I Millennials Non Esistono
Nati a ridosso del DUEMILA, con i loro smartphone ed eserciti di followers dovrebbero salvare la moda. Blanditi, iconizzati, paiono essere l’unica via per il futuro del consumo. E se invece poi...?
Le strade di Parigi si sono recentemente riempite di manifesti che urlano a caratteri cubitali: Millennials. Vi campeggia l’attrice e modella Cara Delevingne – la paladina di “embrace your weirdness” e “stop labelling, start living”, coltivatrice indefessa di boccacce e sopracciglia folte – presa a guardare in camera, il sorriso beffardo da impunita, la testa rasata da skinhead. Sono questi il volto e l’atteggiamento dei nati tra il 1985 e il 2000 – anche se la moda si ostina a considerare come Millennials i soli teenager – terrorizzanti ma affascinanti per gli adulti almeno quanto il “millennium bug” che ci atterrì tutti nello stesso periodo in cui questa generazione di nativi digitali era giusto uno spermatozoo? Dicunt. Di certo c’è che la signorina Delevingne conta quaranta milioni di followers su Instagram. Una ricchezza assoluta come nemmeno Creso. Il vero patrimonio, nell’oggi che capitalizza sul virtuale, non sono le tenute, i gioielli e i denari, ma i seguaci, e che siano fans o haters poco importa. Stanno lì, guardano, si fanno influenzare. Di followers ne hanno milioni o centinaia di migliaia anche i figli di e gli influencers, youtubers e via internettando che affollano ultimamente le passerelle, sostituendo i modelli dai corpi e le bellezze inarrivabili. Eccoli invece lì che si scalmanano, a volte goffi, altre arroganti – come solo possono esserlo i giovani –, ricchi e famosi, modelli di riferimento per i propri coetanei e sacro graal per chi la spensieratezza l’ha oramai abbandonata da tempo ma non vuol mollare. I Millennials sono l’ossessione del momento: per gli stilisti che li scelgono come testimonials, per le case editrici e le maisons che dedicano loro siti e pubblicazioni, per i pierre che li trasformano in veicolo di astute strategie, o semplici billboard in carne e ossa. Hic et nunc, non c’è proprio altra demografia di riferimento, in barba alle vite che si allungano e a una seconda età così estesa da aver praticamente cancellato la terza. Chi sono poi questi Millennials? Esistono davvero e spendono così liberamente? I dubbi sono leciti, a giudicare da come li tratta la gente della moda, che ne isola solo la fetta più giovane. Non è una questione di definizione. Tecnicamente, i nati intorno al Duemila, ovvero i Millennials che interessano quelli della moda, hanno caratteri comuni, racchiusi negli smartphone che maneggiano come estensioni del corpo e della mente, nel linguaggio sincopato e ipervisivo che prediligono, nel socializzare insieme on e offline. Sono semplicemente giovani, come lo siamo stati tutti, in un’epoca che rimanda il più possibile il passaggio all’età adulta. Giovani del loro tempo, ai quali i grandi è normale che guardino con curiosità. La moda i giovanissimi li ha sempre tenuti d’occhio, del resto, perché creatori più o meno consapevoli di stili, di modi e di tendenze.
Adesso invece è diverso. I Millennials che ossessionano il fashion system non sono i ragazzi qualunque, perfetti sconosciuti che si esprimono, creano ed esistono, ma celebrities virtuali con camionate di seguaci da raggiungere. Nel gergo fashion, Millennials sono infatti anche, e soprattutto, i figli delle star, capaci, loro sì, di spendere cifre folli in frivolezze assolute, basta che parlino il linguaggio dell’eccesso visivo, e poi gli influencers che smuovono le cybermasse. Oltre queste categorie non si va. Sarebbe stimolante scoprire interesse per ragazzetti pasoliniani o male in arnese. Invece, al massimo, la periferia della metropoli suggerisce spunti per pose da rivendere a caro prezzo a chi “cool” vuole apparire, facendo il teenager. In tempi difficili, la moda va a caccia di clienti da fidelizzare. Li corteggia in tenera età, attraverso i personaggi di cui si fidano. La fissa per i Millennials non è altro che questo, a conti fatti: una pulsione blandamente culturale e superficialmente indagativa, profondamente commerciale e per questo non disinteressata. I Millennials li si vuol conoscere non per capirli, ma per incantarli inducendo al consumo, usando allo scopo i coetanei celebri. In questo senso, i Millennials sono invenzione diabolica: puro marketing. È vero, in Cina e nei mercati giovani esistono per davvero, e spendono come pazzi, ma altrove nemmeno l’ombra. I teenagers digitali, forse, manco nella definizione Millennial si riconoscono, e di certo subodorano l’inganno. Cosa sappiamo in fondo di questa generazione? La cerchiamo dove non abita più e non ha mai abitato, seguendo un’urgenza di categorizzare che, invero, ci fa vecchi, mentre i Millennials, chiunque essi siano, sfuggono liquidi e belli, spendendo altrove. In esperienze, forse, invece che in merci. •