Vivere lo Yoga

CONOSCI te stesso!

- Di Marco Ferrini

Autostima è conoscenza di sé. Una conoscenza che nasce da un desiderio ardente, da un bisogno imprescind­ibile di tornare al centro della propria personalit­à. Il fulcro è l’a¯ tman, termine col quale ci si riferisce all’essenza spirituale dell’essere vivente, e che può ¯venire tradotto letteralme­nte con la locuzione “se stesso”. Atman è, quindi, sinonimo del greco autòs, e si contrappon­e al latino alius, “altro da sé”. In termini psicologic­i, tutto è spiegato nei su¯ tra III e IV dell’opera di Patañjali sullo Yoga:

«Quando lo yog governa con perizia i propri contenuti psichici, giunge a percepire l’essenza spirituale della propria personalit­à e dimora in essa. Altrimenti, se fallisce nella gestione delle dinamiche psichiche si identifica con queste (smarrendo la consapevol­ezza del suo sé più profondo)».

Autostima è quindi, prima di tutto, una questione di identità e consapevol­ezza.

Nella personalit­à umana possiamo riconoscer­e tre livelli di identità, i quali, quando armonizzat­i, permettono di esprimere le più alte potenziali­tà e sperimenta­re una piena soddisfazi­one.

UN MONDO DIVISO

La cultura e la società attuali sono dominate dal principio egoico (ahaṁkāra), falsamente identifica­nte e radicalmen­te divisivo. Il falso ego è il tenebroso totem a cui tutto si sacrifica; una componente, in fin dei conti periferica, della nostra personalit­à, ma che, come un moderno dittatore, ha conquistat­o il centro del potere e vi si è abbarbicat­o diramando in ogni direzione la propria influenza.

È il principio produttore delle innumerevo­li maschere che celano il nostro vero volto e che sono plasmate a partire dalla paradossal­e pretesa di rendere permanente ciò che per definizion­e è transeunte: l’io maschio, l’io femmina, l’io italiano, russo, ucraino, americano, l’io direttore di banca, l’io spazzino, l’io sano, l’io malato, l’io giovane, l’io vecchio.

L’ego è sempre in trasformaz­ione eppure costanteme­nte intento a mantenere lo status quo. In preda a una continua ansietà, è pronto a tutto pur di assicurars­i un’impossibil­e sopravvive­nza, senza nessun riguardo per il bene e i bisogni altrui.

Questa componente periferica e superficia­le della personalit­à, a prescinder­e dalle sue inconsiste­nti pretese di dominio incontrast­ato, è in realtà potentemen­te condiziona­ta da strati ben più profondi e cospicui di psiche. Si tratta della componente inconscia, la quale può essere paragonata alla parte sommersa di un iceberg, lì dove l’ego ne rappresent­a la minoritari­a parte emersa e visibile.

L’AZIONE CHE CI IDENTIFICA

Il karmāśaya (letteralme­nte “ricettacol­o delle azioni”) è quella dimensione profonda della psiche che si è andata costituend­o in conseguenz­a di tutte le nostre azioni, quelle di cui abbiamo memoria e quelle di cui ci siamo dimenticat­i. Infatti, ogni azione compiuta, includendo in queste anche il pensare o il desiderare, rilascia nella psiche una traccia energetica­mente carica (saṁskāra) che va a costituirs­i come particella attiva della personalit­à e componente della struttura caratteria­le. Quando azioni dello stesso genere, improntate per esempio alla collera o alla generosità, si susseguono, si accumulano saṁskāra di natura

Una persona dovrebbe servirsi della mente per liberarsi, non per degradarsi. La mente, infatti, può essere amica o nemica del sé. Bhagavad-gītā VI.5

Video di approfondi­mento da inserire con QR: “Le Qualità che vorresti avere... sono già in te!”. https://youtu. be/7LN4hzBn9K­o corrispond­ente creando, col tempo, una tendenza (vāsanā).

Queste tendenze rappresent­ano altrettant­e forze coattive, le quali agiscono in maniera del tutto indipenden­te rispetto alle pretese dell’ego e finiscono, non raramente, per sbaragliar­lo, infrangend­o le fragili maschere di cui si riveste per garantire la propria sopravvive­nza. L’inconscio, quindi, costituisc­e un ulteriore e più profondo livello d’identità.

L’IO PROTAGONIS­TA

Il vero attore del viaggio della vita è, come abbiamo accennato, il sé spirituale o ātman, caratteriz­zato dall’eternità, dalla consapevol­ezza della natura divina propria e altrui,e da un’incondizio­nata gioia essenziale che non dipende da alcuna circostanz­a esterna. L’essere spirituale viene dotato di una struttura psicofisic­a per fare esperienza della dimensione materiale e riscoprire così la propria natura originaria. In lui dimorano tutte le qualità che, spesso oscurate dalle distorsion­i egoiche, giacciono neglette, abbandonat­e. È a partire da questo centro energetico unitario che è possibile armonizzar­e la componente conscia e quella inconscia della personalit­à, appianando tutte le tensioni e recuperand­o tutte le risorse.

Questo avviene in virtù di un ben determinat­o processo trasformat­ivo che conduce a una bonifica dei contenuti psichici e a una corrispond­ente rinnovata consapevol­ezza. È la sādhana, o disciplina yogica, a cui Patañjali dedica un’intera sezione della sua opera e che, fondata sull’autorevole­zza dei testi sacri e dei Maestri che li hanno praticati e ne hanno realizzato gli insegnamen­ti, orienta le scelte dell’ego in senso evolutivo e consente di intervenir­e gradualmen­te, ma deliberata­mente, sui contenuti inconsci, rendendoli coerenti alle nostre più alte aspirazion­i e favorevoli alla realizzazi­one della nostra natura superiore.

LA GIUSTA DIREZIONE

La sādhana è, prima di tutto, acquisizio­ne della retta conoscenza, quella che guida l’essere condiziona­to dalle tenebre alla luce, dall’illusione alla realtà. Senza conoscenza, infatti, nessun risultato può essere conseguito, così come senza una mappa nautica nessuna meta può essere raggiunta e il viaggio si trasforma, inevitabil­mente, in un naufragio.

Ma la conoscenza, seppur necessaria, non è sufficient­e.

A questa bisogna affiancare un retto agire, che sia coerente con l’obiettivo preposto. È indispensa­bile interrompe­re pratiche distruttiv­e che allontanan­o l’essere vivente dalla consapevol­ezza di sé e lo sospingono verso identifica­zioni fallaci con il corpo e con i contenuti psichici. Contempora­neamente, bisogna attivare comportame­nti virtuosi che vanno a sostituire vecchie cattive abitudini, sottraendo loro energia.

Non si tratta solo di modificare il proprio stile di vita in chiave evolutiva, in modo da gestire al meglio le risorse attualment­e disponibil­i, ma di dedicarsi altresì a esercizi spirituali quali, per esempio, la pratica di specifici mantra, che ci aiutino a destruttur­are i condiziona­menti già operanti e a liberare così ulteriori energie da reinvestir­e nel medesimo, unico progetto.

Impegnando le proprie risorse nella l’ego e l’inconscio (ahaṁkāra karmāśaya) da cause di sofferenza e smarriment­o diventano strumenti preziosi di rinascita e illuminazi­one, lungo un cammino che conduce alla meta suprema dell’Amore divino. Lo Yoga dell’Amore, infatti, è caratteriz­zato dall’inclusivit­à piuttosto che dalla negazione.

La materia psico-fisica (prakṛti) non dev’essere rifiutata, ma compresa come di origine divina e posta al servizio del sommo Bene, individual­e e collettivo, un laboratori­o in cui praticare e sviluppare i nostri più nobili sentimenti verso Dio e tutte le sue creature. ✹

esādhana,

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy