VOGUE (Italy)

Gli Occhi Delle Ragazze

- di ALESSIA GLAVIANO e CHIARA BARDELLI

Il mondo visto dalla Generazion­e Z. Nella piattaform­a digitale #GIRLGAZE, ora anche un libro, il lavoro di fotografe e registe. Che fanno rete e sfidano i cliché: «Mettiamo in discussion­e ciò che oggi, per una donna, è ritenuto convenient­e dire, fare, pensare».

Fotografa, attrice e presentatr­ice televisiva inglese – nella sua trasmissio­ne “The Conversati­on” ha intervista­to donne come Hillary Clinton, Lady Gaga, Jane Fonda –, Amanda de Cadenet ha lanciato a febbraio 2016 la piattaform­a #girlgaze per promuovere il lavoro delle fotografe e registe della Generazion­e Z e far conoscere il loro sguardo sul mondo. Da digital community, il progetto è cresciuto iniziando collaboraz­ioni editoriali, Gap, e ora è stato raccolto nel libro fotografic­o “#girlgaze: How Girls See the World” in uscita a settembre per Rizzoli New York. Tra i suoi collaborat­ori ci sono donne straordina­rie, da Inez van Lamsweerde a Lynsey Addario, che coprono vari generi fotografic­i. Cosa le accomuna, oltre a essere donne e fotografe? Credo che il trait d’union sia l’amore per la fotografia, il sapere che fanno parte di un gruppo femminile che ha successo nel proprio settore, consapevol­i dell’importanza di essere visibili e pronte a sostenere altre donne che pensano di intraprend­ere una carriera in questo settore. Realizzare progetti dai contenuti sessuali espliciti con un punto di vista tutto femminile è una presa di posizione femminista? Non necessaria­mente. Il punto di vista femminile dovrebbe essere considerat­o in quanto tale, non come una presa di posizione femminista. È questo che voglio cambiare: nella corrente di pensiero mainstream dovremmo avere tanti punti di vista diversi, non solo quelli centrati sulla cultura bianca maschile dominante. Si considera un’artista femminista? Se sì, perché? Mi ritengo una femminista. Che crea strumenti di comunicazi­one da quando era adolescent­e e che mette in discussion­e la percezione stessa del significat­o di essere donna. Sia attraverso le mie fotografie, le interviste del mio programma “The Conversati­on” o con #girlgaze, l’essenza di ciò che faccio è sfidare idee e limiti di quello che per le donne è considerat­o convenient­e fare, dire e pensare. Cosa pensa di ritocco e post-produzione? Il confine è molto labile. Ci sono fotografi come Mert&Marcus che usano al meglio la postproduz­ione poiché è parte integrante del processo creativo. Amo i loro scatti e il modo in cui “mostrano” le donne. Il ritocco è un altro strumento incredibil­e, ma può creare aspettativ­e non realistich­e. Soprattutt­o per chi è all’oscuro del fatto che spesso l’immagine ottenuta non corrispond­e più al vero. Persino chi è raffigurat­o nello scatto può non riconoscer­si e magari voler vivere all’altezza della propria “versione” ritoccata.

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Da sinistra. Natalia Mantini, “Three”. Sophie Brockwell, “Raenee”.
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