VOGUE (Italy)

INTO SOCIETY. Happy by numbers, by Federico Geremei.

Le scienze sociali trovano sempre nuovi indici e formule statistich­e per stilare classifich­e dei luoghi più felici al mondo. Sono affidabili? E come funzionano?

- By Federico Geremei

Una semplice ma esaustiva introduzio­ne alla psicologia positiva, quella che offre Ilona Boniwell nel saggio “La scienza della felicità” (Il Mulino). Le parole chiave? Soddisfazi­one, autostima, ottimismo, saggezza, tolleranza. E capitoli che si chiedono, per esempio: “La felicità è necessaria o sufficient­e?” «È un biglietto d’auguri pieno di cuori la felicità / è una telefonata non aspettata la felicità». Era il 1982 e Romina Power non aveva dubbi. Negli anni a venire le nostre abitudini sono cambiate, ma se al “biglietto d’auguri” sostituiam­o un messaggino su WhatsApp, e ai “cuori” una raffica di emoji (lo smile che piange dal ridere è la parola dell’anno 2015 per l’Oxford Dictionary), i termini dell’equazione restano gli stessi. Quale sia la formula, invece, ce lo chiediamo ogni anno, scorrendo le classifich­e sui posti più felici del mondo. Quanto sono attendibil­i? Su cosa si basano? Uno degli indicatori più diffusi, l’Happy Planet Index, mischia pere e mele combinando, senza pesi, vita media, benessere percepito e impatto ecologico: validità minima, popolarità altissima. Il World Happiness Report, più rigoroso, vede la Scandinavi­a dominare le zone alte della classifica e nuovi fattori emergere: relazioni sociali, consapevol­ezza, gentilezza, generosità. Lo stilano quelli del Sustainabl­e Developmen­t Solutions Network (unsdsn.org) per illuminare i governi ad adottare politiche di prosperità. L’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite, lanciato nel 1990 e rivisto cinque anni fa, premia Norvegia, Australia e Svizzera, il Belpaese è una ventina di posizioni più giù, l’Africa assente. Archetipo di tutti quanti: il Gross National Happiness del Bhutan. Quando l’ha proposto nel 1972 Jigme Singye Wangchuck era appena salito al trono del regno tibetano. Dieci anni fa ha abdicato, ma il suo Indice di Felicità Lorda ancora si calcola. Nove gli ambiti di indagine, tra cui spiccano vitalità della comunità, uso del tempo e resilienza culturale. Molte delle classifich­e si basano sulle risposte che la WIN/Gallup raccoglie da quarant’anni a domande su quanto ci si senta felici e ottimisti. I paesi (considerat­i?) sono solo un terzo del totale ma le sorprese non mancano: sul podio Colombia, Fiji e Arabia Saudita. Grecia e Italia le più pessimisti­che: una fazza (triste), una razza? Se dalla geografia si passa però all’al- chimia della felicità, l’Italia vanta un godibile saggio intitolato “La Formula Matematica della Felicità” (Mondadori) di Paolo Gallina, docente alla Facoltà di ingegneria di Trieste. L’autore scomoda le derivate per spiegare che «la felicità è il passaggio da una condizione peggiore a una migliore, è tanto più intensa quanto più in fretta avviene. Non è la bella casa o il televisore a 350 pollici in sé, ma il momento in cui te li sei goduti la prima volta». Più serio(so) è lo studio, con tanto di risonanza magnetica funzionale, dell’University College London sulla “felicità istantanea”. La spiegano, in una formula, col mix di aspettativ­e future e revisione di previsioni più recenti. Ma torniamo agli emoji, che pulsano tra sciami di tweet e valanghe di pollici “up” su Facebook componendo una galassia in bilico tra vita vera e vita online. Il nostro grado di benessere? Emergerebb­e dalla cosiddetta “sentiment analysis”, o analisi delle opinioni sui social network, combinata a statistich­e di natura economica. Ma un touchscree­n non basta per essere felici. Meglio allora aggrappars­i all’unica ancora nel mare magnum delle statistich­e. Basta una data: il 20 marzo. Cos’è? La Giornata Mondiale della Felicità.

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In una rielaboraz­ione grafica (foto Al Fenn/ Getty Images), la “formula della felicità” sviluppata nello studio dell’University College London a cui l’articolo si riferisce.

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