RICORDO DI TONINO COGGIO
Mariella Nava ricorda Antonio Coggio, Tonino come lo chiamavano gli amici. Il loro incontro, gli insegnamenti, l’eredità artistica, la commozione nel salutare un maestro e un amico, un grande musicista.
Lo conobbi nel 1982. Arrivai con mio padre a Milano, negli studi della CGD, era in compagnia del suo amico socio di sempre Roberto Davini.
Mi fu da subito chiara la sua grande esperienza e cosa apparteneva al suo pensiero, ma ebbi soprattutto la sensazione certa che sarebbe presto diventato la mia guida e così è stato da quel giorno fino a oggi. Aveva L’aria da saggio. Barba scura e capelli un po’ lunghi stile anni 70, una camicia di jeans. Seduto. Braccia conserte. “Entra!”, mi disse, era accanto a un pianoforte verticale. “Raccontami chi sei e cosa fai!”. Il suo era un parlare sicuro, netto. Un po’ mi aveva messo imbarazzo.
In quel momento non sapevo da dove iniziare per raccontargli di quanto per me la musica fosse importante e rappresentasse tutto quello che volevo fare nella vita. Dovette intuirlo perché sorrise alle mie prime parole dette ad occhi bassi e a mezzo fiato.
“Suonami quello che scrivi, fammi sentire un po’ quello che sai fare!”.
Anche qui la voce e le mani mi tremavano ma la sua attenzione e il suo essere interessato da subito a quello che gli stavo facendo ascoltare, mi dettero forza.
Era assorto e quando finii di cantare mi disse:
“Si vede che conosci la musica, che hai una grande sensibilità e un modo di scrivere che è tutto tuo! Certo, c’è tanto da lavorare, ti canti un po’ addosso. Per questo io non ti faccio firmare un contratto, non ti dico che ci riusciremo, ti dico solo che in te vedo che può esserci un’artista che può crescere e in questo, se vuoi, se mi dai tempo, se me lo permetti, se ci credi, ti posso accompagnare! Abito vicino a Roma dove ho uno studio. Segnati pure il mio numero. Quando avrai cose da farmi ascoltare fammelo sapere, puoi venire in studio e ti dirò come lavorare”.
Andai via da quella stanza certa che lo avrei cercato presto proprio perché non aveva preteso da me nessun vincolo scritto ma solo quella bella proposta di accompagnarmi in una crescita.
Così fu. Per un po’ di tempo facevo la pendolare Taranto-Roma e, su dieci canzoni nuove che gli portavo, due o tre strofe e qualche inciso o idea di testo qua e là erano le poche cose da salvare e che mi indicava giuste per la via del successo. Già, perché, se è vero che non esistono regole per averlo, è vero che lui aveva un intuito particolare e delle antenne speciali per riconoscere quello che in te, probabilmente, poteva fartelo ottenere.
Un faro nel buio creativo. L’ordine nel caos.
L’ho seguito sempre quel faro. Ho preso quei “no, questo no!” come manuali sacri, perché immancabilmente vedevo che lui aveva la sua ragione inconfutabile. “Cerco locomotive, non vagoni!”, “Non mi scrivere ‘una’ canzone, cerca ‘la’ canzone!”. Queste erano le sue frasi costanti e dette sempre con il sorriso.
Era generoso. Era onesto. Diceva L’indispensabile. In mezzo ci metteva le sue battute argute, le barzellette a tema, le sue storie, i racconti dei tempi della RCA che portava con sé con il suo tempo migliore. Era infaticabile ed abituato a fare le ore
piccole quando un mix o qualcos’altro non lo convinceva del tutto. Ricominciava anche da capo.
Così pian piano ho capito e imparato tante cose di questo mestiere.
Ho anche imparato a non accontentarmi mai io per prima e ho tirato fuori il meglio di me e della mia scrittura, sono nati i miei brani più importanti e tanti altri che lui apprezzava nella mia discografia. Abbiamo vissuto incredibili storie di conferme e successi, ma anche qualche dispiacere per le volte mancate o per le incomprensioni dell’ambiente, ma è sempre stato al mio fianco con la certezza di vedere in me quel talento da donna da difendere.
Spesso scherzavo con lui e gli dicevo che tra tutti gli artisti di cui si era preso cura, da Baglioni a Fossati, a Mia Martini, a Stefano Rosso, a Fiorella Mannoia, a Luca Barbarossa, a Mimmo Cavallo e tutti gli altri, io ero quella che gli aveva portato meno frutti in termini di classifica, ma lui non ci stava! Diceva che non era assolutamente così e che la soddisfazione che provava nell’aver lavorato per me, nelle canzoni che avevamo realizzato, valeva quanto e forse più di qualsiasi primo posto ottenuto in passato. Questo era Tonino (così lo abbiamo sempre chiamato noi suoi amici). Un dolce ostinato.
Riservato, schietto, vero.
Non aveva bisogna di aspettare i risultati, lavorava per ottenerli con la sua convinzione e con il suo sentire puro. Lasciava che fossero le corde della sua anima a scegliere e mai la testa o i ragionamenti. “La gente è libera!”, diceva sicuro, “non si fa condizionamenti mentali, se qualcosa le tocca il cuore profondamente non c’è forza che tenga!”.
L’ho visto commuoversi su canzoni che poi hanno avuto riscontro, perché lasciava che la sua “percezione” emotiva scegliesse cosa realizzare e come impreziosirla scegliendo i collaboratori e i musicisti migliori.
Ce ne fossero ancora di produttori così! La musica ne è orfana.
La sua lunga lezione importante mi ha nutrito per la vita e gliene sarò per sempre grata.