LONTANO, LONTANO
IL SAGGIATORE
Impossibile smentire quanto affermato dai curatori proprio all’inizio dell’introduzione: “Si è sempre detto molto a proposito di Luigi Tenco. A proposito e a sproposito. Ma quel che diceva lui è sempre passato in secondo piano”. Ecco allora un volume che per larghissima parte delle sue oltre quattrocento pagine lascia spazio al musicista scomparso nel gennaio del 1967, evitando ogni elucubrazione e illazione sulla sua tragica morte (ce ne sono state già fin troppe, no?) e concentrandosi invece su quanto da lui consegnato ai posteri in forma orale o scritta: interviste (rare, vista la sua risaputa ritrosia), dichiarazioni estemporanee, lettere, diari, tre soggetti per un film e addirittura dieci temini della quarta elementare. Insomma, un misto di materiali pubblici ricercati con devozione per sottrarli all’oblio e reperti privati forniti dagli eredi, e se qualcuno volesse vedere in questi ultimi uno strumento volto ad alimentare morbosi voyeurismi… be’, sarebbe fuori strada: i contenuti del tomo sono tutti finalizzati a fare quanta più chiarezza possibile sulla complessa, sfaccettata personalità dell’uomo e di conseguenza dell’artista. A corredo di quanto sopra, un pregnante saggio di Enrico De Angelis – il giornalista che ha ideato l’etichetta “canzone d’autore” e che, tra le mille cose, è stato per alcuni decenni il fulcro del Club Tenco – e un’approfondita cronologia curata dal suo titolato collega Enrico Deregibus, che con lui ha diviso gli oneri di questa avventura editoriale.
Su Luigi Tenco sono stati finora pubblicati parecchi libri, più o meno una trentina, ma Lontano, lontano fa storia a sé e non solo per il capriccio – che in fondo non è del tutto tale: definiamolo una mezza verità – di essere attribuito allo stesso carismatico cantante (e compositore, e poeta, e polistrumentista, e occasionale attore…) che ha impresso un segno incancellabile nella storia del songwriting italiano a dispetto di una produzione discografica limitata ad appena tre Lp usciti tra il 1962 e il 1966 (assai più numerosi i singoli, come del resto era normale nei Sixties). Leggendolo ci si imbatte in ulteriori attestazioni della sensibilità di Tenco e di come il suo approccio alla scrittura, assai poco convenzionale per i giorni nei quali “canzone” equivaleva per lo più a “canzonetta”, derivasse da convinzioni radicate dall’infanzia: emblematico il tema “La mia bicicletta”, in cui a nove anni – nel 1947: l’incubo della guerra era ancora recente – osservava come sarebbe stato meglio se al posto delle bombe portatrici di “distruzione e morte” si fossero costruite biciclette. Eloquenti sono pure le lettere, a partire da una di vibrante protesta inviata del 1960 alla direzione della rivista «Marie Claire», rea di aver diffuso un’intervista da lui mai rilasciata, che si conclude con “Dolente dell’accaduto, dovuto purtroppo alla Vs/convinzione (quasi pienamente giustificata, d’altronde) che in certi ambienti si abbia a che fare esclusivamente con i buffoni, Vi faccio a mia volta le scuse per il tenore di questa mia che avrei volentieri evitato, se non fosse il Vs/giornale diffuso e letto anche in famiglie di una certa serietà”. Ed è bello trovare, in un’intervista (autentica, questa volta) del 1962 a Radio Rai, sincere parole di stima non solo per l’amico Gino Paoli e per il maestro Domenico Modugno, ma pure per un altro “non allineato” quale Piero Ciampi, al tempo ancora attivo come Piero Litaliano. Questioni magari ben note agli esegeti, che in Lontano, lontano scopriranno comunque qualcosa di nuovo, e preziosissime per quanti di Tenco abbiano una visione superficiale, se non distorta.