CONOSCI te stesso!
Autostima è conoscenza di sé. Una conoscenza che nasce da un desiderio ardente, da un bisogno imprescindibile di tornare al centro della propria personalità. Il fulcro è l’a¯ tman, termine col quale ci si riferisce all’essenza spirituale dell’essere vivente, e che può ¯venire tradotto letteralmente con la locuzione “se stesso”. Atman è, quindi, sinonimo del greco autòs, e si contrappone al latino alius, “altro da sé”. In termini psicologici, tutto è spiegato nei su¯ tra III e IV dell’opera di Patañjali sullo Yoga:
«Quando lo yog governa con perizia i propri contenuti psichici, giunge a percepire l’essenza spirituale della propria personalità e dimora in essa. Altrimenti, se fallisce nella gestione delle dinamiche psichiche si identifica con queste (smarrendo la consapevolezza del suo sé più profondo)».
Autostima è quindi, prima di tutto, una questione di identità e consapevolezza.
Nella personalità umana possiamo riconoscere tre livelli di identità, i quali, quando armonizzati, permettono di esprimere le più alte potenzialità e sperimentare una piena soddisfazione.
UN MONDO DIVISO
La cultura e la società attuali sono dominate dal principio egoico (ahaṁkāra), falsamente identificante e radicalmente divisivo. Il falso ego è il tenebroso totem a cui tutto si sacrifica; una componente, in fin dei conti periferica, della nostra personalità, ma che, come un moderno dittatore, ha conquistato il centro del potere e vi si è abbarbicato diramando in ogni direzione la propria influenza.
È il principio produttore delle innumerevoli maschere che celano il nostro vero volto e che sono plasmate a partire dalla paradossale pretesa di rendere permanente ciò che per definizione è transeunte: l’io maschio, l’io femmina, l’io italiano, russo, ucraino, americano, l’io direttore di banca, l’io spazzino, l’io sano, l’io malato, l’io giovane, l’io vecchio.
L’ego è sempre in trasformazione eppure costantemente intento a mantenere lo status quo. In preda a una continua ansietà, è pronto a tutto pur di assicurarsi un’impossibile sopravvivenza, senza nessun riguardo per il bene e i bisogni altrui.
Questa componente periferica e superficiale della personalità, a prescindere dalle sue inconsistenti pretese di dominio incontrastato, è in realtà potentemente condizionata da strati ben più profondi e cospicui di psiche. Si tratta della componente inconscia, la quale può essere paragonata alla parte sommersa di un iceberg, lì dove l’ego ne rappresenta la minoritaria parte emersa e visibile.
L’AZIONE CHE CI IDENTIFICA
Il karmāśaya (letteralmente “ricettacolo delle azioni”) è quella dimensione profonda della psiche che si è andata costituendo in conseguenza di tutte le nostre azioni, quelle di cui abbiamo memoria e quelle di cui ci siamo dimenticati. Infatti, ogni azione compiuta, includendo in queste anche il pensare o il desiderare, rilascia nella psiche una traccia energeticamente carica (saṁskāra) che va a costituirsi come particella attiva della personalità e componente della struttura caratteriale. Quando azioni dello stesso genere, improntate per esempio alla collera o alla generosità, si susseguono, si accumulano saṁskāra di natura
Una persona dovrebbe servirsi della mente per liberarsi, non per degradarsi. La mente, infatti, può essere amica o nemica del sé. Bhagavad-gītā VI.5
Video di approfondimento da inserire con QR: “Le Qualità che vorresti avere... sono già in te!”. https://youtu. be/7LN4hzBn9Ko corrispondente creando, col tempo, una tendenza (vāsanā).
Queste tendenze rappresentano altrettante forze coattive, le quali agiscono in maniera del tutto indipendente rispetto alle pretese dell’ego e finiscono, non raramente, per sbaragliarlo, infrangendo le fragili maschere di cui si riveste per garantire la propria sopravvivenza. L’inconscio, quindi, costituisce un ulteriore e più profondo livello d’identità.
L’IO PROTAGONISTA
Il vero attore del viaggio della vita è, come abbiamo accennato, il sé spirituale o ātman, caratterizzato dall’eternità, dalla consapevolezza della natura divina propria e altrui,e da un’incondizionata gioia essenziale che non dipende da alcuna circostanza esterna. L’essere spirituale viene dotato di una struttura psicofisica per fare esperienza della dimensione materiale e riscoprire così la propria natura originaria. In lui dimorano tutte le qualità che, spesso oscurate dalle distorsioni egoiche, giacciono neglette, abbandonate. È a partire da questo centro energetico unitario che è possibile armonizzare la componente conscia e quella inconscia della personalità, appianando tutte le tensioni e recuperando tutte le risorse.
Questo avviene in virtù di un ben determinato processo trasformativo che conduce a una bonifica dei contenuti psichici e a una corrispondente rinnovata consapevolezza. È la sādhana, o disciplina yogica, a cui Patañjali dedica un’intera sezione della sua opera e che, fondata sull’autorevolezza dei testi sacri e dei Maestri che li hanno praticati e ne hanno realizzato gli insegnamenti, orienta le scelte dell’ego in senso evolutivo e consente di intervenire gradualmente, ma deliberatamente, sui contenuti inconsci, rendendoli coerenti alle nostre più alte aspirazioni e favorevoli alla realizzazione della nostra natura superiore.
LA GIUSTA DIREZIONE
La sādhana è, prima di tutto, acquisizione della retta conoscenza, quella che guida l’essere condizionato dalle tenebre alla luce, dall’illusione alla realtà. Senza conoscenza, infatti, nessun risultato può essere conseguito, così come senza una mappa nautica nessuna meta può essere raggiunta e il viaggio si trasforma, inevitabilmente, in un naufragio.
Ma la conoscenza, seppur necessaria, non è sufficiente.
A questa bisogna affiancare un retto agire, che sia coerente con l’obiettivo preposto. È indispensabile interrompere pratiche distruttive che allontanano l’essere vivente dalla consapevolezza di sé e lo sospingono verso identificazioni fallaci con il corpo e con i contenuti psichici. Contemporaneamente, bisogna attivare comportamenti virtuosi che vanno a sostituire vecchie cattive abitudini, sottraendo loro energia.
Non si tratta solo di modificare il proprio stile di vita in chiave evolutiva, in modo da gestire al meglio le risorse attualmente disponibili, ma di dedicarsi altresì a esercizi spirituali quali, per esempio, la pratica di specifici mantra, che ci aiutino a destrutturare i condizionamenti già operanti e a liberare così ulteriori energie da reinvestire nel medesimo, unico progetto.
Impegnando le proprie risorse nella l’ego e l’inconscio (ahaṁkāra karmāśaya) da cause di sofferenza e smarrimento diventano strumenti preziosi di rinascita e illuminazione, lungo un cammino che conduce alla meta suprema dell’Amore divino. Lo Yoga dell’Amore, infatti, è caratterizzato dall’inclusività piuttosto che dalla negazione.
La materia psico-fisica (prakṛti) non dev’essere rifiutata, ma compresa come di origine divina e posta al servizio del sommo Bene, individuale e collettivo, un laboratorio in cui praticare e sviluppare i nostri più nobili sentimenti verso Dio e tutte le sue creature. ✹
esādhana,