LA NATURA DELL’UOMO È AGGRESSIVA?
Esplorando l’origine dell’aggressività umana: un viaggio dal regno animale all’uomo moderno
Immaginate di essere completamente circondati dal verde di una foresta così tanto immacolata da farvi credere di essere i primi esseri umani nella storia a metterci piede. Immaginate ora di restarvi, di conoscere le meravigliose creature che abitano quel luogo e di decidere di dedicare la vostra esistenza allo studiarle. Ecco, la vita della celeberrima etologa Jane Goodall, oggi ormai novantenne, si è svolta più o meno così. È il 1960. Alla Goodall viene concesso l’incarico di osservare nella maniera più naturalistica possibile la comunità di scimpanzé Kasakela del Gombe Stream National Park in Tanzania.
Per i successivi 30 anni l’occupazione principale della studiosa inglese sarà proprio questa. Nei primi 14 anni di osservazioni il comportamento degli scimpanzé (tra i primati più vicini, geneticamente parlando, all’uomo*) non destò alcun tipo di clamore, tanto da portare la Goodall ad affermare “che gli scimpanzé di Gombe fossero per la maggior parte più gentili degli esseri umani”. Come continua la storia? Nel 1974 si verificò un evento così tanto inaspettato e cruento che provocò alla Goodall incubi per molti anni a venire. Leggendo le parole della studiosa inglese scopriamo che: “Satan raccoglieva con le mani giunte il sangue dal mento di Sniff, che colava da una grossa ferita sulla sua faccia, per berlo; il vecchio Rodolf, di solito così benevolo, si ergeva in piedi per lanciare una pietra di quattro libbre sul corpo a terra di Godi; Jomeo strappava un lembo di pelle dalla coscia di Dé Figan caricava e colpiva, ancora e ancora, il corpo battuto e convulso di Goliath, uno degli eroi della sua infanzia”.
Chi sono Satan, Sniff e gli altri nomi citati? La Goodall si era forse imbattuta in una qualche guerra tra cacciatori-raccoglitori che vivevano nella zona da lei studiata? No, niente di tutto questo. Satan, Sniff e gli altri sono i nomi che la studiosa aveva dato ai vari scimpanzé di cui quotidianamente osservava la vita. Nel 1974, infatti, scoppiò una guerra fra due fazioni che prima facevano parte di uno stesso gruppo.
Nel giro di quattro anni la popolazione della comunità dei “Kahama” fu spazzata via dalla comunità “Kasakela”. Tutti i sei scimpanzé maschi adulti della prima furono uccisi dalla comunità nemica, forte di otto maschi adulti. In questo conflitto ritroviamo molte delle dinamiche che gli studenti di tutto il mondo affrontano imbattendosi nello studio delle innumerevoli guerre condotte dall’Uomo: l’inizio delle frazioni (1971 nel caso dei Gombe), il casus belli (l’uccisione di Godi, appartenente ai Kahama, da parte di sei maschi Kasakela) la completa devastazione del nemico e la ridistribuzione del territorio alla fine della guerra. Le somiglianze sono incredibili.
Per millenni i filosofi si sono interrogati sulle motivazioni fondanti dello scoppio dei conflitti, ricercando nei nostri antenati le più varie risposte in merito a questo controverso tema. L’archeologia è riuscita a restituirci un dato relativo ai primi homo sapiens che si sa per certo essere stati in conflitto tra loro: i primi massacri fra cacciatori-raccoglitori sono testimoniati nel Nord del Sudan, precisamente nell’antico sito cimiteriale di Jebel Sahabam dove 58 uomini donne e bambini furono seppelliti circa 14 mila anni fa. Le azioni di guerra fra gli aborigeni sono comuni, e la celebrazione per una vittoria diviene motivo, ancora oggi, di distruzione totale e priva di vergogna del nemico.
Una parte di studiosi odierni riferisce questi fatti come causa dell’impossibilità di poter vedere La Pace sulla Terra. Ma è davvero così? Siamo predeterminati (nel senso calvinista del termine) all’essere una società fondata sulla guerra? Aveva ragione Hobbes quando, citando Plauto, diceva “Homo homini lupus”? L’aggressività umana è derivata dagli animali? Se il presente articolo si concludesse qui, voi lettori avreste la possibilità di citare esempi sia di primati in conflitto fra loro sia di antichi uomini che si massacrarono. Potreste senza dubbio riportare le dimostrazioni che ho sopra riportato come fatti fondanti l’aggressività umana e vincere ogni sorta di dibattito contro coloro che promuovono la Pace nel mondo.
Da ora in avanti il mio obiettivo è smontare la tesi precedente, partendo dal regno animale, per arrivare alle società primitiva e infine all’uomo. Partiamo dal presupposto che l’animale geneticamente più vicino all’uomo non è lo scimpanzé di cui ho parlato sopra. In realtà, con ben il 98,7% dei geni in comune con l’uomo, a spuntarla è il “Bonobo”.
Il nostro parente più stretto è tipico dell’Africa centrale ed è uno degli animali maggiormente noti per le relazioni pacifiche tra le società che nel corso dei milioni di anni si sono create. In effetti, studi approfonditi sul comportamento sociale dei Bonobo, affermano che le comunità di questi animali si mischiano apertamente e, pur avendo dei territori con limiti ben stabiliti, i bonobo passano da un confine all’altro senza il benché minimo problema, emettendo delle semplici vocalizzazioni, riconosciute dagli appartenenti alle altre comunità. Fatto strabiliante, i bonobo donano il cibo raccolto nel proprio territorio agli “stranieri” in visita, e viceversa. Lo scambio è reciproco, un indicatore dell’incredibile capacità di questi animali di costruire relazioni sociali con i propri vicini.
La Pace si è senza dubbio realizzata e la capacità di tolleranza reciproca è massima. È quindi possibile che animali così simili a noi abbiano delle capacità collaborative insite che noi abbiamo perso? La tesi di una aggressività “primitiva” (derivata dagli animali) non regge. E non regge soprattutto perché i bonobo non sono l’unica specie in cui le comunità collaborano per un fine comune: i gelada, ad esempio, sono in grado di ignorare gli estranei. Tra questi primati la competizione sul cibo è nulla. I capodogli di diverse comunità si coalizzano per cacciare. Insomma, esistono migliaia di esempi in cui animali appartenenti a diversi gruppi, pur di raggiungere il proprio fine, depongono le divergenze (che in molti casi, come nei bonobo, non esistono neanche) e si alleano. Negli uomini “primitivi” esistono casi di collaborazione tra popolazioni diverse? Sì. Nella regione del monte Eccles cinque diversi gruppi di aborigeni australiani, raccoglitori di anguille, cooperarono per la realizzazione di impianti idrici volti alla pesca. Cinque gruppi, ognuno diverso dall’altro, ognuno con una lingua propria, che si aiutano reciprocamente per procacciarsi il cibo. Anche in questo caso, La Pace si è realizzata. Il benessere di uno di questi cinque gruppi dipendeva anche dallo sforzo degli altri quattro, un sistema di interdipendenza rudimentale che ricorda i moderni scambi commerciali.
La burocrazia attorno al monte Eccles doveva senza dubbio funzionare ottimamente. Non è vero che deriviamo unicamente da “bestie” che si uccidono da millenni. Nell’uomo la gestione dei contatti con i propri vicini è la prima forma di Pace. Restiamo in Australia per capire meglio quest’ultimo punto. Ci sono esempi di filantropia sulle Snowy Mountains dell’Australia. Ogni anno le falene del Bogong compiono voli sulle pendici di queste montagne, così numerose da essere catturate e mangiate a volontà. La popolazione stanziata in questi luoghi assegnava delle postazioni di cattura anche a coloro che, pur non facenti parte della loro comunità, desiderassero cibarsi. Per circa mille anni forestieri dalle zone confinanti con questi monti si sono recati nei posti loro assegnati e si sono sfamati grazie alla generosità degli abitanti delle Snowy Mountains. Era dovuto? No. Un essere con insita nel proprio animo l’aggressività sarebbe in grado di fare tanto? Gli esempi di scambi reciproci nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori sono innumerevoli.
Benjamin Franklin disse che nessuna nazione è mai stata rovinata dal commercio. Il commercio è stata proprio la fase preliminare per la realizzazione delle micro-Paci che ci sono state finora sulla Terra. E nell’uomo moderno? Stante che la Pace non sia un’utopia che mai è stata realizzata (come abbiamo visto) è necessario definire alcuni punti fondamentali per la collaborazione tra le nazioni moderne. Kant ne “Per la Pace Perpetua” affermava che l’unico modo per garantire un equilibrio mondiale fosse l’istituzione di un ente sovranazionale che potesse controllare la cooperazione fra i diversi Stati. Non è un caso che il momento più alto delle società occidentali nell’ultimo millennio sia parallelo all’istituzione dell’ONU.
Historia magistra vitae diceva Cicerone. Basta guardarsi poco indietro per capire di che orrori è in grado l’uomo. Solo 80 anni fa si è concluso il conflitto più sanguinoso di sempre**. Facendo esperienza del passato bisogna riconoscere quelli che sono i vantaggi della Pace rispetto al conflitto. Questa deve essere un’operazione completamente razionale. Pensiamola da un punto di vista numerico: nel 1970 la popolazione mondiale si aggirava sui 3 miliardi, oggi siamo circa 8. La Pace non porta che vantaggi alla nostra specie, è necessario chiarirlo partendo dallo smontare le teorie che ci vedono come specie con una natura intrinsecamente aggressiva le quali sono totalmente prive di fondamento.
* Si stima che il 98,6% del DNA dell’uomo e dello scimpanzé sia in comune
** Si stima che le perdite di vite umane direttamente causate dalla Seconda Guerra Mondiale si aggirino intorno a 70 milioni di vittime.
... ESISTONO MIGLIAIA DI ESEMPI IN CUI ANIMALI APPARTENENTI A DIVERSI GRUPPI, PUR DI RAGGIUNGERE IL PROPRIO FINE, DEPONGONO LE DIVERGENZE (CHE IN MOLTI CASI, COME NEI BONOBO, NON ESISTONO NEANCHE) E SI ALLEANO.