SCREEN REPORT. Agents provocateurs, by Maria Grazia Meda.
Quattro attrici americane usano i cliché più maleducati della comicità maschile per fare a pezzi i canoni di quella femminile
Sta accadendo qualcosa di strano a Hollywood. Nell’elenco dei nomi bankable ci sono delle autrici/attrici comiche. Intendiamoci sul termine: non stiamo parlando della comicità sofisticata delle brillanti commedie d’antan, né delle più recenti “rom-coms” costruite su modelli rodati, fatti di malintesi e amori difficili, che mai vanno oltre i limiti del bon ton. La comicità di cui parliamo è ferocemente sguaiata e scurrile, all’insegna di uno spirito goliardico che nel nostro immaginario, e nelle regole non scritte dell’etichetta, ha una matrice esclusivamente maschile. Invece no, non più. Tutti i cliché utilizzati in un certo genere di commedie – binge drinking, cattiva alimentazione, logorrea farcita di epiteti, disorganizzazione e trasandatezza, non conoscere il nome della persona portata a letto… – sono declinati al femminile. L’esempio più lampante è stato offerto da Amy Schumer, autrice e interprete di “Un disastro di ragazza”, film a budget relativamente basso che ha già registrato un incasso di 150 milioni di dollari. E i produttori hollywoodiani hanno drizzato le orecchie. Alcune scene iniziali definiscono il quadro dell’esistenza della protagonista: è spesso ubriaca e ancor più spesso rimorchia sconosciuti, di cui si sbarazza subito dopo averci fatto sesso. Se per errore è ancora con uno di questi al mattino gli spiega, trattenendo la nausea post-sbornia, che non serve a nien- te scambiarsi i numeri di cellulare tanto lei non ha alcuna intenzione di rivederlo. È il cliché, ieri maschile, fatto femmina, con battute graffianti, momenti di goliardica ilarità e nessuno stato d’animo. E funziona – anche l’intellettualissimo “New Yorker” ha avuto commenti molto positivi – perché al di là delle gag irriverenti, Schumer, dopo aver invertito i ruoli, piccona con gioia e talento le fondamenta del maschilismo, compito in cui eccelle già da tre anni con la serie tv “Inside Amy Schumer”. Uno dei suoi sketch più famosi s’intitola “Last F**kable Day”, ovvero perché un’attrice oltre i quarant’anni non è più considerata “f**kable”, ed è ridotta ad accettare ruoli dove non è più oggetto di desiderio, ma figura materna rassicurante. Nello sketch, Schumer ha incluso due nomi noti della tv americana: Julia Louis-Dreyfus – famosa per la serie “Seinfeld”, oggi star di “Veep - Vicepresidente incompetente”, con cui ha vinto quattro Emmy consecutivi – e Tina Fey, altra potenza della comicità made in Usa. Soprannominata “First Lady of Comedy” – storiche le sue imitazioni di Sarah Palin – Fey lavora spesso in coppia con Amy Poehler: le vedremo presto insieme nella commedia “Le sorelle perfette”. Con registri diversi – Amy ipersessualizza ogni situazione, mentre Tina e Julia giocano la carta della donna asessuata –, le tre attrici denunciano, ridico- lizzandoli, i canoni estetici e anagrafici imperanti. Celebre la battuta di Fey sul film “Gravity”: «È la storia di George Clooney che preferisce perdersi nello spazio pur di non stare accanto a una donna over 40». Grazie alla loro visibilità e al loro potere mediatico, queste autrici attirano l’attenzione del pubblico sulle disparità tra i sessi – d’ordine estetico, economico, gerarchico – usando la migliore arma a loro disposizione: lo humour. Se le battute sono esilaranti, il messaggio è ferocemente vero. «They bring brains», dicono i critici americani: ci fanno ridere e ci fanno pensare.