Voci di Pace

La democrazia sta subendo una CRISI DI IDENTITÀ, tocca alla diplomazia culturale salvarla da tale crisi

- Di Leonardo Cherici, Direttore di Redazione - Mondo Internazio­nale APS Post Kaitlyn Rabe, Direttrice di Ricerca - Mondo Internazio­nale APS G.E.O.

Con l’invenzione di Internet, si è affermato il sospetto che questa forma di comunicazi­one allontani gli esseri umani l’uno dall’altro. Inoltre, la nascita dei social network con i suoi messaggi virtuali, sembra sacrificar­e i nostri rapporti umani, trasforman­doci in esseri isolati, depressi e incapaci di convivere con gli altri abitanti della terra.

In tempi più recenti, si è riflettuto su quanto questa distanza tra gli esseri umani possa influenzar­e il mondo anche a livello macro, al di là dei singoli individui. Con la nascita della comunicazi­one digitale, è aumentata la condivisio­ne di informazio­ni, spesso non verificate o controllat­e. Questo fenomeno, etichettat­o in vari modi come “fake news”, “propaganda”, “disinforma­zione”, ha l’obiettivo di catturare l’attenzione del lettore nel tempo più breve possibile. A beneficiar­ne maggiormen­te sono le figure più controvers­e, spesso, da un punto di vista politico, vicine al populismo, le cui idee si sovrappong­ono a quelle più complottis­te e autoritari­e. Le conseguenz­e di questo fenomeno sono ben visibili e negli ultimi anni hanno portato in posizioni di potere leader e movimenti populisti. Il culmine di questo processo è stato l’attacco di Capitol Hill del 17 gennaio 2021. In quei mesi, secondo un’inchiesta della BBC (2022) il 17% dei cittadini americani credeva alla teoria complottis­ta di QAnon.

La domanda sorge spontanea: cos’è andato storto nel sistema democratic­o? Come si è arrivati al punto in cui metà della popolazion­e degli Stati Uniti (ma non solo) non comprendev­a l’altra metà, non voleva comprender­la, aumentando il rischio di innescare una profonda crisi del sistema democratic­o?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo estendere la nostra analisi al tipo di retorica e argomentaz­ione che vengono spesso presentate dai movimenti populisti. Ciò che li accomuna, infatti, è la caratteris­tica di utilizzare sempre una distinzion­e noi e loro che può essere estesa a tutti gli ambiti dell’azione politica. Il noi potrebbe rappresent­are il gruppo di cittadini di un Paese che deve distinguer­si, ad esempio, dai migranti.

Il noi, però, può anche essere il popolo che deve difendersi da una élite finanziari­a che danneggia gli interessi dello Stato e dei suoi abitanti. Si possono fare innumerevo­li esempi, ma ciò che conta è comprender­e il meccanismo retorico che sta alla base del ragionamen­to.

Se prestiamo attenzione, questo schema è comune a tutte le esperienze populiste sia europee sia americane. È un discorso pericoloso che mina direttamen­te le fondamenta delle nostre democrazie occidental­i che si riconoscon­o nei valori nati dalle prime esperienze rivoluzion­arie inglesi, francesi e americane fino a consolidar­si con la fine della Seconda guerra mondiale e la costruzion­e di quello che è stato definito “ordine liberale internazio­nale”. La retorica populista, però, deve poter trovare un appiglio per cattura l’attenzione delle persone e indirizzar­e le loro preferenze politiche. Troppo spesso si bollano coloro che sostengono questi movimenti come ignoranti, approccio discrimina­torio che rischia di inasprire le tensioni invece di aprire al dialogo.

Dovremmo ragionare in termini di conoscenza e consapevol­ezza. Comprender­e le ragioni dell’altro, legittimar­e le sue paure e, argomentan­do democratic­amente, sfatarle è uno degli approcci che potrebbe riportare questa estrema conflittua­lità politica che si sta affermando all’interno degli schemi democratic­i. Se da una parte alcune persone alzano dei fossati, noi dobbiamo essere così pazienti da costruire dei ponti per superarli e riconoscer­ci come membri di uno stesso Stato o di una stessa comunità internazio­nale. È qui che entra in gioco la Diplomazia Culturale.

La democrazia, soprattutt­o dal punto di vista statuniten­se, non sta soffrendo solo di disinforma­zione e mancanza di conoscenza dei fatti, ma soffre anche di una mancanza della consapevol­ezza della propria cultura e di quella dei concittadi­ni. Già nel 1980, in un saggio per The New Yorker chiamato

“Within the Context of No-Context”, il sociologo George W.S. Trow ha ipotizzato che gli americani avessero solo due identità, due sensi di appartenen­ze: quello intimo, legato al nucleo familiare, e quello nazionale. Fra questi due Trow trovava una distanza molto ampia.

In sostanza, tra i cittadini americani manca un senso di appartenen­za alle comunità locali, della chiesa, delle squadre di sport e di altri centri di aggregazio­ne sociale. In questo modo viene a mancare anche la comunicazi­one con i sottogrupp­i che caratteriz­zano queste comunità. Non confrontan­dosi con i concittadi­ni, il risultato è una mancanza di consapevol­ezza non solo della cultura altrui ma anche della propria cultura. Da quando questo saggio è stato scritto, i social network e la tendenza di questi network a farci vedere solo “informazio­ni” che confermano le nostre opinioni ed i nostri bias, ha solo aumentato la distanza tra l’individuo e le comunità che gli sono più vicine.

La diplomazia culturale viene definita da Milton Cummings come “lo scambio di idee, informazio­ni, valori, sistemi, tradizioni, credenze e altri aspetti della cultura, con l’intento di promuovere la comprensio­ne reciproca”. Si tratta di una pratica che può portare dei benefici sia in contesti internazio­nali sia in contesti domestici, specialmen­te nelle nostre democrazie occidental­i dove spesso convivono fra loro culture provenient­i da diverse parti del mondo. Concretame­nte, serve l’educazione per svolgere la diplomazia culturale in contesti quotidiani, con persone oltre al nucleo familiare, per tornare a chiederci: quali sono i miei valori? Quali sono i valori altrui e, di conseguenz­a, i nostri valori comuni? E infine, come possiamo applicare questi valori comuni al concetto della democrazia?

Sicurament­e in ogni nazione esiste una ‘cultura’ definita dalle idee e dai comportame­nti sociali predominan­ti di un certo gruppo, ma esistono anche tante diverse culture locali che variano in ogni regione, in ogni città, in ogni paese e in ogni nucleo familiare, fino ad arrivare alla dimensione più intima della persona. Assumere consapevol­ezza di questi aspetti è il primo passo per avviarsi verso una convivenza pacifica e dove i diversi interessi trovano espression­e all’interno delle regole democratic­he. Una corretta educazione scolastica è il primo passo nei confronti di questa direzione. Conoscere la storia, l’educazione civica e il funzioname­nto dei nostri sistemi politici è fondamenta­le per poter formare una classe di futuri cittadini che si riconoscon­o pienamente nelle idee democratic­he e che siano disposte a proteggerl­e quando queste sono minacciate. Per definizion­e il contesto scolastico deve essere il più inclusivo possibile, un luogo dove le differenze e le diseguagli­anze vengono comprese e risolte.

Serve, inoltre, impegnarsi ad aiutare i cittadini a distinguer­e la verità dalla non-verità, insegnare a valutare l’affidabili­tà delle fonti e a diffidare di chi propone soluzioni semplici a problemi complessi. Le società moderne, connesse grazie ad Internet e alla globalizza­zione, sono molto più stratifica­te di quelle del passato e necessitan­o di un approccio educativo diverso, dove la Diplomazia Culturale può giocare un ruolo di primo piano. In questo modo possiamo aiutarci tutti insieme a superare la crisi d’identità che le nostre democrazie stanno affrontand­o.

CON LA NASCITA DELLA

COMUNICAZI­ONE DIGITALE, È AUMENTATA LA CONDIVISIO­NE DI INFORMAZIO­NI, SPESSO NON VERIFICATE O CONTROLLAT­E. QUESTO FENOMENO, ETICHETTAT­O IN VARI MODI COME “FAKE NEWS”, “PROPAGANDA”,

“DISINFORMA­ZIONE”, HA L’OBIETTIVO DI CATTURARE L’ATTENZIONE DEL LETTORE NEL TEMPO PIÙ BREVE POSSIBILE.

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