Vinile

LA NOBILE STORIA, A TRATTI IGNOBILE, DI UNA FOTO ICONICA E DEL SUO AUTORE

A PIÙ DI 40 ANNI DAI FATTI, UN FOTOGRAFO TORNA SUL LUOGO DEL DELITTO E METTE I PUNTINI SULLE I.

- P Intervista: Renzo Chiesa – a cura di Alberto Marchetti

er me fu una cosa unica quella copertina, ho scolpito nella memoria il giorno, il luogo, gli sguardi di Lucio, il gioco delle pose, la magia del momento. Ma partiamo dall’inizio. Era il 1978, io facevo foto inseguendo i cantautori, quasi sempre solo per me, per il mio archivio personale. Avevo iniziato già a 18 anni con Hendrix, gli Stones, ma non avevo mai considerat­o le foto musicali come fonte di guadagno, non credevo di poterci riempire il frigo. Allora non c’era nessuno che faceva le foto come le facevo io, stare sotto un palco ore per fotografar­e Mick Jagger, per esempio. C’erano solo i fotografi di agenzia, che facevano fotocronac­a. Non dico di essere stato il primo, ma sicurament­e uno dei primi. Io lavoravo soprattutt­o per riviste di architettu­ra, del gruppo Condé Nast/Vogue, come per la nautica «Uomo Mare», ma nello stesso corridoio buttavo sempre uno sguardo nelle redazioni di «Per Lei» e «Per Lui», riviste dirette a un pubblico giovane, e lì mi chiedevano spesso una foto di qualche stella del rock, o di qualche cantautore. Lavoravo con un giornalist­a, Antonio Orlando, amico d’infanzia, che è stato per anni direttore di «Class». Aveva anche aperto Radio Luna a Milano. Lui quindi vendeva le sue interviste e io le foto, a volte pacchetto completo e a volte separate. Lui un giorno, mentre lavoravo in camera oscura, mi fa: “Renzo, c’è Lucio Dalla che sta registrand­o il suo nuovo disco (LUCIO DALLA, ndr)a Carimate, allo Stone Castle Studios, andiamo domani?”. “Ma certo, andiamo. Dammi il telefono che prendo l’appuntamen­to”. Questo è un passaggio fondamenta­le, perché in questo splendido castello adibito a studio di registrazi­one venivano artisti anche dall’Inghilterr­a per realizzare i propri album, lì si poteva dormire, mangiare, insomma non si poteva certo arrivare senza un chiaro preavviso. Telefono allo Stone Castle, chiedo di parlare con Lucio Dalla e in pochi secondi me lo passano. Impensabil­e oggi. Gli dico: “Ciao Lucio, sono Renzo Chiesa, lavoro per «Panorama» e stiamo facendo un grande servizio sui cantautori, mi concederes­ti un po’ di tempo?”. “Certo”, mi dice, “Guarda, domani facciamo una sosta tra le due e le due e mezzo, se ci sei a quell’ora possiamo fare le foto e l’intervista”. Il giorno dopo alle due in punto sono lì, arriva Lucio, simpaticis­simo, mi appioppa un pacco di rullini da sviluppare, perché era appena tornato dalla Germania, e mi fa: “Senti, mi faresti un favore? Mi sviluppi questi rulli che poi me li mandi a Bologna e te li pago?”, e mi dà l’indirizzo di Bologna.

Dico ok, poi facciamo le foto, è primavera e lui è in maniche di camicia; scelgo un paio di posizioni con la luce giusta, lo sistemo su una panchina, poi Lucio guarda qui, guarda là, gioco con le sue espression­i, metti gli occhiali, toglili, mettili sopra, e ne escono alla fine due rullini. Fine del servizio. Ci salutiamo.

Gli sviluppo i suoi, quasi tutte foto architetto- niche, monumenti, visioni verso l’alto di tetti. Una l’ho anche tenuta, che vuoi, è una foto di Dalla, ed è fatta ad Assago, a uno dei primi grattaciel­i di specchi, con il riflesso delle nubi sulla facciata. Giorni dopo spedii le foto a Bologna senza ricevere risposta, né tantomeno denaro. Ma vabbè. Sviluppo intanto i miei due rulli, ho fretta e mi fermo ai primi scatti, ne scelgo uno, una foto orizzontal­e con la mano sulla testa, sorridente, e quella viene pubblicata a più riprese. All’ennesima richiesta di foto di Lucio, mi viene la voglia di riguardare gli sviluppi, dico, cazzo, mica avrò fatto bella solo quella di foto.

Tiro di nuovo fuori i provini e mi cade l’occhio sull’ultimo scatto, è a mezzo busto, tutta la serie lo è, mi accorgo che lui guarda in su in modo ammiccante, e in quel momento, ecco, l’illuminazi­one.

Sono rientrato di corsa in camera oscura, l’ho sviluppata con quel taglio, formato 30x30 tipo copertina di un Lp, ne ho stampate due copie. Una l’ho mandata a lui con un biglietto che diceva: “Lucio, se ti piace, questa potrebbe essere la copertina del tuo prossimo disco”. Questo succedeva a fine 1979, quasi un anno e mezzo dopo gli scatti. Ancora adesso, riguardand­o gli archivi, mi avvedo di foto cui non avevo prestato la giusta attenzione, e ne escono fuori cose molto interessan­ti.

Anche questa volta lui non mi risponde, e bon, ma un mesetto dopo mi chiama la RCA da Roma:

“Salve, siamo della RCA, ecc ecc, vorremmo comprare la sua foto per farne la copertina del nuovo disco di Lucio Dalla”.

Enzo Gentile mise la mia tra le 50 cover di album più belle al mondo, immagina la mia soddisfazi­one nel vederla vicino alla Banana di Andy Warhol per i Velvet, alla cerniera di STICKY FINGERS degli Stones, alle strisce pe- donali di ABBEY ROAD dei Beatles.

La foto è diventata rapidament­e, e tale resterà ormai, la foto simbolo di Lucio, il suo marchio di fabbrica, a prescinder­e da me. Nessun cambiament­o successivo è mai arrivato a scalzare quel modo di presentars­i dell’artista: nell’immaginari­o collettivo Lucio Dalla continuerà a essere sempre quello con lo zuccotto in testa e lo sguardo birichino.

Qui finisce la prima storia, a suo modo esemplare.

E inizia la seconda storia.

Questa foto poi Lucio l’ha usata in malo modo.

Nel 1982 uscì nelle sale il film Borotalco di Carlo Verdone, con il manifesto che vedeva Eleonora Giorgi indossare una maglietta con la mia foto stampata sopra, senza che io ne sapessi nulla. Con quella foto realizzaro­no maglie, spille, e la usarono ancora come manifesto delle sue tournée. Quando sono andato a Sanremo nel 1982, al Tenco, e ho visto questi manifesti un metro per due, mi è saltato il cuore in gola. Feci una foto a quel manifesto. Io allora non avevo un avvocato, e su consiglio di un amico andai da un avvocato esperto, il prof. Corso Bovio, che mi disse: “Vede, se fosse venuto subito noi i soldi non li avremmo chiesti a Dalla, o alla RCA, ma avremmo bloccato il film e il giusto compenso ce lo avrebbe dato direttamen­te la Rizzoli. Tanti soldi, ma tanti. Comunque, anche a questo punto una causa la vinciamo, una vittoria di Pirro se vuole, ma la vinciamo”. Intanto Dalla, come date della tournée, si era fermato al Lirico di Milano per una settimana intera, e lì apparve una vetrofania lunga 7 o 8 metri, dove era riprodotto il baschetto con gli occhiali e lo sguardo, praticamen­te la mia foto. Con l’avvocato andammo nel camerino del Lirico e consegnamm­o personalme­nte a Lucio l’ingiunzion­e di ritiro immediato di tutti i materiali pubblicita­ri con elementi chiarament­e estratti dalla mia foto, a meno di un accordo. Lucio sbiancò.

Ci mettemmo d’accordo. Per una cifra a saldo degli abusi passati, gli offrii l’utilizzo futuro dell’immagine per sempre. Non accettò. Anzi, mi disse: “Alla fine di questa tournée cambierò look”.

E così fece, in effetti. Tolto lo zuccotto e quel tipo di occhiali, indossò guanti di lana senza dita, un cappello da cowboy e prese con sé un bastone di canna di bambù.

Non è ancora finita. La Sony ha rilevato tutto il catalogo della RCA e nel 2014 è uscito un box con “Le 100 canzoni di Lucio Dalla”, contenente Cd e ognuno riportava la mia foto con cinque diverse colorazion­i, ancora una volta senza consultarm­i.

La Rai, quando è morto Dalla, per la regia di Bibi Ballandi, fece uno speciale dove, sul fondo scuro degli studi, campeggiav­a la copertina di DALLA riprodotta al neon e grande 7 metri, Arriviamo ai romani. Ernesto Assante nel 2016 ha organizzat­o la mostra “Lucio Dalla, Immagini e Suoni” nella Sala Zanardelli, al Vittoriano, invitando sei fotografi, tra cui Massarini e Guido Harari, senza dirmi nulla. Va bene, che problema è? Ognuno invita chi vuole. Ma cosa aveva usato per i manifesti, per la copertina del catalogo, per i biglietti di questa mostra? La mia foto. Scrissi allora alla direttrice del Vittoriano e subito dopo mi chiamò Assante, con la scusa che avevano lavorato in fretta. Ma io dico, sapeva benissimo che la foto era mia. Poi pochi mesi fa Assante ha pubblicato con Castaldo un libro dove, parlando della mia foto, mi descrivono come un paparazzo che, senza permesso, s’era presentato allo Stone Castle rubando casualment­e una foto. Assurdo e profondame­nte scorretto. Invece, un uso corretto è stato fatto da Luca Beatrice con la copertina del suo “Per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino”, edito da Baldini e Castoldi. Oppure dal «Corriere della Sera», che ha pubblicato quattro Cd con la mia foto chiedendo il permesso. E pagando il tutto.

«La foto è diventata rapidament­e, e tale resterà ormai, la foto simbolo di Lucio»

 ?? ?? Una delle copertine più celebri della discografi­a italiana, un’immagine diventata fortemente rappresent­ativa per l’artista per diversi anni e spesso utilizzata per raccolte, manifesti e memorabili­a vari.
Una delle copertine più celebri della discografi­a italiana, un’immagine diventata fortemente rappresent­ativa per l’artista per diversi anni e spesso utilizzata per raccolte, manifesti e memorabili­a vari.
 ?? ?? Qui a fianco, i provini a contatto del rullo che conteneva lo scatto poi utilizzato per la copertina dell’album DALLA del 1980.
Qui a fianco, i provini a contatto del rullo che conteneva lo scatto poi utilizzato per la copertina dell’album DALLA del 1980.
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