ALL MAD ABOUT. Joyful decluttering, by Francesca Reboli.
Minimalismo come filosofia di vita e premessa di felicità. Nuovi libri insegnano la rivoluzione silenziosa dell’antiaccumulo
Possiamo chiamarla estetica del vuoto, ispirandoci alle filosofie orientali che teorizzano la sospensione, la pausa, come momento generatore di equilibrio e creatività. Oppure “magico potere del riordino”, per usare le parole della guru giapponese dell’organizzazione Marie Kondo. È la pratica del decluttering radicale, premessa non solo di pulizia domestica, ma di empowerment mentale. Dopo i suoi connazionali, che abitano in stanze minuscole e inverosimilmente stipate, Kondo ha “indottrinato” gli americani e ora registra un picco di popolarità in Europa. Complice l’annuncio del suo secondo manuale (“Spark Joy”, in arrivo nei prossimi mesi per Vallardi), cresce la frenesia antiaccumulo. “Sgombrare l’armadio, sgombrare la mente”, recita il passaparola. La pratica del riordino, elevata a norma etica, annuncia una rivoluzione silenziosa, così condensabile: eliminate l’inutile, mettete in ordine ciò che resta – abiti, libri, scartoffie, ricordi – e altri cambiamenti, non solo formali, verranno. Sotto il far- dello della roba ritroverete voi stessi. Il successo del metodo Kondo è racchiuso nella sua (ambiziosa) promessa: il reset dell’intera esistenza. E in un impianto ecumenico che unisce zen e shintoismo (per cui ogni oggetto, anche inanimato, è una manifestazione del divino) con la più laica mindfulness. Da qualunque versante lo si prenda, spirituale o pratico, è un salutare rito di purificazione: sentirsi sgombri non può che aumentare il senso di benessere generale. Anche perché le ricadute sono immediate, e comode. Esempio: applicate il metodo al cassetto delle sciarpe. Eliminate quelle che non usate più, piegate le altre come origami e disponetele in verticale. Risultato: ritroverete capi sepolti in fondo al cassetto, e vi basterà un solo colpo d’occhio per passarli in rassegna tutti. Ordine, pulizia, soddisfazione immediata, endorfine in circolo, gioia. Perché è proprio la gioia il criterio di base, la chiave, per “kondizzare” casa e decidere se tenere, o scartare, una camicia, un libro, un piatto. Chiedetevi: “Questo oggetto mi rende felice?”; se non lo fa più, finirà eliminato o meglio ancora regalato. Il criterio va applicato con rigore, non sono ammessi tentennamenti. Il metodo è radicale, si è detto, altrimenti non permetterebbe di sperimentare la gioia «dell’infinitamente poco», come spiega un’altra guru del minimalismo esistenziale, Dominique Loreau, francese da anni trapiantata in Giappone e ormai intrisa di cultura orientale. Questo mese pubblica un pamphlet (“L’infinitamente poco”, Vallardi) che raccomanda la liberazione dalle cose che intasandoci la mente bloccano creatività e felicità. «L’infinitamente poco vi consentirà di accedere a uno stato di rinnovamento infinito. È sicuramente un capovolgimento di valori, ma è proprio quell’umiltà a condurre al distacco interiore, alla filosofia del non avere, alla disponibilità grazie alla mancanza (o quasi) di legami fissi». Più liberi, più sereni. D’accordo, da dove si comincia? Per gli absolute beginners, Vestiaire Collective, sito di social shopping di moda di lusso di seconda mano, lancerà a marzo un piccolo volume: una guida pratica meno esigente e intimorente dei Kondo-precetti. Realizzata con una blogger esperta come Anuschka Rees di Into Mind (into-mind.com), insegna il detox ragionato dell’armadio. Scopo: costruire il guardaroba perfetto, minimalista e sostenibile. E affermare un giorno, con De André, «quello che non ho è quel che non mi manca».