso di dimostrare che poteva farcela, ottenne il punteggio massimo in tutte le materie. La maestra fu di parola e gli regalò una foto di Nilla, ritagliata dal «Radiocorriere». “Vidi così per la prima volta la faccia di Nilla Pizzi, una cosa dell’altro mondo”. Stesso innamoramento qualche anno dopo per un’altra voce, quella di Mina. All’epoca era Baby Gate e cantava canzoni americane. Il primo disco, di plastica, trovato come gadget de La Nuova Enigmistica Tascabile o del Musichiere e subito conservato con dedizione. E, la scoperta del viso, del corpo, quando lei, già diventata anzi tornata Mina, nel programma televisivo Il Musichiere esce dal juke box: una folgorazione.
Che aveva Mina di speciale per piacerti tanto?
Il suo anticonformismo, così particolare, non da cazzotto in faccia, ma naturale e profondo, e una libertà di canto che aveva qualcosa di sonoramente unico, non stiamo parlando dei grandi successi che sarebbero venuti dopo, ma di certi rock‘n’roll che incideva anche Celentano, e di canzoncine che erano strane, non ruffiane, che si sentiva che le sgorgavano da qualcosa che non era l’esigenza commerciale… forse i discografici puntavano a quello, anzi sicuramente, ma lei no. Poi ci fu la nascita di Mina televisiva e con quella la consacrazione del mito, ma ci volle del tempo. Perché per tutti lei all’inizio era un’urlatrice tra i tanti urlatori che andavano di moda, mentre ogni volta, interpretando una canzone spesso fuori dalla vocalità normale, con voce che poteva essere anche sgraziata, Mina ti faceva scoprire altro, di più prezioso.
Nel ’58 trovi sulle riviste il primo disco di plastica di Mina, poi cominci a comprare non solo tutti i suoi dischi, ma tutti i giornali in cui si parla di lei.
Tutto, proprio tutto. Non leggevo nulla, guardavo solo i titoli e le fotografie. Mettevo da parte. Ora è conservato tutto nell’emeroteca che ho a Ischia. Non ho digitalizzato nulla e ho paura che il materiale possa rovinarsi, vorrei trovare qualcuno veramente interessato che se ne occupasse.
Non hai mai letto quegli articoli? Davvero?
Li ho letti solo dopo che ho conosciuto Mina al telefono. E mi sono convinto che lei abbia fatto benissimo a ritirarsi: troppi condizionamenti, illazioni, deduzioni non si capisce in base a cosa, invenzioni. Quando Mina è sempre stata riservatissima sulla sua vita personale.
Racconta allora di quando hai conosciuto Mina al telefono…
Era settembre o ottobre del 2005, avevo compiuto sessant’anni il 12 luglio. Vivevo a Napoli e stavo ascoltando i dischi di
Per tutti lei all’inizio era un’urlatrice tra i tanti urlatori che andavano di moda, mentre ogni volta Mina ti faceva scoprire altro, di più prezioso
1959: Baby Gate negli studi di posa di Tullio Farabola.
Farabolafoto
Mina. Io lei l’ho sempre studiata, analizzata. Il respiro nel canto, per esempio: dove prendeva i fiati, come riusciva a tenere la nota tanto a lungo e nel frattempo respirare senza che nessuno se ne accorgesse, il modo di usare l’espiro e il respiro (una tecnica che poi ho studiato con la cantante Edda dell’orso, la cantante di Ennio Morricone, e che ha utilizzato anche Raina Kabaivanska). Hai presente quando Mina canta L’immensità di Don Backy? Lì prolunga la nota respirando, per esempio. Dunque, dato che mi piace molto scrivere lettere, preso da una botta di grafomania scrivo a Mina, poi telefono a un amico di Milano, Tallarini, grafico delle copertine, per sapere dove mandargliela, e lui mi dice di spedirla alla casa discografica. Le scrivo più o meno: “Cara Mina, ho compiuto sessant’anni e voglio farmi un regalo, il più bello che potrei ricevere è una tua foto con autografo”. Una lunga lettera, in cui le racconto tutta la storia di quando lei cantava nei locali a Ischia con Modugno e Peppino di Capri e io, ragazzino di tredici anni (lei ne aveva diciotto), andavo a sentirla facendo i salti mortali per riuscire a racimolare il denaro per l’ingresso. Passano due settimane, ne passano tre e penso che lei non mi risponderà mai. Invece una sera squilla il telefono: “Sono Mina”. Io: “Guardi signora che questo è uno scherzo dell’ombrello”.
Invece era proprio lei. Ma perché hai pensato a uno scherzo?
Perché nella lettera non le avevo messo il mio numero, solo il mio indirizzo. Non ero certo così presuntuoso da pensare che avrebbe potuto chiamarmi. La linea è disturbata, lei mi chiede di darle il numero di casa, mi ritelefona e restiamo due ore a parlare. “Non sai che ho dovuto fare per avere il tuo cellulare!” mi rimprovera. “Mi sono rivolta alla Rai di Milano e non me l’hanno dato, alla Rai di Roma e non me l’hanno dato. Un giorno camminando qui per le strade di Lugano ho sentito uno che parlava con l’accento napoletano, l’ho fermato e gli ho chiesto ‘Non è che hai il numero di Mastelloni?’, e lui lo sapeva”. Sembra incredibile e io non ho idea di chi sia stato quel ragazzo. Ma così è andata. Due ore di risate e chiacchiere, confidenze e cazzeggio. Abbiamo ricordato i tempi di Ischia. Alla fine mi sono raccomandato per la foto. “Sei tu che dovresti mandarmi la tua foto autografata” mi ha risposto. Sapeva tutto della mia carriera.
E da quel momento avete continuato con queste telefonatefiume…
Sì. E con i regali che le facevo girando il mondo. Cose strane e assurde. Avevo preso l’abitudine di mandarle un regalo ogni mese: una collana indiana comprata a New York, una borsa fatta di dischi, un 33 giri suo introvabile in Italia e che avevo scovato a Los Angeles, un anellino con sopra una M che le ha fatto tanta
Quando lei cantava nei locali a Ischia andavo a sentirla facendo i salti mortali per racimolare il denaro per l’ingresso
tenerezza… cose uniche che sapevo non avrebbe ricevuto mai da nessuno. E poi i dolci napoletani e le marmellate. Lei protesta: “Mi vuoi fare ingrassare, sei pazzo!”. Dato che in Svizzera è una tragedia fare arrivare cibi per questioni di dogana, spedisco tutto a Forte dei Marmi e lei manda qualcuno a prendere i pacchetti. Un giorno su Facebook sua figlia Benedetta mi ha scritto due righe che mi hanno lasciato di stucco: “Grazie per tutte le gioie che lei sta dando a mamma”. Ho commentato: “Se mi dai del Lei mi fai sentire vecchio”. E Benedetta: “È soltanto rispetto”.
Mina va sui social, naviga in Internet?
Guarda molta televisione italiana e con Internet ci va a nozze. Già sedici anni fa trovavamo tutti i video più curiosi e rari e ne parlavamo: “Hai visto von Karajan che scherza, hai visto Carreras che si innervosisce?”. Ci scambiavamo quello che scoprivamo, lei sicuramente era più brava di me come segugio. E poi, che meraviglia, mi chiamava qualsiasi cosa io facessi in tv per dirmi quanto l’avevo fatta divertire.
Mi racconti un paio di aneddoti legati a Mina?
Ti racconto una cosa che la colpì molto. C’era stata la trasmissione del sabato sera Studio ’80, in cui ero presenza fissa. Lì una volta proposi a Falqui una versione rock del brano che Mina cantava a Milleluci e che mi piaceva molto, Non gioco più. Falqui mi disse di sì e Gianni Ferrio, grande amico di Mina, preparò l’arrangiamento. Falqui mi mise dietro, mentre cantavo, dodici ballerine che sembravano Mina, con vestito corto nero, bocchino e tutto. Avevano dato poi la replica, Mina l’aveva vista e ne era rimasta contentissima. E c’è la storia del camerino. Al Teatro delle Vittorie mi avevano dato un bugigattolo, dove entravano a malapena sedia, specchio e tavolino, e avevo chiesto che me lo cambiassero, ma quando avevo sentito che quello era stato il camerino di Mina… me l’ero tenuto, pur di stare dove era stata lei. Ti dico anche la storia delle zeppe, sai quei rialzi esterni alle scarpe col tacco, che andavano tanto negli anni 70 e sono pure tornati di moda? Proprio a Milleluci ci fu lo “zeppa affaire”. La Carrà aveva le scarpe con questa zeppa, Mina no perché era più alta. Allora Mina ha detto: “Signori miei, non esiste, io le zeppe le voglio e le pretendo”. Naturalmente gliele hanno date.
Non avete mai pensato di vedervi? Lei non te l’ha mai proposto, tu non hai mai preso l’iniziativa?
Mina me lo chiese subito, dopo un paio di telefonate. Mi disse dai, vieni a trovarmi a
Sui giornali la dipingevano come non era, una mangiauomini, una che stava tutto il giorno a giocare a carte, cucinare e mangiare
Lugano e ci beviamo un rosolio insieme. Ma io ho pensato che il rapporto era bello così. Magari andavo a Lugano, però invece di chiamarla entravo dal fioraio e mandavo a lei e a Caterina Valente, sua e mia amica, rose col gambo di un metro. Una volta Mina mi ha chiamato: “Mi hai spedito il biglietto che era per Caterina e a lei hai dato il mio, abbiamo dovuto fare lo scambio!”. Una sera sono andato a recitare al teatro di Locarno e non gliel’ho detto. Lei, arrabbiata: “Ma come, io ho pure un posto nascosto in quel teatro, sarei venuta a vederti…”.
Quindi oggi, dopo sedici anni di chiacchiere e doni, biglietti e lettere, cazzeggi e discorsi profondi, voi ancora non vi siete mai incontrati.
Forse anche perché… ho paura di deluderla. E poi ci sono state coincidenze mancate, per esempio quando per una cerimonia in onore di Fellini sono andato a Viareggio e lei mi ha chiamato e mi ha detto che ne era appena ripartita. A dire la verità, adesso che per il Covid non si può viaggiare, la voglia di vederla mi è venuta. Quando ci riaprono, io quasi quasi vado a Lugano.
Che risposta ti dai o ti ha dato lei, del suo ritiro dalle scene?
Penso che buona parte dipenda dall’accanimento mediatico. Lei diceva che non analizzavano mai il suo essere artista, analizzavano il look e poi, da una foto, deducevano una storia. “La mia popolarità, che dovrebbe essere una cosa che rende felice, era diventata invece un motivo di ossessione, era invasiva”, a volte non ce la faceva più. I pettegolezzi e le invenzioni, mi ha detto, non la facevano soffrire, l’annoiavano. Lei di interviste ne rilasciava pochissime e sempre con grande ironia, poi sui giornali la dipingevano come non era, una mangiauomini, una che stava tutto il giorno a giocare a carte, cucinare e mangiare. Non era così, non è mai stato così.
Adesso però nessuno la critica più o costruisce storie su di lei. È un mito e come tale intoccabile, non ti pare?
Già, adesso siamo al fanatismo, per cui tutto quello che Mina dice o fa è perfetto, cosa che io non condivido. Che lei sia stata una coraggiosa della musica è fuori discussione. Lo è stata per scelte ardite che nessuno ha analizzato nel giusto verso. Ricordano di lei tre o quattro canzoni, e Mina che interpreta Battisti. Ma se non avesse cantato Il cielo in una stanza, forse Gino Paoli ci avrebbe messo molto più tempo ad avere successo, e questo
vale anche, come ammesso da lui stesso, per Fabrizio De André e La canzone di Marinella che venne cantata da Mina. Le canzoni di Pino Donaggio e di Tony Renis sono diventate hit popolari grazie a lei. Mina studia, ricerca, sceglie.
Una scelta su cui tu per esempio sei critico? E qualche disco che hai invece amato più di altri?
Tanto è bello il Cd dedicato a Modugno tanto poco mi convince quello di Ivano Fossati. Ma Mina è una sperimentatrice ancora oggi, chissà cosa farà in seguito. Io comunque sono legatissimo ai lati B dei suoi vecchi 45 giri, a quelle canzonette divertenti. E adoro quando canta musica brasiliana. È stata la prima a incidere la bossa nova, con Chihuahua (di Calabrese, Bertocchi, De Ponti), Stare separati (versione italiana di Chega de Saudade di Antônio Carlo Jobim), e poi Quièn Serà (di Beltrán Ruiz, cantata adesso da Bublé), Moliendo Café (di Blanco e Perroni), un LP MINA CANTA O BRASIL. Il primo LP affronta anche il repertorio sudamericano, argentino. Il secondo LP, DEDICATO A MIO PADRE, è un capolavoro. Quindi la svolta discografica nel ’68, con MINA ALLA BUSSOLA DAL VIVO, brani arrangiati da Augusto Martelli. A proposito, a Salsomaggiore in occasione di un premio, mentre Augusto mi accompagnava e io cantavo una canzone, lui sorridendo mi fa: “Mina non sapeva cantare prima di incontrarmi”. Scherzava, ma vero è che la loro collaborazione si sente, è stata potente, importante.
Mina ha anche inciso il primo disco erotico uscito in Italia…
Plus Fort Que Nous, di Francis Lai, dal film Un uomo, una donna. Augusto si firmò Bob Mitchell, lei non compare proprio. Non firmarono perché era osé, oggi si trova su youtube con i loro nomi.
Qualcosa che ancora non mi hai detto su Mina…?
Ti dico che lei e Raffaella Carrà mi sono state vicine in un modo che non dimenticherò mai in un momento terribile della mia vita, quando avevo detto a una giornalista che avrei facilmente potuto togliermi di mezzo. Che io ero molto amico di Corrado Pani e lui mi diceva sempre che Mina era una madre eccezionale. Che Mina si chiama davvero Mina, all’anagrafe, e odia il soprannome “la tigre di Cremona”. Che lei non è poi così libera nelle scelte discografiche, che nonostante sia Mina le è difficilissimo fare un prodotto che sia una sua scelta al 100 per cento. Infine, che lei sa tutto di tutto e di tutti, è curiosa, attiva, pensa sempre al futuro, il suo cervello non si ferma mai. Sono convinto che ci sorprenderà ancora.
Fregene, 1957. Pascuttini