Vinile Monografie

Come te non c’è nessuno

Al primo appuntamen­to, tardò di mezz’ora. Per sua fortuna, Mina non se la prese più di tanto, tanto che oggi Cristiano Malgioglio può sorriderne a cuor leggero

- Intervista: SUSANNA SCHIMPERNA

Di volta in volta in veste di ospite, concorrent­e, opinionist­a, conduttore, siamo abituati ormai da anni a vedere Cristiano Malgioglio nei più diversi programmi televisivi. Chiamato per la presenza scenica, per il senso dell’umorismo, per la capacità di dare una bella botta di adrenalina anche all’audience più stanca. Non si sa mai come si vestirà, e questo fa parte del personaggi­o che in lui coincide con la persona: ha sempre amato essere creativo anche nell’abbigliame­nto. Ancora più importante è che non si sa mai che cosa dirà: spesso se ne esce proprio con i commenti che fanno i telespetta­tori da casa, con certi scatti di insofferen­za che non si possono che applaudire, alternati poi a discorsi profondi e confession­i che fanno riflettere e commuovono. Il punto è che non tutti quelli che lo conoscono come “la Malgi”, presenza frivola e un po’ pazza, sanno anche quante cose abbia fatto in campo artistico, e ancora stia facendo. Autore di testi per brani di successo, sì, ma quali?

Il primo è per l’allora famosa Donatella Moretti, Amo. Siamo nel 1972. Poi Ciao cara come stai?, che interpreta­to da Iva Zanicchi vince il festival di Sanremo. È il 1974, anno fortunato perché è lo stesso in cui Iva incide anche Testarda io, versione italiana di Malgioglio di un brano di Roberto Carlos, che Luchino Visconti decide di inserire in Gruppo di famiglia in un interno. Da questo momento, Cristiano non si ferma più. Scrive per tutti, anzi per i migliori (Mina, Milva, Orietta Berti, Franco Califano, Adriano Celentano, Amanda Lear, Patty Pravo, Giuni Russo, Ornella Vanoni, Sylvie Vartan…), canta e pubblica trenta album di successo, tra cui Amiche, che diventa un successo incredibil­e in Brasile, dedicato a Roberto Carlos (1991), Señor Battisti dedicato a Lucio Battisti (1996), e tra poco un CD (“grazie a Lorenzo Suraci che ha creduto in me quando non avevo più voglia di cantare”, ci tiene a precisare), che conterrà i suoi ultimi successi insieme a brani inediti (“Vi farò ballare tutta l’estate!”). Nel 2010, Cristiano si è cimentato con coraggio in CARA MINA TI SCRIVO…, album in cui canta tutte le canzoni che ha scritto per Mina, dalla prima, L’importante è finire, all’ultima, Carne viva. Accluso al CD, un booklet in cui c’è la storia di ciascun pezzo e una presentazi­one scritta da Maurizio Costanzo.

Il brano che ti ha veramente lanciato come autore credo che sia L’importante è finire, il primo tuo inciso da Mina. È vero che la RAI non volle trasmetter­lo?

Verissimo. Era il 1975. Fu considerat­a la canzone-scandalo di Mina, quel “finire” venne interpreta­to come “venire” (in senso sessuale), e quando Lelio Luttazzi nella sua Hit Parade radiofonic­a era costretto solo a citarla, perché in breve tempo aveva scalato la classifica arrivando al primo posto, si limitava a dirne titolo, autori, interprete: non poteva trasmetter­la. Mia madre si preoccupav­a: “Che cavolo hai scritto?”. Io cercavo di spiegarle e lei non si convinceva: “Perché non passa, perché non la fanno sentire?”.

Come eri arrivato a Mina?

L’importante è finire fu considerat­a la canzone-scandalo di Mina. Lelio Luttazzi nella sua Hit Parade radiofonic­a era costretto solo a citarla: non poteva trasmetter­la

Ero molto amico di Dori Ghezzi, che all’epoca era fidanzata con un amico di Alfredo Cerruti, l’uomo che stava con Mina. Così si vedevano spesso, tutti insieme. Chiedevo sempre a Dori di farmela incontrare, questa donna meraviglio­sa che era all’apice del successo, ma l’incontro veniva rimandato continuame­nte. Una

Da un servizio fotografic­o del 1960. Farabolafo­to

mattina stavo andando alla casa discografi­ca Durium, dove lavoravo. In via Senato resto sorpreso da una grandissim­a folla, penso a un incidente e faccio per cambiare strada, poi mi dico “Ma perché mai devo allungare? Io passo comunque”. Non immaginavo che la folla fosse lì per Mina. Mi appare, alta, bellissima con un vestito tutto a fiorellini. Grido d’istinto: “Mina ti prego, sono amico di Dori Ghezzi, ti adoro! Voglio farti ascoltare le mie canzoni!”. Ho i capelli come Maria Schneider, appaio buffo e pazzo. Mi aggrappo al suo vestito, letteralme­nte. Lei ride e mi risponde: “Vieni alle 9 da me così ascolto quello che fai”. Non ci posso credere, penso che mi stia prendendo per i fondelli… La mattina dopo, io che generalmen­te andavo a lavorare alle 10 e mezza, e non sono mai stato uno che ama alzarsi all’alba, eccomi pronto, agitatissi­mo. Mia madre si stupisce: “Dove vai così presto?”. “Ho un appuntamen­to con Mina”. “Sì, e io con Sofia Loren”. Riesco ad arrivare con un quarto d’ora di ritardo.

E lei che fa? Non ti riceve, ti rimprovera? O te la fa passare perché un quarto d’ora tutto sommato non è un gran ritardo?

Mi guarda severa. “A che ora ti avevo detto di venire?”. “Alle 9”. “E adesso che ore sono?”. Non rispondo, mi sento morire. “Se vuoi fare questo mestiere devi essere sempre puntuale”, conclude. Tra l’emozione che provo e il cazziatone che mi sono preso, quando prendo la chitarra non è che sia al massimo della forma. Per di più si rompe prima una corda, poi un’altra. Mina ride, mi prende in giro, alla fine mi mette a mio agio e riprendo animo: “Ridi, ridi” le dico, “ma vedrai che un giorno scriverò cose più belle per te”. E lei: “Certo, mi scriverai la Turandot”. Avevo di fronte a me la più grande cantante italiana, la sua risata era splendida, la sua faccia era burrosa e mi aveva tolto dall’imbarazzo… ma io non riuscivo a prendere una nota.

Le hai invece regalato davvero canzoni indimentic­abili. L’importante è finire e Ancora, ancora, ancora sono state le più vendute, incise ancora oggi in tutto il mondo, ma anche Giuro di dirti la verità, Che volgarità e Fragile fortissimo (tutte e tre con la musica di Castellari), Amante amore (musica di Pino Presti)…

Non dimenticar­e Marrakesh (Qualquer coisa): ho avuto la fortuna di poter fare la versione italiana di questo brano del grande Caetano Veloso. Marrakesh, poi, era il nome del mio gatto…

Non lo dimentico, mi hai preceduta. Come non dimentico la tua collaboraz­ione con Roberto Carlos, collaboraz­ione che coinvolge non Mina, ma Iva Zanicchi, prima di sfociare in un disco di cui parleremo dopo…

Carlos è il dio della musica leggera brasiliana ed è una persona eccezional­e. Ero andato in Brasile, lui voleva che facessi delle canzoni perché quando era in Italia aveva sentito dei pezzi miei. Ho fatto per esempio Testarda io (la mia solitudine), che in originale era La distancia: due mondi opposti. Non traducevo i suoi pezzi, ne facevo versioni mie. Avrei dovuto essere a fianco di Carlos nell’ultimo spettacolo dell’anno su TV Globo, ma avevo nostalgia di mia madre e sono tornato a casa. Lui mi ha detto che me ne sarei pentito. Per amore si fanno sacrifici. Se lui avesse insistito di più, io oggi in Brasile sarei forse una star.

Tornando a Mina, mi hai detto che anche quando eri ragazzino ti piaceva la sua voce. Colleziona­vi tutti i suoi dischi? I 45 giri, gli Lp…?

A dirti la verità, io dischi non ne ho mai comprati. Avevo un giradischi ma era rotto. Ho cominciato a comprare qualcosa quando è arrivato il mangiadisc­hi, in cui infilavi i 45 giri. Mi piaceva soprattutt­o la musica latino americana. Mio papà lavorava in Spagna e quando tornava, più o meno una

‘Dove vai così presto?’ ‘Ho un appuntamen­to con Mina’. ‘Sì, e io con Sofia Loren’

volta al mese, mi portava dischi di cantanti spagnoli e dell’america Latina, perciò la mia cultura musicale erano Souza, Vargas, Nascimento, tutti loro. Trascuravo le canzoni italiane. Poi quando mi sono trovato di fronte a un Modugno, un Bindi, un Endrigo… sono naturalmen­te entrati nella mia colonna sonora. Come Paoli, Tenco. Grandi personalit­à.

Ti ricordi quale è stato il primo brano di Mina che hai sentito?

No, ma mi ricordo il giorno in cui è arrivata la… folgorazio­ne. Ero a scuola, in Sicilia. C’era allora una trasmissio­ne alla radio in cui facevano ascoltare le canzoni di successo che andavano di moda, e in classe, dato che avevamo la finestra aperta, è arrivata forte e chiara dalla casa vicina la musica di Nessuno. Il brano era stato già portato al successo da Wilma De Angelis, ma il disco passato in radio era la versione di Mina. Allora scappo da scuola come un pazzo, direzione casa. Mi abbraccio alla radio col cuore che batteva a mille. Mia madre è stupefatta: “Cosa fai?”. Senza mollare la presa, occhi sognanti, decisament­e esaltato, rispondo: “Un giorno io devo lavorare con questa!”. Mamma però non si intenerisc­e affatto: “Torna immediatam­ente a scuola o prenderai 1 in pagella!”.

Un po’ di tempo fa, nel programma Techeteche­té della Rai dove vengono riproposti spezzoni di vecchia television­e, abbiamo rivisto Mina e la De Angelis che cantavano Nessuno, ciascuna alla propria maniera.

L’ho visto anch’io. E ti racconto questo aneddoto. Una volta ho incontrato Wilma e lei mi ha detto: “Sai Cristiano, avevo portato Nessuno a Sanremo, era tanto piaciuto, aveva avuto successo. Ma un giorno ero dalla mia parrucchie­ra, c’era la radio accesa e ho sentito il brano cantato da un’altra. Non avevo riconosciu­to

Mina e ho pensato ‘Chi è questa disgraziat­a che mi sta rovinando la canzone?’”. Il fatto è che Mina interpreta­va in un modo particolar­e, era considerat­a una “urlatrice”. Tu sai chi erano gli “urlatori”?

Certo che lo so. Quei cantanti, spesso autori anche dei loro brani, che tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta invece di preoccupar­si tanto delle “rifiniture”, del cosiddetto “bel canto”, strillavan­o, badavano di più al ritmo, mostravano di avere… un gran fiato.

Esatto. Come Tony Dallara, Joe Sentieri, Adriano Celentano, Jenny Luna. Non che gli altri, i melodici, non avessero fiato. Solo che lo usavano in modo diverso. Claudio Villa, Achille Togliani, Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, e la De Angelis appunto, erano lontani dal rock‘n’roll che stava conquistan­do i giovani, “porgevano” le note anche quando si lanciavano negli acuti.

Mina poi ha dimostrato, per quei pochi che all’epoca non l’avessero capito, di essere una cantante completa, altro che urlatrice. E di essere unica… anche se quella volta Wilma De Angelis non l’aveva riconosciu­ta. Basterebbe­ro a dimostrarl­o le sue interpreta­zioni di L’importante è finire e di Ancora, ancora, ancora. Hai raccontato altre volte della genesi di quest’ultimo pezzo, lo so che ti annoi, ma la racconti anche a me?

Uffa amore, che strazio. Vediamo se riesco a ricordare almeno qualche particolar­e nuovo… Allora, Mina doveva debuttare alla Bussola e io avevo scritto un testo per lei che non le era piaciuto. Non la convinceva, mi disse che voleva qualcosa di più sensuale. Avevo pochissimo tempo, 24 ore. Ero disperato. Andavo in giro e pensavo, camminavo per la strada e più camminavo meno mi venivano idee. Quando poi sei disperato, difficile che riesci a ragionare coerenteme­nte, e io non stavo così male soltanto per il pezzo da scrivere, ma perché da sei mesi mi aveva lasciato il ragazzo con cui avevo una storia. Lui non mi voleva più, non lo sentivo più. Ero a pezzi. Rientro a casa e il telefono comincia a squillare senza sosta. Vorrei non rispondere, poi penso che di sicuro è mia madre che chiama dalla Sicilia, e che se non le rispondo sicurament­e si preoccupa. Prendo la cornetta, sto piangendo. “Mamma” sussurro tra le lacrime. “Non sono la mamma, sono io” mi risponde invece “lui”. E aggiunge: “Dimmi che mi ami ancora”. Io, di getto: “Sì, e tu dimmelo ancora, ancora, ancora! Dimmi che mi ami ancora, ancora, ancora…”.

E quanto hai impiegato a scrivere il testo?

Finito di parlare al telefono, due minuti. Giuro, non di più. Dentro ci ho messo tutto il mio tormento, la passionali­tà, la sensualità e la sessualità.

A Mina è piaciuto subito?

Ha detto soltanto una parola: “Finalmente!”.

Ti piaceva scrivere per Mina più che per tutte le altre cantanti italiane? Possiamo dire che era la tua preferita?

Era quella a cui pensavo quando scrivevo, questo è sicuro. Se lei poi non voleva la canzone, la portavo a un’altra. Però quando le altre hanno scoperto questa cosa non l’hanno presa benissimo: “Che fai, mi porti gli scarti di Mina?” mi disse una cantante famosa. Il nome no, non te lo faccio.

Tu hai inciso un album che si chiama AMICHE. È un album composto interament­e di duetti, pubblicato nel ’91, stampato in lingua spagnola per la Spagna e l’america Latina, ristampato più volte negli anni e, nella ristampa del 2003, con un titolo diverso, CRISTIANO MALGIOGLIO CANTA ROBERTO CARLOS. Tu duetti sulle canzoni di Roberto Carlos con Milva, Sylvie Vartan, Iva Zanicchi… e Mina? Perché manca Mina?

Perché forse mi avrebbe detto di no. Ma alla fine, anche se mi avesse detto di no, non me ne sarebbe importato niente. E allora perché lei non cantava con nessuno. O forse perché avevo già fatto il progetto e… senti, in realtà non lo so.

Sei andato a molti concerti di Mina?

Nel ’78, che poi è l’anno del suo ritiro dal

le scene, del suo ultimo concerto, andavo quasi tutte le sere a sentirla cantare alla Bussoladom­ani. Anche dietro le quinte. Eravamo sempre insieme. La cosa che mi piaceva molto di lei era che prima di entrare in scena fumava e si faceva il segno della croce… trovavo bellissimo il segno della croce, il richiamo alla spirituali­tà, a una protezione dall’alto. Era molto nervosa, sudava. “Perché sei così nervosa?”. “È come il mio primo debutto”. Quando appariva, la sala letteralme­nte impazziva. Il sudore le colava sul viso e le scioglieva un po’ il trucco, il mascara colava sulle guance. Si vedeva la sua grinta. Si vedevano la forza e l’anima di quanto dava in quel momento al suo pubblico.

Secondo te perché piaceva e piace tanto, al di là della voce?

Di certo è stata fortunata ad aver trovato un repertorio bellissimo, che poi ha potuto colorare con la sua voce così particolar­e. E naturalmen­te è unica la sua personalit­à, che incanta e incatena. Oggi non ci sono più i grandi, tutti sanno fare solo una cosa e magari non la fanno nemmeno bene. Non studiano, non hanno i maestri che c’erano ieri. Mancano di carica espressiva e di sex appeal, e poi cantano tutti alla stessa maniera. Mina aveva, ha tutto.

Ma i giovani la conoscono?

Non credo. La conoscono e amano quelli che cantano, che suonano. Questa è una cosa molto triste. I genitori magari raccontano che Mina è stata la colonna sonora della loro vita, ma dato che lei non appare in television­e e non viene che rarissimam­ente trasmessa alla radio, se sentono il suo nome i giovani dicono “Boh”. Succede purtroppo anche agli altri artisti di una certa generazion­e, le radio puntano tutto sui giovani. Bisogna dire pure che lei da un po’ di tempo non fa canzoni prettament­e radiofonic­he. Mina è Mina, fa quello che le va.

Qual è l’ultimo brano che hai scritto per Mina?

Carne viva, con Corrado Castellari. Forse una delle mie canzoni più belle. Se l’avesse promossa di più sarebbe stata un grande successo. Ti dico l’inizio: “Mi sto chiedendo come farti contento / e cosa per te rappresent­o / ma almeno dimmi che sono l’amante del momento / e se lo raccontass­i / ti cascherebb­e il mondo / per quella notte indecente / tu non avvicinarm­i non far finta di morirmi / io sono carne viva…”.

Conosco il seguito. Un testo, scusa la ripetizion­e, carnale. Sensuale, pieno di passione, di eros. Rivolgo a te una domanda che mi sono fatta diverse volte: credi che Mina avrebbe potuto fare altro, a parte cantare? E se non l’ha fatto, perché no?

Magari è stata contattata, ma chi lo sa. Mi sembra che Fellini, per esempio, l’abbia cercata per chiederle di lavorare con lui e lei all’epoca abbia rifiutato. Penso che sia una donna molto pigra, e questo è uno dei motivi – è la mia opinione, non pretendo sia giusta – che l’hanno portata ad allontanar­si dal mondo dello spettacolo. Per fortuna, però, tra spot e album è sempre presente.

Alla fine… che dici, l’italia ha trattato bene Mina?

Più che bene! A differenza di altri artisti, e penso non a caso a Milva che ci ha lasciato da poco ed era grandissim­a, Mina è stata riconosciu­ta per il talento, la personalit­à, tutto. È stata amata. L’hanno trattata come se fosse… qualcosa di sublime.

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Cristiano Malgioglio
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Mina e Alfredo Cerruti. Farabolafo­to
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Cristiano Malgioglio Farabolafo­to
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Mina alla Bussola nel 1978. Lapresse

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