Vivi Milano

BUSCETTA, FEDELE A SE STESSO

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Ogni tanto Marco Bellocchio si tuffa nella nostra storia usandola come invisibile contesto: con «Il traditore» cerca di dare un’identità alla sanguinari­a vita del «boss dei due mondi» Tommaso Buscetta, il pentito dei pentiti, colui che con le sue rivelazion­i permise a Falcone e Borsellino di scoperchia­re la struttura omicida di Cosa Nostra. I fatti malavitosi più o meno si ricordano, i delitti, le feste, la fuga in Brasile, la «redenzione», l’incontro con la Giustizia. Ma Buscetta non è una figura facile da decodifica­re, quello che interessa all’autore sono i suoi molti tradimenti, della famiglia naturale, coi due figli mandati al massacro, e della «famiglia» mafiosa, fino al famoso maxi processo in cui fu imputata pure una parte dell’Italia politica. Il film è a prima vista un biopic alla Rosi, la vita d’un uomo che a suo modo non ha voluto tradire se stesso e a cui Favino offre un’immagine emotiva ma anche critica. Certo Bellocchio non c’entra nulla con le vicende giudiziari­e, coi mali endemici italiani; ma a lui, che spesso ha parlato dei tradimenti, dei rimorsi, dei ricatti e dei rimpianti che si allevano in famiglia, con i pugni in tasca e fuori, delle nevrosi coltivate a porte chiuse, importa descrivere un personaggi­o dalla psicologia sfuggente e contraddit­toria. I suoi sensi di colpa e il sovrappors­i tra vita privata e pubblica dell’uomo che ha tradito tutti ma che a tutt’oggi rimane un mistero psicanalit­ico i cui meandri il dubbioso film esplora.

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