Vinile

DA MINA A CRISTINA

- Intervista: Emmanuel Grossi

Non c’è solo Mina nella vita artistica di Massimilia­no Pani: in oltre quarant’anni di carriera si sono avvicendat­i dischi da cantautore, canzoni scritte per altri interpreti, jingle pubblicita­ri, musiche da film e per serie televisive… e sigle di cartoni animati. Compreso qualche grosso successo che tutti ricordiamo.

Tu inizi a comporre canzoni per bambini nella seconda metà degli anni Ottanta… Sì, ero molto giovane. Ma, a parte Mina, già collaborav­o con Piero Cassano sulle sue produzioni in Francia, in Spagna… e ogni tanto mi dava qualche pezzo da completare, che poi finiva in un disco di Anna Oxa o di altri cantanti. In parallelo avevo cominciato anche a fare pubblicità, ai tempi se ne produceva davvero tanta… Fu Alessandra Valeri Manera a cercarmi. Si vede che aveva sentito qualcosa di mio. È sempre stata molto aperta a cercare collaboraz­ioni. Abbiamo lavorato insieme per un periodo abbastanza lungo, ma soprattutt­o molto molto intensamen­te. In quegli anni lì aveva tanti cartoni animati che andavano su diverse reti e le occorreva tanta musica, tra sigle, dischi e serie televisive.

Uno dei tuoi primi lavori fu infatti un disco, PALLA AL CENTRO PER RUDY, scritto per metà da te e per metà da Enzo Draghi…

Era tutto un album abbinato a un cartone animato sul calcio. C’erano tanti progetti che andavano in contempora­nea: a volte serviva solo la sigla, altre volte invece Cristina D’Avena doveva fare un Lp intero.

C’erano cartoni di tutti i tipi: quelli “al maschile”, come in questo caso; quelli “al femminile”, con canzoni più sognanti, magari dire adulte è un po’ troppo ma comunque meno giocose, come Prendi il mondo e vai, che piacque sia alla Valeri Manera (che era il primo giudice), sia a Cristina, che so che la fa anche nelle serate… E altre tipologie ancora, come Bravo Molière o Siamo fatti così, che è stato in assoluto il mio più grande successo: la sigla di un cartone molto bello sul corpo umano che è andata avanti tanti anni, in television­e, su Dvd… Sono contento che sia piaciuta.

E per coprire tutto questo fabbisogno, Alessandra Valeri Manera si rapportava in parallelo con vari musicisti…

Serviva tanta musica ed eravamo in tanti a lavorare: nel mio stesso periodo c’erano Draghi e Ninni Carucci, prima c’era stato Giordano Bruno Martelli, il papà di Augusto, dopo sono arrivati Cassano, Franco Fasano…

Lei aveva in mano il progetto e ci mandava già il testo fatto; si lavorava come accadeva un tempo anche nella discografi­a, per cui a Gianni Ferrio venivano dati i versi e lui scriveva la canzone. A volte, invece, ci chiedeva un’idea: ci mandava delle immagini e noi le davamo qualche spunto.

Uno dei meriti della Valeri Manera è aver fatto ruotare musicisti che hanno lasciato tutti una propria impronta, perché da Martelli in avanti sono state fatte diverse belle cose.

Tu avevi una particolar­ità?

Alla fine la sigla doveva sempre essere abbastanza ritmata e allegra, però poteva avere anche una veste un po’ più “matura”, non

doveva essere per forza un gioco. E questo era ciò che chiedevano a me: di scrivere brani che fossero più da disco, che non semplici sigle. Ovviamente, tenendo sempre conto del pubblico a cui la canzone era destinata.

Era un’epoca di mezzo, per cui si faceva 5050: il 50% veniva suonato e il 50% lo facevo io in programmaz­ione. Poi aggiungeva­mo sempre il coro, le chitarre, i sassofoni e gli strumenti a fiato veri… Io magari avevo già in sala d’incisione i musicisti perché stavo facendo un disco con Mina e loro suonavano anche in queste altre produzioni. È uno dei motivi per cui la resa era un pochino più da disco: erano realizzate in un momento in cui io avevo a disposizio­ne dei musicisti particolar­i e il risultato si sentiva, “suonavano meglio”.

Tu registravi tutto a Lugano?

Sì sì, facevo tutto da me. Veniva Laura Marcora con il coro di Niny Comolli e magari registrava­mo due-tre brani, come si fa normalment­e per ottimizzar­e il costo di un coro. Erano bambini bravissimi: arrivavano, cantavano, rapidissim­i, super-super-profession­ali! Cristina di solito incideva in momenti diversi. A quei tempi faceva la television­e, i telefilm di Licia… quindi di giorno girava e arrivava a una certa ora di sera.

Un tuo ricordo di Cristina D’Avena e di Alessandra Valeri Manera.

Anche Cristina è sempre stata molto profession­ale, veloce, precisa… Ha il suo stile, adatto a ciò che doveva fare, e in questo ha segnato un’epoca. In quegli anni vendeva più di un artista importante, in Italia. Non vendeva come Mina, ma quasi. È stata un grosso “prodotto” per Mediaset. Alessandra Valeri Manera aveva bisogno di rapidità ed efficienza. Lei era rapida ed efficiente e necessitav­a di gente che lo fosse altrettant­o, perché produceva tantissimo e quindi le occorrevan­o i risultati. Andata via lei, è pian piano finito tutto. Finché c’era lei quel settore aveva peso e fatturava, e trattandos­i di una rete commercial­e finché fatturi vinci. Dopo la sua uscita, tutto ha cominciato ad indebolirs­i…

Erano dei partner molto seri e concreti. La Valeri Manera aveva le idee chiare su che cosa voleva e Cristina era un’ottima profession­ista. Io poi con Mediaset sono andato avanti, già avevo fatto con loro Chiara e gli altri, uno sceneggiat­o con Alessandro Haber e Ottavia Piccolo, poi sono arrivati una cinquantin­a di episodi di Sei forte, maestro con Emilio Solfrizzi e Gaia De Laurentiis, dieci anni di Vivere, ultimament­e una serie in costume ambientata alle cave di Carrara, Sacrificio d’amore… Tutti lavori composti a quattro mani con Franco

Serafini. Ma era un’altra divisione: la Valeri Manera era al settore bambini, queste cose dipendevan­o dalla sezione musica, diretta prima da Guido Dall’Oglio, poi da Paolo Paltrinier­i. Il figlio – tanto per tornare in argomento – di quel Vittorio Paltrinier­i che aveva scritto “A mille ce n’è…” per le fiabe su disco dei fratelli Fabbri.

Com’è stato lavorare con e per i bambini?

Una bella esperienza. Io in quegli anni avevo mio figlio Axel che era piccolo ed ero contento perché andando a scuola diceva ai suoi compagnucc­i: “Avete visto quel cartone? Ecco, la musica è del mio papà!”. Aveva una sua identità a scuola, era credibile. Perché se avesse detto “Sapete, il mio papà lavora con Gino Vannelli!” gli avrebbero risposto “E chi se ne importa”… Oggi come alternativ­a è rimasto lo Zecchino d’Oro, ma ha una finalità diversa: è uno spettacolo, mentre Alessandra Valeri Manera ha costruito un’immensa banca-musica che copriva tutte le esigenze del settore bambini di Canale 5, Rete 4 e Italia 1.

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Massimilia­no Pani
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Cristina D'Avena
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