NON IMPORTA, KURT
A trent’anni esatti di NEVERMIND, l’album che lanciò in maniera irresistibile la carriera dei Nirvana, ripercorriamo la discografia ufficiale con uno sguardo anche alle più importanti operazioni d’archivio e alle poche e sparpagliate pubblicazioni italian
irvana e subito la mente va a Kurt Cobain, che di quel gruppo simbolo di un’epoca fu autentico artefice, quasi una sua emanazione diretta per quanto in quelle liriche intense e in quelle musiche trascinanti e viscerali ci fosse tutto il suo mondo interiore. La musica avrebbe potuto forse salvarlo, e per un periodo lo ha fatto, ma poi essa stessa era diventata pesante fardello, con quel successo tanto agognato che poi aveva acuito malesseri e sensi di colpa. Eppure anche a distanza di tanti anni, trenta tondi dall’uscita del disco che cambiò per sempre le sorti e i destini della band, quella potenza e quella disperazione ci giungono ancora intatte, impregnate di genuina freschezza. I Nirvana in modo inconsapevole hanno saputo davvero dare voce a un’intera generazione (la chiamavano con un’anonima X), consentendo anche ai losers di potersi riconoscere in qualcosa di grande, che per essere tale non aveva bisogno di artifici o di essere ostentato. Cobain, il bassista Krist Novoselic (con cui il leader fu sempre in sintonia, trovandone un ideale contraltare) e Dave Grohl che dal suo ingresso corroborò i propositi dei compagni, avevano un’alchimia perfetta e sapevano toccare il cuore delle persone usando un linguaggio personale, che pure attingendo a piene mani da esperienze precedenti (mescolando in modo mirabile l’amore per il rock di matrice heavy all’immediata sfrontatezza del punk, non disdegnando fragranti melodie pop), diventerà presto assolutamente riconoscibile, al di là dell’etichetta grunge che non piaceva a nessuno dei gruppi dell’area di Seattle. Si sa, quando si viene incasellati in un determinato modo è dura smarcarsi ma in realtà i Nirvana sembravano avere poco in comune con altri gruppi coevi appartenenti alla stessa regione e al medesimo periodo storico. Pur provenendo da un humus culturale simile, possedevano una scintilla, una loro unicità che presto si sarebbe rivelata al mondo intero. Già, ma quante delle 800 persone e poco più che li videro al Bloom di Mezzago nel 1989 poco dopo l’uscita del primo album, pubblicato con la label indipendente Sub Pop, avrebbe azzardato – come un novello Jon Landau, che lo disse a proposito di un giovane Bruce Springsteen – di aver visto il futuro del rock’n roll? Eppure era lì, a portata di mano, a pochi centimetri dal palco. E il suo nome, Nirvana, voleva indicare la pace dei sensi, così difficile da ottenere, specie quando ti ritrovi in cima al mondo. Come un moderno Icaro, anche il biondo frontman arrivò a scottarsi, o meglio a bruciarsi, e la sua sarà una fine tristemente voluta che nessuno, dai suoi amori più grandi (la moglie Courtney Love e la piccola Frances Bean) ai compagni, alla musica stessa, ha saputo evitare. Come si sarebbe evoluta la carriera dei Nirvana? Si sarebbero sciolti? Sarebbero diventati qualcos’altro? Quesiti inutili purtroppo, la cui impossibile risposta ci ripone l’attenzione su ciò che di indimenticabile è stato realizzato in una vicenda artistica e umana che ha percorso i nostri cuori come una stella cometa, in grado letteralmente di illuminare intere esistenze.
«Quel nome, Nirvana, voleva indicare la pace dei sensi, così difficile da ottenere, specie quando ti ritrovi in cima al mondo»