(Riccardo Tisci)
Qual è il tratto più profondamente italiano nel tuo lavoro? La rappresentazione della forza e della seduzione, maschile e femminile. E quello in assoluto meno italiano? La capacità di provocare la tradizione e rompere gli schemi, insieme a un immaginario a volte più fosco della realtà. L’Italia è un paese per giovani? Sì, senza dubbio. Purtroppo però i giovani, oggi, si limitano a imitare o reinterpretare il passato. Dovrebbero invece cercare una visione personale dello stile. Bisogna davvero emigrare per essere riconosciuti? Quando ho iniziato, per un ragazzo italiano era quasi impossibile riuscire ad affermarsi o essere riconosciuto in Italia. Ho la sensazione che oggi le cose siano cambiate, che molti tabù siano caduti e che alcune strade siano più semplici. Anche l’Italia, infatti, si è aperta a logiche e correnti internazionali. Ti senti italiano? Perché e in cosa? Mi sento italiano per tutto ciò che concerne la sensibilità nei confronti del bello, della qualità, della manualità. Anche nel mio amore per le cose che potrebbero a prima vista risultare inconsuete o inusuali c’è sempre una connessione profonda, a volte nascosta, con le radici e la cultura italiana. Da cosa bisogna partire per rifondare la classe creativa, e non solo quella, nel Paese? Bisogna ripartire da un nuovo senso civico che comprenda spirito imprenditoriale e solidarietà, etica del sacrificio e capacità di fare squadra. Sei ottimista o pessimista sul futuro? Sono un ottimista… Con un tocco di pessimismo. Il futuro della creatività è locale o globale? Globale, come ogni cosa. Nel tuo percorso, quale è l’errore che non rifaresti? Non lavorerei più sette giorni su sette. Anche Dio si riposò la domenica. •