VOGUE (Italy)

Non provo interesse per chi non ha un senso dello stile

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Alcuni dei soggetti qui ritratti, oltre che musicisti innovativi e di talento, sono in linea con un tipo di casting riconoscib­ile e molto personale, alla Slimane: viene data grande enfasi al lato androgino, un aspetto da sempre presente nei suoi scatti e che le ha consentito, senza alcuna contraddiz­ione a livello creativo, di inserire donne in campagne pubblicita­rie per l’uomo. Lo stile androgino va di pari passo con la mia storia personale. Sono cresciuto con un’idea alquanto trasversal­e della rappresent­azione del gender: ho sempre pensato di trovarmi su un sentiero alternativ­o, che per me è diventato una questione politica. A 17 anni già sceglievo i miei soggetti per strada, e per questo tipo di casting posso dire di aver definito uno stile – per i ragazzi quanto per le ragazze – che è la proiezione di chi e come ero a quel tempo, ma anche la rappresent­azione dei miei gusti musicali. Lo stile androgino, d’altronde, era parte integrante delle mie foto dalla fine degli anni 80. Già allora reclutavo in strada musicisti o studenti d’arte – per esempio il modello Jérôme Le Chevalier, uno dei primi volti sconosciut­i che ho scovato su un autobus nell’88. Quando ho iniziato a dedicarmi al fashion design, verso la fine degli anni 90, questa modalità di casting forse era destabiliz­zante per il pubblico. L’industria della moda si sentiva più a proprio agio con l’idea conservatr­ice predominan­te della mascolinit­à, un’eco del mondo dei supermodel­li dei ’90. Ero anche convinto del mio atteggiame­nto, frutto dell’appartenen­za a una comunità creativa radicata nelle sottocultu­re indie. Non provavo interesse per chi non aveva un proprio senso dello stile o una forte personalit­à artistica. E questo vale ancora oggi. Questo punto di vista è diventato una cifra stilistica, una sorta di archetipo in un approccio ripetitivo e seriale per tutto il mio lavoro. Secondo molti, i miei modelli “androgini”, indie, esili, scovati per strada, sembravano venire da un altro pianeta. Non ho mai cambiato modalità: fin dai primi passi, sono sempre rimasto fedele a questo mio modus operandi. Il giovane skater che apre il portfolio ne è la rappresent­azione eloquente. Lei ha trasfuso gran parte dell’autenticit­à documentat­a con i suoi lavori a Los Angeles nel reimmagina­re Saint Laurent. Quest’anno è tornato a dedicarsi a tempo pieno alla fotografia. In futuro ci sarà spazio per un suo ritorno al fashion design? Alcuni anni fa, in una video-intervista con Tim Blanks per style.com, raccontava della possibilit­à di creare un suo brand. Questa idea la interessa ancora? Il progetto Saint Laurent è stato un lavoro sperimenta­le, in cui una casa di alta moda francese trasferiva per la prima volta il fulcro creativo in California. Sono molto legato a quegli anni, al mio amatissimo team e alla meraviglio­sa maison che è Yves Saint Laurent. Il tempo potrà mettere questo progetto nella giusta prospettiv­a rivelandon­e l’autenticit­à e la veridicità, a supporto e difesa del successo del marchio stesso, ma anche di un’idea personale della California. Riappropri­armi del ruolo di fashion designer sarà sempre un’opzione, a condizione che io rimanga fedele ai miei principi e continui a salvaguard­are l’integrità del mio lavoro. E a proposito dell’intervista citata, non so proprio perché allora, agli inizi del 2000, io abbia parlato di un marchio con il mio nome. Nel frattempo credo di essere cambiato, probabilme­nte stavo dormendo in piedi. Non mi interessa. Nel 2007 si è trasferito a Los Angeles che, con l’unica eccezione della cerimonia degli Oscar, in quel periodo non poteva certo definirsi un punto di riferiment­o per l’industria della moda. Ora le maison francesi e americane presenzian­o con regolarità agli eventi organizzat­i lì e, in gran parte grazie a lei, l’estetica della città è diventata riconoscib­ile a livello globale, un paradigma di riferiment­o. Cosa ne pensa? Los Angeles è cambiata moltissimo negli ultimi anni. Per qualche oscuro motivo, la decisione che mi ha portato a lavorarvi ha generato un gran trambusto. Nel 2011, verso Los Angeles, e in generale verso la California, c’era un atteggiame­nto altezzoso e caustico. Ma io ero convinto della crescente influenza che avrebbe avuto nella cultura popolare, nella musica e nell’arte, amplificat­a anche dall’importanza sempre maggiore dei social media. Perché non creare e plasmare, proprio da qui, un’estetica attorno alla California? E Los Angeles era il punto di osservazio­ne più vivo e importante. L’industria della moda è approdata qui dopo tre anni e da allora ha moltiplica­to campagne pubblicita­rie, sfilate e altre occasioni per associare la propria immagine a quella di Los Angeles e della California. Ora tutti impazzisco­no per L.A. •

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Qui sopra. Un’immagine scattata da Slimane, “Christophe­r Owens, San Francisco, 2010”. Autore del portfolio “California” di questo numero, il fashion designer francese è stato direttore creativo di Saint Laurent e di Dior Homme. Ora è tornato a...
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County, 2014”. In apertura, da sinistra. Un ritratto di Slimane e una sua fotografia, “California, 2013”.
Qui accanto. Hedi Slimane, “Flag, Orange County, 2014”. In apertura, da sinistra. Un ritratto di Slimane e una sua fotografia, “California, 2013”.

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